Consiglio di Stato, Sezione quarta, sentenza 10 febbraio 2017, n. 575.

In tema di superamento dei termini perentori di conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale VIA, fissati, ai sensi dell’art. 26, d.Lgs..3 aprile 2006, n. 152, in centocinquanta giorni dalla presentazione dell’istanza, il mero inverarsi del presupposto di legge (nel caso di specie scadenza dei termini) non implica l’avvenuta consumazione del potere in capo all’Autorità regionale che, invece, si verifica laddove l’Autorità deputata all’esercizio del potere sostitutivo si sia effettivamente insediata. In una cornice sistematica più ampia, VIAil potere sostitutivo è collegato a posizioni di controllo o di vigilanza, ovviamente esulanti da relazioni di tipo gerarchico, che può essere esercitato dallo Stato o dalle regioni soltanto in relazione ad attività rispettivamente regionali e locali di carattere obbligatorio, sostanzialmente prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), sia perché sottoposte per legge a termini perentori, sia per la natura degli atti da compiere, la cui obbligatorietà costituisca il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia è preordinato l’intervento sostitutivo. Si tratta di un potere strumentale rispetto all’esecuzione o all’adempimento di obblighi ovvero rispetto all’attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi preminenti in grado di permettere allo Stato, quando ricorrano le necessarie condizioni di forma e di sostanza per un intervento sostitutivo, di superare, in via del tutto eccezionale, la separazione delle competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali. Ne consegue che, in carenza di esercizio del potere sostitutivo da parte dell’Autorità Statuale l’avvenuto superamento dei termini non vizi l’esercizio del potere da parte dell’Autorità regionale.

Massima redatta da Gloria Sdanganelli ©

testo integrale

Consiglio di Stato, Sezione quarta, sentenza 10 febbraio 2017, n.575. Presidente: Anastasi; relatore: Taormina.

FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 1050/2015 il T.a.r. per l’Emilia –Romagna –Sede di Bologna – ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellante volto ad ottenere l’annullamento della delibera di Giunta Regionale Progr.num.24/2014 -Ciod.doc. GPG/2014, pubblicata sul BUR n.44 del 12.02.2014, recante la valutazione di impatto ambientale (VIA) del progetto per la realizzazione di un impianto di recupero rifiuti speciali a matrice inerte (scorie di combustione) in via Selice, 301/E, nel Comune di Conselice proposto da Officine dell’Ambiente s.p.a. dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata nell’ambito della procedura di VIA (provv.n.4071 del 19.12.2013, all.2 alla delibera di via), dell’approvazione del progetto ai sensi e per gli effetti dell’art.208 D.Lgs.n.152/2006 di cui alla delibera G.P. n.320 del 18.12.2003 e di tutti gli atti (prevalutazione di incidenza pareri etc) compresi e assorbiti nella VIA, con particolare riferimento al titolo abitativo (permesso di costruire) che autorizzava sotto il profilo edilizio, l’esecuzione dell’intervento.
  2. La Regione e la Provincia nonché la società controinteressata latrice del progetto si erano costituite in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso, mentre erano intervenuti ad adiuvandum, numerosi coltivatori diretti e titolari di aziende agricole situate nel Comune interessato dall’insediamento nonché nei comuni limitrofi.
  3. Con la sentenza gravata il T.a.r., ha in via preliminare:
  4. a) respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle parti originarie ricorrenti (in quanto esposte ad un impianto avente potenziali riflessi negativi sull’ambiente) e dichiarato rituale l’intervento ad adiuvandum dei coltivatori diretti e delle aziende agricole interessate;
  5. b) sostenuto che la disciplina applicabile alla fattispecie fosse quella contenuta nella legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 (recante la “disciplina della procedura di valutazione dell’impatto ambientale”) nel testo vigente al momento dell’avvio del procedimento amministrativo (presentazione della domanda da parte della società odierna appellata in data 13 aprile 2011);

b1) ciò in quanto l’articolo 34, comma primo, della successiva legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012, (che aveva modificato la citata legge regionale n. 9 del 1999) prevedeva una disciplina transitoria secondo la quale le procedure di V.I.A. la cui domanda fosse stata presentata prima dell’entrata in vigore della predetta legge n. 3 del 2012fossero concluse ai sensi delle norme vigenti al momento della presentazione della domanda;

b2) peraltro il decreto legislativo n. 152 del 2006 alla disposizione transitoria di cui all’articolo 35, prevedeva che in attesa dell’emanazione di una legge regionale di adeguamento (intervenuta poi successivamente con legge regionale n. 3 del 2012), trovassero diretta applicazione quelle vigenti in quanto compatibili con le previsioni del medesimo decreto legislativo 152;

  1. c) espresso l’avviso che non potesse ostare a tale approdo la circostanza che il progetto fosse stato modificato nel corso della conferenza di servizi indetta e che si fosse proceduto ad una nuova pubblicazione per consentire potenziali interessati di presentare le proprie osservazioni anche in relazione alle modifiche apportate.

