Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 20 luglio 2016 n.3250. E’ irragionevole la scelta urbanistica di trasformare un’area a vocazione industriale in area abitativa senza motivare sulla compatibilità fra di esse.

In sede di pianificazione generale del territorio, l’ampia discrezionalità di cui il Comune dispone in ordine alle scelte sulla destinazione dei suoli, non richiede una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali cui s’ispira il piano urbanistico comunale, che può esser censurata  quando appaia manifestamente illogica, irragionevole, contraddittoria, errata nei presupposti o viziata nel procedimento.piano urbanistico E’ affetta da irragionevolezza la scelta del Comune di trasformare un’area attigua a vocazione industriale, in area abitativa, per non aver considerato l’esistenza di una compatibilità equilibrata le due aree a differente vocazione urbanistica, e per non aver predisposto nel piano ab initio e con efficacia generale e non estemporanea, un complesso di regole ed indicazioni circa la compatibilità delle due vicende, ossia sul modo del corretto inserimento nel contesto esistente, in termini di distanze, altezze, dotazione e localizzazione degli standard.

motivazione redatta da: Gloria Sdanganelli ©

testo integrale

FATTO e DIRITTO

1. – La Duca Visconti di Modrone s.p.a., corrente in Milano, dichiara d’essere un’industria tessile che opera, tra l’altro, nel suo storico stabilimento sito in Vaprio d’Adda (MI), lungo la riva del Naviglio della Martesana, in un’area finora a vocazione industriale e priva di insediamenti abitativi.

Detta Società rende nota l’emanazione della deliberazione n. 42 del 31 luglio 2007 (in BUR n. 42 del 17 ottobre 2007), con cui il Consiglio comunale di Vaprio d’Adda approvò in via definitiva il nuovo PGT. Quest’ultimo classificò il terreno adiacente a quello dov’è sito lo stabilimento attoreo, anch’esso in precedenza qualificato come industriale —pur se ora con opifici dismessi da tempo—, qual ambito di trasformazione da attuare con programmi integrati d’intervento – PII, classificandolo come AF1.

Detta Società fa presente pure che, in base al PGT ed al suo piano delle regole, le aree classificate AF avrebbero avuto una destinazione d’uso complessa, legata alla residenza, al commercio ed al terziario, con esclusione di altre destinazioni, per quelle AF1, di ogni tipo di quelle produttive ed agricole, nonché di quella per la produzione d’energia e di TLC e di quella commerciale per esercizi di vendita con superficie superiore a mq 1500.

2. – Detta Società, reputando pregiudizievole per il mantenimento e l’espansione futura dell’attività industriale tal previsione di PGT, adì allora il TAR Milano, con il ricorso n. 50/2008 RG. Essa dedusse in punto di diritto l’unico, articolato motivo dell’irragionevole scelta di trasformare l’area adiacente al proprio stabilimento in una zona abitativa, senza tener conto né del contesto esistente, né della necessità di un’adeguata distanza tra l’opificio e l’insediamento abitativo, né dell’eventuale sviluppo produttivo futuro. A seguito del deposito documentale da parte del Comune intimato, la ricorrente l’8 maggio 2008 depositò un atto per motivi aggiunti, deducendo altresì: 1) – l’omesso coinvolgimento dell’ARPA Lombardia nel procedimento di VAS sull’impugnato PGT; 2) – la indeterminatezza del Piano delle regole, che è parte integrante del PGT, sui criteri direttivi cui si sarebbero dovuti attenere gli strumenti attuativi, ai quali sarebbero stati così delegati “in bianco” i mutamenti di destinazione in argomento.

Con sentenza n. 425 del 6 febbraio 2012, l’adito TAR Milano ha respinto il gravame introduttivo —prescindendo dall’esame delle eccezioni sul difetto dell’interesse azionato e sulla non integrità del contraddittorio processuale— mentre ha dichiarando irricevibile l’atto per motivi aggiunti.

3. – Ha appellato detta Società, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza per: A) – non aver considerato che s’è lamentata non già la destinazione impressa all’area adiacente alla propria, bensì «… l’assoluta mancanza di criteri di armonizzazione fra l’uso produttivo esistente e le nuove destinazioni previste a confine… non… accompagnat(e) da destinazioni ed indicazioni precise in ordine ad un corretto inserimento nel contesto del tessuto esistente…», finendo così «… per delegare “in bianco” gli strumenti attuativi tali determinazioni…»; B) – per aver dichiarato irricevibili i motivi aggiunti, giacché nella specie la piena conoscenza degli atti così gravati è avvenuta non al momento dell’avviso della pubblicazione del PGT nel BUR, ma proprio attraverso il deposito dei relativi allegati nel fascicolo della causa innanzi al TAR, donde la riemersione di tali motivi in questa sede.

