Consiglio di Stato, Sezione terza, sentenza 2 ottobre 2023 n. 8606. Interdittiva antimafia, tutela anticipatoria, mondo economico sano, limiti nelle censure, motivazione.

Stefano Tofanelli

L’ancoraggio della misura interdittiva ai “tentativi di infiltrazione mafiosa”, ex art. 84, comma 3, d.lvo n. 159/2011, destituisce di fondamento ogni pretesa ricostruttiva incentrata sulla necessità di riscontrare, ai fini della sua legittima adozione, una situazione di infiltrazione o condizionamento in atto, poiché, anticipando la soglia dell’intervento interdittivo ai meri “tentativi di infiltrazione” dell’impresa da parte della criminalità organizzata, la disposizione citata si prefigge di apprestare una barriera difensiva all’ingerenza della mafia nelle attività contrattuali della P.A. o comunque soggette al suo potere di concessione e autorizzazione, invalicabile non solo dalle imprese soggette all’attuale influenza condizionante delle cosche, ma anche di quelle che, sulla base di elementi concretamente significativi, siano esposte al pericolo di condizionamento da parte delle stesse.

Tale forma di anticipazione, tipica della tutela amministrativa del contesto economico rispetto al potere inquinante della mafia, nel marcare la differenza del relativo assetto preventivo rispetto al sistema sanzionatorio penale, si presenta affatto irragionevole, in quanto l’effetto inibitorio conseguente all’esercizio del potere interdittivo non ha carattere assoluto, ma circoscritto a determinati settori di attività economica: quelli, come si è detto, in cui è maggiormente avvertita, in ragione del coinvolgimento diretto di interessi pubblici, l’esigenza di limitarne l’accesso a soggetti immuni da qualsiasi forma – anche solo tentata o presunta – di ingerenza mafiosa.

La definizione della fattispecie interdittiva sub specie di “tentativi di infiltrazione” non esclude che i relativi presupposti legittimanti siano accertati con il rigore imposto dalla gravità delle conseguenze derivanti dall’esercizio del potere de quo nei confronti dell’impresa condizionata, fermo restando che la relativa indagine ricostruttiva – ed il connesso controllo di logicità, ragionevolezza e proporzionalità rimesso al giudice amministrativo – non deve tendere a porre in evidenza la presenza della “mano” della mafia sulle leve direttive dell’impresa attenzionata, ma il pericolo che questa possa essere attratta entro la sfera di influenza della criminalità organizzata, muovendosi pericolosamente lungo il crinale che separa il mondo economico sano da quello contaminato dalla mafia.

La vicenda amministrativa sottesa all’adozione del provvedimento interdittivo può essere conosciuta dal giudice amministrativo, ai fini dell’assunzione delle sue decisioni in ordine alla legittimità del provvedimento medesimo, nei limiti in cui sia ritualmente portata alla sua cognizione: limiti segnati, da un lato, dalle ragioni poste a fondamento del provvedimento prefettizio, dall’altro lato, dalle censure formulate dall’impresa interdetta avverso lo stesso ed in vista del suo annullamento. Ulteriori aspetti di quella vicenda, pur dotati di indubbia pregnanza dal punto di vista della ricostruzione dei presupposti per l’esercizio del potere interdittivo e/o della loro attualizzazione, ma che non siano stati filtrati attraverso la motivazione del provvedimento, da un lato, e le censure proposte nei suoi confronti dall’impresa interessata, dall’altro, non sono quindi suscettibili di influire sull’esito della controversia, pur potendo conservare la loro rilevanza ai fini del successivo sviluppo dell’azione amministrativa.

massima di redazione

testo integrale della sentenza

Consiglio Stato sez III sentenza 8606-2023

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