3.1. Nel merito, ha partitamente scrutinato le censure proposte, e le ha respinte; in sintesi, la sentenza impugnata ha:

  1. a) respinto la doglianza (prima censura) incentrata sulla mancanza di una verbalizzazione puntuale della seduta della conferenza di servizi e dei sopralluoghi effettuati della conferenza stessa sul rilievo che la legge regionale n. 9 del 1999, che disciplina il detto procedimento non prevedesse un obbligo di verbalizzazione, seduta per seduta, dell’attività della conferenza di servizi e neppure che tale fosse desumibile neppure dalla legge 241 del 1990;

a1) ritenuto che in concreto fosse stata garantire la trasparenza dell’azione amministrativa e la legittimità del procedimento seguito in quanto il rapporto sull’impatto ambientale del 29 luglio 2013 documentava puntualmente l’attività svolta;

a2) reputato irrilevante la omessa verbalizzazione della posizione degli enti che avevano partecipato in via meramente istruttoria e facoltativa alla conferenza dei servizi, ( A.U.S.L., A.R.P.A) in quanto il loro contributo istruttorio era stato acquisito e valutato come risultava dall’esito della conferenza di servizi; quanto in particolare all’AUSL, la deliberazione regionale evidenziava la mancata acquisizione di un proprio formale parere finale la stessa non aveva partecipato alla riunione conclusiva della conferenza dei servizi del 23 giugno 2011: ma si trattava di una presenza non necessaria e di un mero apporto istruttorio e, quindi, un parere finale non era richiesto, e comunque la partecipazione della AUSL, in via istruttoria emergeva dalle richieste di integrazioni progettuali ed il sostanziale assenso dell’AUSL risultava dall’affermazione del responsabile, trasmesso in via informatica, il quale riferiva che “per quello che riguarda la V.I.A. direi che non ho prescrizioni da proporre” ;

  1. b) respinto la seconda censura di illegittimità del procedimento discendente dalla violazione del comma 7, dell’articolo 14 – ter della legge n. 241 del 1990, ritenuto inapplicabile alla fattispecie, per quanto concerneva la posizione dell’AUSL (vizio desunto dall’affermazione, contenuta nella deliberazione regionale impugnata, secondo la quale, non avendo l’AUSL partecipato alla riunione conclusiva della conferenza di servizi in data 23 giugno 2011 e non avendo inviato un proprio formale parere il suo assenso sarebbe stato acquisito, in senso favorevole, sulla base della citata disposizione);

b1) ciò in quanto (articolo 18, comma sesto, della legge regionale n. 9 del 1999) non era necessaria la partecipazione alla seduta conclusiva da parte dell’AUSL e non doveva essere acquisito un assenso formale della stessa sull’esito della conferenza di servizi, mentre, per quanto riguardava ARPA ed il Consorzio di bonifica il parere favorevole finale, pur non richiesto dalla normativa, era stato acquisito;

  1. c) escluso che l’illegittimità degli atti impugnati potesse discendere dalla violazione del termine di conclusione del procedimento in quanto quest’ultimo (sulla cui consistenza di 90 o 120 giorni v’era contrasto) comunque non era perentorio;
  2. d) escluso la legittimazione attiva di parte originaria ricorrente a dolersi pluralità di integrazioni progettuali richieste ed effettuate dalla società proponente (in tesi illegittime, ai sensi dell’articolo 15 bis della legge regionale) trattandosi, di disposizione a garanzia del proponente mentre la posizione sostanziale dei soggetti interessati alla procedura di V.I.A. era stata garantita dalla rituale ripubblicazione che avrebbe consentito agli interessati di proporre, eventualmente, le proprie osservazioni sulle modifiche apportate;
  3. e) respinto (capo 13 della sentenza) la complessa macrocensura (quarta doglianza) di eccesso di potere per difetto di istruttoria e falso presupposto di fatto, avendo richiamato l’articolo 11, comma 1°, della legge regionale n. 9 del 1999 laddove si prevedeva che i progetti assoggettati a V.I.A. fossero corredati di un SIA contenente tutte le informazioni di cui all’allegato C) della medesima legge regionale, e che il rapporto ambientale del 29 luglio 2013 (non affetto da irragionevolezza) aveva evidenziato l’assenza di “alcun contrasto con gli strumenti di pianificazione territoriale, urbanistica e di settore né con i vincoli derivanti dalla normativa di settore vigente”;

e1) in particolare, ha fatto presente che nel detto rapporto ambientale del 29 luglio 2013:

  1. I) era stata esaminata l’interferenza delle opere sulla componente flora e fauna ed evidenziato che il recupero di infrastrutture esistenti sul sito consentisse di evitare il “consumo” di ulteriore superficie territoriale;
  2. II) non era stato omesso l’inquadramento socio – economico della componente agricola ed agroalimentare della zona interessata;

III) erano state valutate le emissioni dell’impianto sia nell’atmosfera che nelle acque ed indicate precise e dettagliate prescrizioni concernenti le migliorie tecniche disponibili ed i controlli da svolgersi successivamente all’attivazione dell’impianto;

  1. IV) non si era trascurato di valutare l’asserita “fragilità alluvionale” dell’area individuata per la localizzazione dell’impianto, tanto che era stata recepita, in sede di approvazione del progetto, la richiesta del Consorzio di Bonifica di inserire, in una specifica tecnica, il progetto per assicurare il controllo degli apporti idraulici dello scolo Zaniolo e tale prescrizione era stata inserita all’interno della VIA e puntualmente recepita al punto 5 della deliberazione regionale n. 24 del 13 gennaio 2014 impugnata; né poteva rilevare in senso contrario la circostanza di fatto sopravvenuta costituita da un allagamento, determinato dalle precipitazioni straordinarie verificatesi nella prima settimana del mese di febbraio 2015 in quanto ascrivibile a diversa scaturigine causale;
  2. V) si era proceduto alla valutazione delle interferenze rispetto ad altre sorgenti inquinanti;
  3. VI) neppure erano ravvisabili le dedotte carenze in ordine alla valutazione dell’impatto sulla salute umana, ed anzi un’approfondita analisi era stata dedicata alle emissioni in atmosfera in fase di esercizio ed a tutte le problematiche di interferenza con la salute umana come pure era stata valutata la c.d. “opzione zero” e le possibili alternative di localizzazione del progetto che avevano condotto al responso che il sito prescelto risultava il più idoneo per l’impianto tenuto conto della destinazione dell’area ad attività industriali e della scelta di non consumare ulteriore superficie territoriale riutilizzando sito dismesso;
  4. f) escluso il rilievo delle censure concernenti il rispetto della normativa antisismica in quanto tale aspetto avrebbe dovuto essere successivamente valutato in sede di ottenimento dell’autorizzazione sismica a norma dell’articolo 18 della legge n. 64/74 (presupposto per procedere all’inizio dei lavori a carattere strutturale);
  5. g) affermato la non condivisibilità della doglianza concernente la violazione delle norme sui rischi di incidenti rilevanti (basata sul presupposto dell’utilizzo di rifiuti con classe di pericolo H14) in quanto nel rapporto ambientale era stato prescritto che “i rifiuti di cui al codice CER 19 01 11 ammessi in impianto sono costituiti esclusivamente da rifiuti pericolosi con caratteristiche di pericolosità H4 ed H8.

