Alcune osservazioni sulla responsabilitá della pubblica amministrazione da custodia ex art. 2051 c.c. (nota a: sentenza Tribunale di Lamezia Terme n. 2278 del 28 ottobre 2014 )

Paola Ruberto

Come è noto, in materia di responsabilità della Pubblica Amministrazione per sinistri stradali1, per lungo tempo, l’orientamento giurisprudenziale costante ha riconosciuto l’operatività dell’art. 2043 c.c. nella sola ipotesi dell’insidia-trabocchetto, qualora dall’utilizzo dei beni demaniali fossero derivati danni all’utente a causa dell’omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche.

Secondo tale impostazione, la Pubblica Amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale di vigilanza, controllo e manutenzione dei beni di natura demaniale, incontra limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento, nonché dalle norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed in particolare dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere ex art. 2043 c.c., in forza della quale essa è tenuta a garantire che l’opera pubblica, come può essere una strada aperta al pubblico transito, non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto. In tal senso, la giurisprudenza ha elaborato la figura dell’insidia o trabocchetto, quale situazione per l’utente di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, e quindi non evitabile con l’ordinaria diligenza (ex plurimis,Cass. n. 366 del 2000, Cass. n. 7938 del 2001, Cass. n. 9092 del 2001, Cass. n. 11250 del 2002, Cass. n. 14993 del 2002, Cass. n. 15710 del 2002, Cass. n. 16356 del 2002, Cass. n. 17152 del 2002, Cass. n. 1571 del 2004, Cass. n. 22592 del 2004). Eppure, nella prassi, se da un lato si affermava il principio generale dell’estensione della normativa di diritto comune alla P.A., dall’altro lato si cercava di limitarne l’applicazione concreta alle sole norme idonee a sortirne effetti positivi per la stessa, creando, in tal modo, in favore della Pubblica Amministrazione, una sorta di diritto privato speciale.

In tempi recenti, al fine di impedire che tale trattamento finisse per rappresentare un privilegio per la Pubblica Amministrazione a discapito degli utenti danneggiati, la giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità ha ritenuto concettualmente ed astrattamente configurabile, nei confronti della Pubblica Amministrazione, la responsabilità per danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c.

In una prima fase, l’operatività di tale norma è stata circoscritta solo ai beni demaniali che consentivano l’esercizio concreto del potere di controllo e di vigilanza e quindi non anche ai beni di notevole estensione e suscettibili di generalizzata utilizzazione. A questa conclusione è pervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 1999 che ha escluso l’applicabilità dell’art. 2051 cc allorquando la P.A. non può esercitare sulla res un controllo «continuo, efficace ed idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti». Nel contempo, ha chiarito che la «notevole estensione del bene» e «l’uso generale e diretto» da parte di terzi, costituiscono «meri indici» dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e vigilanza sul bene medesimo, e come quindi detta impossibilità non possa farsi discendere dalla mera natura demaniale del bene, dovendo essa riscontrarsi solamente all’esito «di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di normalità». Ragion per cui, la disciplina normativa dettata dall’art. 2051 cc è stata estesa anche all’ipotesi di beni demaniali in effettiva custodia della PA (Cass. civ. III sez. nn. 6903/2012; 1310/2012, 21508/2011, 2481/2009).

La norma codicistica in questione si riferisce sia a beni mobili sia immobili ed i presupposti applicativi vanno individuati nella custodia e nella derivazione del danno dalla cosa2. La custodia consiste nel potere fattuale di effettiva disponibilità e controllo della cosa, e cioè in qualcosa di molto più ampio della nozione contrattuale di custodia . Custodi sono infatti tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione della cosa; e custodi sono anzitutto i proprietari, ma anche conduttori, depositari, comodatari e usufruttuari.

Quale proprietaria delle strade pubbliche ex art. 16, lett. b, l. n. 2248 del 1865, All. F, l’obbligo di relativa manutenzione in capo alla P.A. discende non solo da specifiche norme (art. 14 d.lg. n. 285 del 1992, c.d. codice della strada; per le strade ed autostrade statali, art. 2 d.lg. n. 143 del 1994; per le strade urbane ed extraurbane, d.m. n. 223 del 1992; per le strade ferrate, art. 8 d.P.R. n. 753 del 1980; per le strade comunali e provinciali, art. 28 l. n. 2248 del 1865 All. F; per i Comuni, art. 5 r.d. n. 2506 del 1923), ma anche dal generale obbligo di custodia, con conseguente operatività, nei confronti dell’ente, della presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. in caso di omessa prevenzione 3.

La responsabilità ex art. 2051 cc ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno arrecato. Dunque, mentre sul danneggiato incombe l’onere di provare l’evento danno ed il nesso di causalità e non anche l’insidia ovvero la condotta commissiva o omissiva del custode, la Pubblica Amministrazione, invece, per esonerarsi da simile responsabilità, deve provare il caso fortuito, fattore che attiene al profilo causale dell’evento riconducibile non alla cosa ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo (tra le più recenti, Cass. n. 26051 del 2008, Cass. n. 24755 del 2008, Cass. n. 20427 del 2008, Cass. n. 4279 del 2008).