3.2. Nella seconda parte della sentenza impugnata (capi 14 e segg.) il T.a.r. ha:

  1. a) respinto tutte le censure d’illegittimità derivata dedotte avverso il provvedimento AIA a cagione della reiezione delle censure, incentrate sulle medesime carenze istruttorie proposte avverso la procedura di Via;
  2. b) respinto le censure specificamente proposte avverso il procedimento AIA (concernenti vizi procedimentali dedotti ed in particolare la violazione del termine di conclusione del procedimento) per le stesse ragioni sottese alla reiezione della doglianza incentrata sulla violazione del termine per la conclusione del procedimento di VIA.
  3. La parte originaria ricorrente rimasta soccombente ha impugnato la decisione del T.a.r. denunciandone la erroneità; essa ha in particolare riproposto le cinque censure disattese in primo grado, sia pure attualizzandole in relazione alla motivazione contenuta nella decisione impugnata, ed ha sostenuto che:
  4. a) il Rapporto Ambientale non menzionava la posizione assunta in conferenza di servizi dal Consorzio di Bonifica e dall’Asl, e tale mancata verbalizzazione integrava vizio ineliminabile (artt. 16 e 18 della legge regionale n.9/1999 ed art. 14 ter commi 6 e 6 bis della legge n. 241/1990) tenuto conto peraltro che la questione della compatibilità idraulica era di nodale importanza, in quanto in passato si era verificato nella zona un alluvione;
  5. b) la procedura di cui all’art. art. 14 ter comma 7 della legge n. 241/1990 non poteva applicarsi alla procedura di Via, per cui la mancata partecipazione del Consorzio di Bonifica e dell’Asl alla seduta conclusiva della conferenza di servizi implicava la impossibilità di ritenere acquisito l’assenso di questi Enti.
  6. c) il progetto era stato a più riprese (3 volte) modificato in maniera sostanziale, e novativa: era stato violato l’art. 15 bis della legge regionale n.9/1999 in quanto l’integrazione documentale era stata plurima e non unica come previsto ex lege;

inoltre era stata erroneamente disconosciuta la violazione del disposto di cui all’art. 18 comma 7 e 16 comma 1 della legge regionale n.9/1999: il termine di conclusione del procedimento (violato, nel caso di specie)non era posto a presidio dei soli interessi del proponente, ed il ritardo in cui era incorsa l’Amministrazione era inequivocabile;

  1. d) numerose e molteplici erano state le carenze istruttorie della valutazione finale della Via (originario quarto motivo del ricorso di primo grado), come dimostrato dalle consulenze di parte versate agli atti del procedimento, che il Tar aveva erroneamente misconosciuto, o sulle quali aveva addirittura omesso di pronunciarsi, in quanto:
  2. I) non era stata valutata la c.d. “opzione zero”;
  3. II) non erano state vagliate ulteriori ipotesi di localizzazione;

III) non era stato valutato l’inquadramento socioeconomico della componente agricola ed agroalimentare;

  1. IV) non era stato valutato l’impatto dell’opera/impianto sulla saluta umana siccome invece prescritto dall’ art. 1 e dall’ Allegato C alla legge n.9/1999;
  2. d) anche gli atti confluiti ed “assorbiti” nel procedimento di Via (tra cui l’AIA) in quanto affetti dai medesimi vizi, dovevano essere annullati;
  3. In data 14. 4.2016 la società Officina dell’Ambiente s.p.a si è costituita con atto di stile chiedendo la reiezione del ricorso in appello.
  4. In data 23. 4.2016 la Provincia di Ravenna si è costituita depositando una memoria e chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato
  5. In data 2.5. 2016 la Regione Emilia-Romagna si è costituita depositando una memoria e chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.
  6. In data 2.5. 2016 la società Officina dell’Ambiente s.p.a ha depositato una memoria ed ha chiesto la declaratoria di inammissibilità (per carenza di interesse) ovvero la reiezione dell’appello in quanto infondato
  7. Alla adunanza camerale del 5 maggio 2016 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività dell’impugnata decisione la causa su congiunta richiesta delle parti è stata rinviata al merito.
  8. In data 29.12.2016 la Provincia di Ravenna ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese e facendo presente che i controlli eseguiti recentemente (mentre il contestato impianto era operante ed a regime) sulle emissioni nell’aria, nell’acqua, e nel suolo provenienti dall’impianto avevano dato atto dell’ avvenuto rispetto da parte della appellata società di tutte le prescrizioni, a testimonianza della insussistenza dei paventati pericoli di compromissione all’ambiente ed agli interessi delle società originarie ricorrenti.
  9. In data 2.1.2017 la Regione Emilia-Romagna ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese e facendo presente che neppure l’area in oggetto poteva essere considerata “distretto agro-alimentare di qualità” e, invece, nell’area di Conselice erano presenti industrie di tutti i tipi.
  10. Alla odierna pubblica udienza del 2 febbraio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. L’appello è infondato e va respinto.

1.1. Preliminarmente il Collegio fa presente che a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015); del pari in via preliminare, si evidenzia che secondo il consolidato canone tempus regit actum non spiegano rilievo nella presente controversia gli esiti dei controlli disposti ed eseguiti dalla Provincia di Ravenna in epoca successiva alla proposizione del ricorso di primo grado ed al deposito della sentenza impugnata e da questa depositati in vista della odierna pubblica udienza.

1.2. L’eccezione di inammissibilità dell’appello principale proposta dalla società appellata Officina dell’Ambiente s.p.a. – Oda, è palesemente inaccoglibile: essa (pagg. 7-10 della memoria depositata il 2.5.2016) sostiene che sarebbe carente l’interesse a ricorrere, sulla scorta di un convincimento che introduce argomenti di puro merito; ivi si evidenzia infatti che, in quanto l’impianto assentito, sarebbe destinato a sostituire un pregresso impianto destinato alla colorazione delle ceramiche ( e quindi, in tesi, maggiormente inquinante) il “ saldo ambientale” sarebbe positivo, e la società odierna appellante principale non avrebbe interesse a dolersi della rilasciata autorizzazione. La inaccoglibilità dell’eccezione è evidente in quanto la parte appellante potrebbe avere interesse a che nessun ulteriore impianto produttivo venga autorizzato nell’area; essa ha vibratamente ribadito il proprio permanente interesse all’impugnazione; l’eccezione non soddisfa i requisiti (ex aliis Consiglio di Stato sez. V 15 giugno 2015 n. 2952 ) che ad avviso della condivisibile giurisprudenza postulano che ogni ipotesi di originaria –o sopravvenuta- carenza di interesse vada vagliata con assoluto rigore e va pertanto disattesa.

  1. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), è evidente che in ordine logico è prioritario lo scrutinio del terzo motivo dell’appello principale nell’ambito del quale si censura la sentenza suindicata (in particolare, il capo 12) per avere disconosciuto la pluralità di integrazioni progettuali richieste ed effettuate nel corso del procedimento e la violazione del termine di conclusione del procedimento, e per conseguenza, la supposta violazione dell’articolo 16 dell’articolo 15 bis della legge regionale n. 9/1999 e succ. mod.

2.1. Va innanzitutto rilevato che l’appellante non ha censurato il capo della sentenza di primo grado che ha affermato che ratione temporis la legge applicabile alla procedura era quella (contenuta nel testo originario della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 recante la “disciplina della procedura di valutazione dell’impatto ambientale”) vigente al momento della presentazione della istanza (13 aprile 2011) e non invece la predetta legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 nella versione modificata dalla successiva legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012.

E comunque, la tesi a tratti affiorante dagli scritti difensivi (tesa ad affermare che in relazione alle plurime integrazioni progettuali richieste sarebbe stato necessario applicare il testo della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 nella versione modificata dalla legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012) sarebbe stata ed è all’evidenza, inaccoglibile, collidendo proprio con la norma transitoria contenuta nel testo di legge in ultimo citato all’art. 34 della legge regionale n. 3 del 2012 che così prevede al comma 1: “ Le procedure di verifica (screening) e le procedure di V.I.A. la cui domanda sia stata presentata prima dell’entrata in vigore della presente legge sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento della presentazione della domanda.”.

 

2.2. Deriva da ciò che nell’economia della doglianza (e dell’intero appello) risultano perlomeno incongrui i richiami a disposizioni della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 nella parte in cui quest’ultima è stata modificata dalla successiva legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 3 del 2012.

2.3. Senonchè, parte appellante riferisce la censura anche alle disposizioni del testo della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 9 del 1999 antevigenti rispetto alla “novella” di cui alla legge regionale n. 3/2012: unicamente con riferimento a queste ultime quindi, si svolgerà lo scrutinio del Collegio, essendo infondate (se non inammissibili) per tabulas censure di violazione di legge articolate con riguardo ad una disciplina ritenuta ratione temporis inapplicabile dal T.a.r. con un capo di sentenza non specificamente censurato (si fa riferimento all’art. 15 bis ed al testo del novellato art. 18 della legge regionale n. 9/1999 ad opera, sempre, della legge regionale n. 3/2012)

2.2.1. Il quadro normativo applicabile alla fattispecie si compone dell’antevigente testo dell’art. 13 commi3 e 4 della legge n. 9/1999 pacificamente applicabile alla fattispecie per cui è causa (“

  1. L’autorità competente può richiedere, per una sola volta, le integrazioni ed i chiarimenti necessari. La richiesta sospende i termini del procedimento. 4. È in ogni caso facoltà del proponente presentare, per una sola volta, eventuali integrazioni.”) dell’antevigente testo dell’art. 18 commi 7 ed 8 della detta legge (“7. I lavori della conferenza di servizi si concludono entro 100 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14. Tale termine è ridotto a 85 giorni per i progetti assoggettati alla procedura di verifica (screening), di cui al titolo Il.
  2. Nei casi in cui sia necessario procedere ad accertamenti od indagini di particolare complessità, l’autorità competente può prorogare, con propria motivata deliberazione, il termine di cui al comma 7 fino ad un massimo di ulteriori 60 giorni. La proroga si applica anche al termine di cui al comma 1 dell’art. 16.».”) e della previsione contenuta negli artt. 208 commi 8 e 9 del d.Lgs n. 152/2006 (“8. L’istruttoria si conclude entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 con il rilascio dell’autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa.
  3. I termini di cui al comma 8 sono interrotti, per una sola volta, da eventuali richieste istruttorie fatte dal responsabile del procedimento al soggetto interessato e ricominciano a decorrere dal ricevimento degli elementi forniti dall’interessato.”).