Più precisamente, per ciò che concerne i danni che gli utenti subiscono dai beni demaniali, la presunzione di responsabilità ex art. 2051 cc, non si applica ogni qual volta per gli enti pubblici sia reso impossibile esercitare la custodia, vale a dire quel potere di controllare la cosa, di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno (ex aliis, Cass. 20427/2008). L’oggettiva impossibilità di tale potere di controllo è, dunque, il presupposto necessario per la modifica della situazione di pericolo(Cass. 9546/2010).

Sull’impossibilità oggettiva della custodia sul bene demaniale, si è espressa in senso favorevole la Corte di Cassazione secondo cui, nella sentenza n. 15042 del 6 giugno 2008, ai fini del giudizio sulla possibilità di custodia, “le peculiarità vanno individuate non solo e non tanto nell’estensione territoriale del bene e nelle concrete possibilità di vigilanza su di esso e sul comportamento degli utenti, quanto piuttosto nella natura e nella tipologia delle cause che abbiano provocato il danno: secondo che esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali, in materia di strade, l’usura o il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, la segnaletica contraddittoria o ingannevole, ecc.), o che si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (perdita d’olio ad opera del veicolo di passaggio; abbandono di vetri rotti, ferri arrugginiti, rifiuti tossici od altri agenti offensivi). Nel primo caso è agevole individuare la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., essendo il custode sicuramente obbligato a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza. Nel secondo caso l’emergere dell’agente dannoso può considerarsi fortuito, quanto meno finché non sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l’ente gestore acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire ad eliminarlo”(Cassazione civile sez. III 2008 n. 15042; in tal senso anche Cass. 1691/2009, Cass. 4495/2011).

Quindi, sono imputati al custode “solo i rischi di cui egli possa essere chiamato a rispondere – tenuto conto della natura del bene e della causa del danno – sulla base dei doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, con riferimento a criteri di corretta e diligente gestione. Sotto il profilo sistematico la suddetta selezione dei rischi va compiuta – più che delimitando in astratto l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., in relazione al carattere demaniale del bene – tramite una più ampia ed elastica applicazione della nozione di caso fortuito. Con riguardo ai beni demaniali, cioè, si presenterà presumibilmente più spesso l’occasione di qualificare come fortuito il fattore di pericolo creato occasionalmente da terzi, che abbia esplicato le sue potenzialità offensive prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode”(Cassazione civile sez. III 2008 n. 15042). La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 14856 del 13 giugno 2013 è ulteriormente intervenuta sulla materia, sottolineando che «la responsabilità ex articolo 2051 del c.c. sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa dì agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato, anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno» ed ha altresì ribadito che il caso fortuito si configura «in relazione a quelle situazioni provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere».

Ebbene, si può osservare come l’impostazione adottata dal giudice di legittimità abbia ispirato una recente sentenza n.2278 del 28 ottobre 2014 del Tribunale di Lamezia Terme, nella quale il giudice di merito ha escluso la responsabilità dell’Anas s.p.a. ex art. 2051 c.c. per un sinistro stradale provocato dalla presenza di uno strato oleoso sul manto stradale. Più precisamente, ha osservato che «la situazione di pericolo, costituita dalla presenza di olio nonché di elementi della carrozzeria di un autoveicolo, non dunque da difetti costruttivi e manutentivi della strada, determinatasi in un arco temporale non sufficientemente ampio da garantire all’Anas di intervenire per segnalare la condizione di pericolo e rimuoverne la causa, costituisce caso fortuito che esclude la responsabilità dell’ente gestore». In altri termini, per il giudice di merito, l’Anas s.p.a., a causa del ridotto arco temporale intercorso tra l’alterazione dello stato del bene e il danno che ne è derivato, non avrebbe potuto conoscere né avrebbe potuto eliminare con immediatezza la suddetta situazione di pericolo, neppure con la più diligente attività di manutenzione.

Ad ogni modo, è opportuno segnalare che nel caso in cui non risulti applicabile la disciplina della responsabilità ex art. 2051 c.c., per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene demaniale, la tutela risarcitoria del danneggiato rimane affidata esclusivamente alla disciplina dell’art. 2043 cc, che non prevede alcuna limitazione della responsabilità dell’amministrazione per comportamento colposo alle sole ipotesi di insidia o trabocchetto (ex aliis, Tribunale Torre Annunziata 14.1.2014 n. 217, Tribunale Piacenza 26.5.2011 n. 458). In questo caso, sul danneggiato grava l’onere di provare l’anomalia del bene demaniale della strada, fatto di per sé idoneo a configurare il comportamento colposo dell’ente per aver provocato o non avere tempestivamente rimosso l’ostacolo sulla sede stradale. Sulla Pubblica Amministrazione, al contrario, ricade l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità, quali ad esempio la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia.

Tuttavia, tanto nell’ipotesi di responsabilità della Pubblica Amministrazione ex art. 2051 c.c., quanto in quella di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c., «il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale, che sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo, può escludere la responsabilità dell’amministrazione, se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, mentre, in caso contrario, integra un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 comma 1 c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante, in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato» (Cass. ord. 30 gennaio 2012 n. 1310 in motivazione; anche Cass. 9 marzo 2010, n.5669; Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).

1Cfr. GIANLUIGI MORLINI, La responsabilità custodiale della Pubblica Amministrazione per sinistri stradali, in Giurisprudenza di merito, fasc. 5- 2011,Giuffrè

2Ibidem.

3Ibidem.

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