Risulta altresì rilevante la prescrizione contenuta nell’ art. 16 comma I della legge regionale n. 9/1999 nel testo antecedente alle modifiche intervenute nel 2012 “1. L’autorità competente delibera la valutazione d’impatto ambientale (VIA), entro 120 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14, esprimendosi contestualmente sulle osservazioni, i contributi e le controdeduzioni. Tale termine è ridotto a 105 giorni per i progetti assoggettati alla procedura di verifica (screening), di cui al titolo II. ”.

2.2.2. La ratio della censura mossa dall’appellante è chiara, e muove dalla premessa che i termini di conclusione del procedimento delineato nelle citate disposizioni siano perentori (e che gli sbarramenti ivi contenuti relativi alla possibilità per il richiedente di integrare la documentazione sottesa alla istanza in ipotesi di ravvisata incompletezza della stessa siano tassativi).

2.2.3. Così tuttavia non è in quanto:

  1. a) con riferimento ai termini di conclusione del procedimento, è la stessa disposizione nazionale invocata dall’appellante (art. 208 d.Lgs n. 152/2006) a stabilire al comma 10 che, in ipotesi di sforamento dei termini, il procedimento non si interrompa né si perima, ma che, al contrario, continui previa attivazione dei poteri sostitutivi governativi (“10. Ferma restando la valutazione delle eventuali responsabilita’ ai sensi della normativa vigente, ove l’autorità competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”);

a1) pare al Collegio che quanto sopra offra un sicuro referente ermeneutico, nel silenzio, in proposito, serbato dalla legge n. 9/1999, per ritenere che la critica appellatoria non sia condivisibile;.

  1. b) con riguardo alle plurime integrazioni documentali richieste, i commi 3 e 4 dell’art. 13 della legge n. 9/1999 (“3. L’autorità competente può richiedere, per una sola volta, le integrazioni ed i chiarimenti necessari. La richiesta sospende i termini del procedimento.
  2. È in ogni caso facoltà del proponente presentare, per una sola volta, eventuali integrazioni.”) effettivamente restringono ad una sola volta la possibilità di integrazioni e chiarimenti;
  3. c) è agevole riscontrare, però, che la detta disposizione, ove violata, non determini altra conseguenza che quella di un possibile superamento dei termini di conclusione del procedimento;
  4. d) il Collegio ben conosce la giurisprudenza citata da parte appellante (Consiglio di Stato, sez. V, 10/07/2012, n. 4068) peraltro condivisa da qualificata giurisprudenza di primo grado (ex aliisA.R. Bari, -Puglia-, sez. I, 29/01/2013, n. 109 “la conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale è sottoposta al termine di centocinquanta giorni dalla presentazione dell’istanza, ai sensi dell’art. 26 del d.Lgs.. 3 aprile 2006 n. 152. L’obbligo per l’amministrazione preposta di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale costituisce principio fondamentale della materia non derogabile dalle regioni e dagli enti delegati.”) senonchè:
  5. I) la circostanza che i termini siano perentori implica che (come acutamente colto dal T.a.r.) l’interessato possa agire ex artt, 31 e 117 nei confronti dell’Amministrazione;
  6. II) seppur però si possa concordare con l’appellante circa la considerazione che i termini ivi previsti non siano dettati nell’esclusivo interesse del richiedente, ma rispondano anche ad un generale interesse collettivo di celerità, la circostanza che sia previsto un potere sostitutivo statuale implica che in nessun caso (e quindi neppure laddove il superamento dei termini sia dipeso dalla necessità di procedere più volte a richiedere integrazioni e chiarimenti) si possa verificare l’interruzione/estinzione del procedimento senza che sia intervenuta la pronuncia finale;

III) invero, è stato a più riprese in passato affermato che (T.A.R. Potenza, -Basilicata-, sez. I, 16/04/2010, n. 204) “Il potere sostitutivo è collegato a posizioni di controllo o di vigilanza, ovviamente esulanti da relazioni di tipo gerarchico, che può essere esercitato dallo Stato o dalla Regione soltanto in relazione ad attività rispettivamente regionali e locali di carattere obbligatorio, sostanzialmente prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), sia perché sottoposte per legge a termini perentori, sia per la natura degli atti da compiere, la cui obbligatorietà costituisca il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia è preordinato l’intervento sostitutivo; si tratta, quindi, di un potere strumentale rispetto all’esecuzione o all’adempimento di obblighi ovvero rispetto all’attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi preminenti in grado di permettere allo Stato o alla Regione, quando ricorrano le necessarie condizioni di forma e di sostanza per un intervento sostitutivo, di superare, in via del tutto eccezionale, la separazione delle competenze tra lo Stato, le regioni e gli enti locali”;

  1. IV) ed a tale proposito, si rammenta che la giurisprudenza ha avuto occasione di soffermarsi in ordine alla avvenuta – o meno- consumazione del potere in origine attribuito ad una data Autorità, allorquando si verifichino i presupposti per l’esercizio di poteri sostitutivi, stabilendo che il mero inverarsi del presupposto di legge (nel caso di specie scadenza dei termini) non implichi l’avvenuta consumazione del potere in capo all’Autorità originariamente individuata qual competente a provvedere, mentre la detta consumazione si verifica invece laddove l’Autorità deputata all’esercizio del potere sostitutivo si insedi, e soltanto da quel momento (T.A.R. Catanzaro, -Calabria-, sez. II, 21/01/2016, n. 114 con riferimento all’esercizio del potere sostitutivo da parte del commissario ad acta );
  2. V) analoghe considerazioni circa la non consumazione del potere e/o illegittimità dell’atto finale “legata” al superamento dei termini infraprocedimentali, si desumono dall’art. 23 comma IV del d.Lgs n. 152/2006 (“4. Entro trenta giorni l’autorita’ competente verifica la completezza della documentazione e l’avvenuto pagamento del contributo dovuto ai sensi dell’art. 33. Qualora l’istanza risulti incompleta, l’autorita’ competente richiede al proponente la documentazione integrativa da presentare entro un termine non superiore a trenta giorni e comunque correlato alla complessita’ delle integrazioni richieste. In tal caso i termini del procedimento si intendono interrotti fino alla presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine stabilito il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti e, l’istanza si intende ritirata. E’ fatta salva la facolta’ per il proponente di richiedere una proroga del termine per la presentazione della documentazione integrativa in ragione della complessita’ della documentazione da presentare”) e dal successivo art. 24 comma 9 (“9. Entro trenta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 4, il proponente puo’ chiedere di modificare gli elaborati, anche a seguito di osservazioni o di rilievi emersi nel corso dell’inchiesta pubblica o del contraddittorio di cui al comma 8. Se accoglie l’istanza, l’autorita’ competente fissa per l’acquisizione degli elaborati un termine non superiore a quarantacinque giorni, prorogabili su istanza del proponente per giustificati motivi, ed emette il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale entro novanta giorni dalla presentazione degli elaborati modificati”);
  3. VI) ne consegue che, in carenza di esercizio del potere sostitutivo da parte dell’Autorità Statuale l’avvenuto superamento dei termini non vizi l’esercizio del potere da parte dell’Autorità regionale.

In conclusione, appare condivisibile il principio ricavabile da qualificata giurisprudenza secondo cui nella materia in oggetto è comunque preminente l’interesse alla conclusione del procedimento tanto che, si è affermato (T.A.R. Trieste, -Friuli-Venezia Giulia-, sez. I, 11/03/2010, n. 170 ) “il formarsi di un silenzio inadempimento sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale per inerzia della p.a. è impedito dalla facoltà, che deve ritenersi concessa al privato, ai sensi dell’art. 5, d.Lgs. n. 112 del 1998, di eccitare i poteri sostitutivi del Consiglio dei ministri, previsti da tale norma”.

2.2.4. Adabundantiam può poi evidenziarsi che la correttezza del ragionamento sinora seguito è comprovata, ex post, proprio dal testo della disposizione di cui all’art. 15 bis della legge n. 9/1999, introdotta dalla legge n. 3/2012 e che, come si è già visto, è inapplicabile alla odierna vicenda procedimentale e processuale. Tale disposizione, infatti, così prevede: “1. L’autorità competente può richiedere al proponente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 15, comma 1, in un’unica soluzione, integrazioni alla documentazione presentata, con l’indicazione di un termine per la risposta che non può superare i quarantacinque giorni, prorogabili, su istanza del proponente, per un massimo di ulteriori quarantacinque giorni. L’autorità competente esprime il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale entro novanta giorni dalla presentazione della documentazione integrativa. Nel caso in cui il proponente non ottemperi alle richieste di integrazioni da parte dell’autorità competente, non presentando gli elaborati modificati, o ritiri la domanda, l’autorità competente non procede all’ulteriore corso della valutazione.

  1. Il proponente può chiedere, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 15, comma 1, per una sola volta, di modificare gli elaborati, anche a seguito di osservazioni o di rilievi emersi nel corso dell’istruttoria pubblica o del contraddittorio di cui all’articolo 15, commi 3 e 4. Se accoglie l’istanza, l’autorità competente fissa per l’acquisizione delle modifiche un termine non superiore a quarantacinque giorni, prorogabili, su istanza del proponente per giustificati motivi, per un massimo di ulteriori quarantacinque. Il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale è adottato entro novanta giorni dalla presentazione degli elaborati modificati.
  2. L’autorità competente, ove ritenga che le integrazioni e le modifiche apportate ai sensi dei commi 1 e 2 siano sostanziali e rilevanti per il pubblico, dispone che il proponente depositi copia delle stesse per sessanta giorni su supporto cartaceo e contestualmente ne dia avviso con le modalità di cui all’articolo 14. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione del progetto emendato chiunque abbia interesse può prendere visione del progetto e del relativo S.I.A. e presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi in relazione alle modifiche apportate agli elaborati ai sensi dei commi 1 e 2. In questo caso, l’autorità competente esprime il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale entro novanta giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni.”.

La sola circostanza che il Legislatore regionale del 2012 abbia sentito la necessità di dettare una norma puntuale sì stringente, sotto il profilo della tempistica, comprova ex post che il testo originario della legge n. 9 del 1999 non contemplava una simile possibilità.

2.2.5. In ultimo, la tesi di parte appellante non appare condivisibile in quanto accomuna le modifiche/integrazioni progettuali rese dall’impresa motu proprio, e quelle richieste dall’Amministrazione procedente: a tutto concedere, la critica appellatoria potrebbe essere condivisibile laddove ci si trovi in presenza di un progetto originariamente incompleto, (laddove la incompletezza sia “imputabile” alla società istante) che rese necessaria la presentazione di integrazioni: detta critica invece non regge laddove le modifiche/integrazioni si siano rese necessarie in corso di procedimento, ed a cagione delle osservazioni dell’Amministrazione procedente posto che tale “evento” è la conseguenza “propria” e fisiologica dell’interlocuzione dell’Amministrazione e che, di converso, una simile interpretazione renderebbe frustranea proprio tale rapporto dialogico che la norma mira a perseguire.

Argomentando diversamente, si renderebbe l’Amministrazione arbitro di una possibile interruzione del procedimento, attraverso l’escamotage di una plurima richiesta documentale (in teoria anche indebita, ultronea, etc).

La doglianza deve pertanto essere disattesa.

  1. Merita un approfondito esame il primo motivo di appello, con il quale è stato sottoposto a stringente critica (anche ex art. 112 cpc) il capo 10 della impugnata decisione; esso è incentrato sulla violazione degli artt. 16 (“Valutazione d’impatto ambientale (VIA). 1. L’autorità competente delibera la valutazione d’impatto ambientale (VIA), entro 120 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14, esprimendosi contestualmente sulle osservazioni, i contributi e le controdeduzioni. Tale termine è ridotto a 105 giorni per i progetti assoggettati alla procedura di verifica (screening), di cui al titolo II.
  2. In materia di lavori pubblici la valutazione di impatto ambientale (VIA), è resa nei termini previsti dal comma 5 dell’art. 7, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni ed integrazioni.
  3. La deliberazione, a cura dell’autorità competente, è comunicata al proponente ed alle amministrazioni interessate ed è pubblicata per estratto nel Bollettino Ufficiale della Regione.
  4. Le autorità competenti informano annualmente il Ministro dell’Ambiente circa i provvedimenti adottati e le procedure di VIA in corso. ”)e 18 (“. Il testo originario era così formulato: «Art. 18. Conferenza di servizi. 1. Nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale l’autorità competente indice, entro 10 giorni dalla pubblicazione dell’avviso di deposito degli elaborati nel Bollettino Ufficiale della Regione, una conferenza di servizi per l’acquisizione degli atti necessari alla realizzazione del progetto, di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 17. Dell’indizione della conferenza di servizi è data tempestiva comunicazione alla Regione.
  5. La conferenza di servizi provvede anche all’esame del progetto e si svolge con le modalità stabilite dagli artt. 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato ed integrato dall’art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127.
  6. L’ufficio competente, entro 60 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14, predispone un rapporto sull’impatto ambientale del progetto e lo invia alle amministrazioni convocate. Il rapporto sull’impatto ambientale è, altresì, inviato al proponente che può fornire le proprie controdeduzioni o richiedere di essere sentito dalla conferenza di servizi.
  7. Ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante, legittimato dagli organi istituzionalmente competenti ad esprimere definitivamente ed in modo vincolante la volontà dell’ente su tutti gli atti di propria competenza.
  8. Il dissenso manifestato in sede di conferenza di servizi deve essere motivato ed indicare le specifiche modifiche e prescrizioni ritenute necessarie ai fini dell’assenso. Le determinazioni conclusive possono motivatamente discostarsi dai pareri non vincolanti espressi nell’ambito della conferenza di servizi.
  9. Il parere previsto al comma 2 dell’art. 5, del D.P.R. 12 aprile 1996 è reso, dalle province, dai comuni e dagli Enti di gestione di aree naturali protette interessati, in sede di conferenza di servizi.
  10. I lavori della conferenza di servizi si concludono entro 100 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione di cui al comma 2 dell’art. 14. Tale termine è ridotto a 85 giorni per i progetti assoggettati alla procedura di verifica (screening), di cui al titolo Il.
  11. Nei casi in cui sia necessario procedere ad accertamenti od indagini di particolare complessità, l’autorità competente può prorogare, con propria motivata deliberazione, il termine di cui al comma 7 fino ad un massimo di ulteriori 60 giorni. La proroga si applica anche al termine di cui al comma 1 dell’art. 16.».”) della legge regionale n. 9 del 1999 a cagione della mancanza di una verbalizzazione puntuale della seduta della conferenza di servizi e dei sopralluoghi effettuati della conferenza stessa

3.1. Per quanto prima chiarito, il testo legislativo che costituisce il parametro di scrutinio della censura è quello rappresentato dalla legge regionale suddetta, antecedente alle modifiche ad esso apportate dalla legge n. 3/2012.

3.2. E si osserva in proposito che:

  1. I) l’obbligo di verbalizzazione delle singole sedute della conferenza di servizi e delle singole posizioni espresse dai partecipanti alla stessa non si rinviene né nelle disposizioni della legge regionale, né sub art. 14 della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990;
  2. II) al contrario, è principio contenuto nelle norme in ultime citate quello secondo il quale la conferenza di servizi, che costituisce un subprocedimento, si conclude con un verbale. Con riferimento al contenuto del verbale, esso deve essere conforme alle risultanze della conferenza e tenuto conto delle posizioni prevalenti emerse;

III) ne discende che non solo il T.a.r. non ha frainteso la sostanza della censura prospettata in primo grado, né ha omesso di pronunciarsi sulla censura (siccome sostenutosi a pag. 13 dell’atto di appello) ma, al contrario, l’approdo raggiunto in primo grado è certamente corretto, ove si consideri che neppure parte appellante nega che il rapporto ambientale dia atto del dipanarsi dei lavori;

  1. IV) il principio generale (affermato dalla uniforme giurisprudenza amministrativa a proposito della verbalizzazione dei lavori delle commissioni delle gare pubbliche) è quello per cui la analitica verbalizzazione dei lavori seduta per seduta deve essere imposto da una puntuale norma di legge (Consiglio di Stato sez. III 01 settembre 2014 n. 4449 T.A.R. Trento -Trentino-Alto Adige- sez. I 16 luglio 2012 n. 241): la tesi di parte appellante è inaccoglibile, quindi, sotto il profilo formale, alla stregua di quanto si è finora affermato.

3.2.1. Sotto il profilo sostanziale, poi, la lesione sarebbe rappresentata dal dubbio circa la posizione espressa dalla Asl dall’Arpa e dal Consorzio di Bonifica: senonchè, non è risultata smentita la circostanza che dette amministrazioni non erano quelle preposte a decidere della questione, ma le prime due erano state chiamate unicamente a fornire un apporto istruttorio e la terza a fornire un atto di assenso (art. 18 comma 6 della legge regionale n. 9/1999 suindicato: “ Il parere previsto al comma 2 dell’art. 5, del D.P.R. 12 aprile 1996 è reso, dalle province, dai comuni e dagli Enti di gestione di aree naturali protette interessati, in sede di conferenza di servizi.”); e questi atti sono stati resi, come si evince dal rapporto ambientale; ne discende la infondatezza della censura, mentre è evidente che –come già colto peraltro dal T.a.r.- il richiamo contenuto nella delibera regionale al disposto dell’art. 14 ter comma 7 della legge n. 241/1990 (“Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumita’, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volonta’ dell’amministrazione rappresentata”)è non solo ultroneo, ma anche fuorviante, come del resto si chiarirà immediatamente di seguito.

3.3. Quanto al secondo motivo del ricorso in appello (teso a criticare il capo 11 della impugnata decisione), incentrato sulla asserita violazione proprio del comma 7, dell’articolo 14 ter della legge n. 241 del 1990, la semplice lettura della censura (che riporta erroneamente il dettato della norma, riferendolo ai “procedimenti”, piuttosto che ai “provvedimenti”) ne dimostra la inconducenza.

Premesso che l’atto di assenso del Consorzio risulta acquisito, le ulteriori amministrazioni chiamate a partecipare alla Conferenza, non erano chiamate ad altro che a rendere un apporto istruttorio; esso è stato reso ( come prima chiarito in quanto di ciò si dà atto nel Rapporto finale)e da quanto rilevato, discende che non si vede per quale ragione la partecipazione di queste ultime alla seduta finale avrebbe costituito momento procedimentale essenziale ed in grado di viziare il provvedimento finale, ove carente.

  1. Con il motivo IV del ricorso in appello, vengono riproposte le doglianze attingenti i capi 13 e segg. della impugnata decisone, laddove sono state respinte le censure incentrate sugli asseriti vizi motivazionali e sulle carenze istruttorie alle base delle valutazioni effettuate nel procedimento di VIA.

4.1. Il Collegio non può seguire l’appellante nel percorso ipotizzato nel predetto motivo di appello, per più ragioni:

  1. a) innanzitutto si rammenta che per condivisa giurisprudenza (tra le tante, T.A.R. Parma, -Emilia-Romagna-, sez. I, 30/06/2016, n. 218; Consiglio di Stato sez. V 11 luglio 2016 n. 3059) “il giudizio di compatibilità ambientale è reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal Giudice Amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico — amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico — sociale) e privati”; è stato inoltre condivisibilmente rilevato (T.A.R. Venezia, -Veneto-, sez. III, 25/03/2016, n. 311) che “la valutazione d’impatto ambientale, in quanto finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, non si risolve in un mero giudizio tecnico, presentando profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dall’amministrazione quando non siano manifestamente illogiche e incongrue.”;
  2. b) non volendo decampare da tali principi, si evidenzia che non sussiste alcun vizio di abnormità e/o manifesta irragionevolezza, in quanto:
  3. I) la c.d. “opzione zero” (e cioè quella di allocazione in altro sito dell’impianto) è stata in realtà valutata: non altro senso infatti può darsi alle considerazioni mercè le quali si è rilevato che l’impianto sorgerebbe in area occupata in passato da altro impianto (sebbene dismesso) ed autorizzare ivi l’opera avrebbe consentito di privilegiare un obiettivo (quello di evitare ulteriore consumo di suolo) che certamente rientra nella discrezionalità dell’Autorità procedente;
  4. II) il Sia ha vagliato la circostanza che nell’area erano presenti coltivazioni: non v’è quindi difetto di istruttoria, e la censura si risolve in una critica sull’ampiezza della motivazione (ci si duole che a tale versante di indagine sia stato dedicato soltanto un paragrafo) che non dimostra alcuna illegittimità;

III) è stata nel Sia esclusa la ipotizzabilità di significativi impatti dell’impianto sull’ ambiente circostante, il che induce a ritenere eccessivi i ragionamenti ipotetici dell’appellante in ordine al possibile impatto negativo sulle aziende agricole biologiche e sulla fauna e gli allevanti circostanti;

  1. IV) la fragilità alluvionale dell’area è stata analizzata, e correttamente nella sentenza di prime cure si è dato atto che l’”evento” successivamente verificatosi non manifesta alcuna interferenza causale rispetto all’impianto (parte appellante stessa sembra con ciò convenire, allorchè, a pag. 35 dell’appello non ritiene di approfondire la causale dell’evento): ma allora, la censura si risolve nel ritenere il sito totalmente inadatto ad ospitare qualsiasi genere di impianto, il che contrasta con la vocazione, anche urbanistica, del medesimo;
  2. V) in ultimo, è stata valutata sia la presenza di altri insediamenti inquinanti sull’ area (impianto di combustione olii di pertinenza di Unigrà) e l’impatto sulla salute umana: la valutazione di non significatività delle future emissioni in atmosfera non è stata persuasivamente censurata facendo riferimento a valutazioni scientifiche: ci si limita, anche in questo caso, a dolersi dell’approfondimento motivazionale, denunciando che manca un apposito paragrafo del rapporto ambientale dedicato a tale aspetto, ma come dal T.a.r. osservato la sola circostanza che nel rapporto Aia sono stati indicati limiti alle emissioni smentisce la sussistenza del denunciato vizio di carenza di istruttoria.

4.Quanto al quinto motivo di appello, ove si ripropone il vizio di invalidità derivata e si censurano le statuizioni contenute ai capi 14 -16 della impugnata sentenza, si osserva che la immunità da vizi degli atti prima valutati esonera il Collegio da una reiterazione delle argomentazioni sinora esposte.

  1. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto

5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

5.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

  1. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, e pertanto la parte appellante deve essere condannata in solido al pagamento delle medesime in favore della parte appellata, nella misura che appare equo determinare in complessivi Euro novemila (€ 9000//00) – e quindi Euro tremila per ciascuna parte- oltre oneri accessori, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna in solido parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte appellata nella misura di complessivi Euro novemila (€ 9000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

 

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