Il Comune intimato resiste in giudizio ed eccepisce l’inammissibilità dell’appello e del ricorso al TAR per carenza dell’interesse azionato, nonché la nuova deduzione in appello del motivo circa il mancato rispetto dell’art. 10 della l.r. 12/2005 e, nel merito, l’infondatezza del ricorso in epigrafe. Si è costituita nel presente giudizio pure la controinteressata Immobiliare LAPO s.r.l., eccependo sia le stesse deduzioni del Comune di Vaprio d’Adda, sia l’omessa estensione del contraddittorio alla propria dante causa Castelli Gerolamo s.a.s.

4. – Con sentenza non definitiva n. 2993 del 16 giugno 2015, la Sezione ha anzitutto respinto tutte le eccezioni di rito, sollevate sia dall’appellante, sia dalle parti resistenti in primo grado ed in questa sede ribadite.

Inoltre, ha preso in considerazione la più volte dedotta non integrità del contraddittorio nel presente giudizio. In varia guisa la Sezione ha sì osservato che l’impugnazione d’uno strumento urbanistico generale, quand’anche per una parte limitata ad una certa porzione del territorio comunale, riguardi ad ogni modo prescrizioni in incertam personam, relative, cioè, a coloro che sono, saranno o potrebbero essere proprietari delle aree considerate dal PGT. Nondimeno, non risultando chiaro in che cosa si sia sostanziata la predicata posizione di controinteresse in capo alla Castelli Gerolamo s.a.s., la Sezione ha reputato opportuno ordinarne l’intervento, a cura dell’appellante ed ai sensi dell’art. 28, c. 3, c.p.a., donde la notificazione degli atti di causa alla predetta Società.

Sicché, in data 25 giugno 2015, l’appellante ha notificato a detta Società gli atti di causa, ma essa non s’è comunque costituita in giudizio.

Alla pubblica udienza del 12 maggio 2016, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

5. – L’appello è fondato e va accolto.

L’appellante ha dedotto che porre un insediamento abitativo in un contesto territoriale già segnato da vari insediamenti produttivi, non del tutto dismessi, certamente è d’ostacolo non soltanto ad ogni eventuale sviluppo espansivo dell’attività industriale, ma pure al mantenimento in loco di essa, e ha ragione. Infatti, la Sezione, nel valutare l’esistenza e l’attualità dell’interesse attoreo sul punto, ha verificato già la lesività delle predette vicende connesse, discendenti dalla contiguità dell’area produttiva a quella residenziale.

Nel merito, è certo jus receptum (cfr., per tutti, da ultimo, Cons. St., IV, 12 maggio 2016 n. 1907) che, in sede di pianificazione generale del territorio, la discrezionalità, di cui il Comune dispone in ordine alle scelte sulla destinazione dei suoli, è ben ampia e, quindi, in genere non abbisogna di una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali cui s’ispira il PRG.

Sennonché, già il concreto esercizio di tal amplissima discrezionalità del Comune comunque può esser censurato quando appaia manifestamente illogico, irragionevole, contraddittorio, errato nei presupposti o viziato nel procedimento (arg. ex Cons. St., IV, 29 maggio 2015 n. 2685). Sicché, se non è in discussione la scelta di trasformare un’area attigua a quella attorea, che è stata a vocazione industriale e tale resta, non la si può dire in sé razionale, poiché non considera né come, né se vi sia una compatibilità equilibrata (ossia, non sperequata a favore di quella residenziale) tra vocazioni urbanistiche che s’appalesano ictu oculi irriducibili. La ragione è evidente: la prossimità tra tali due aree contigue, appunto a causa della così differente vocazione, determina una contraddizione di fatto, se non nella equanime gestione di esse, poiché quella industriale, che già soggiace a stringenti regole a tutela della salute collettiva e dell’ambiente, sarà via via sempre più recessiva, dovendosi adeguare alle necessarie esigenze dell’altra. Ciò implica, in pratica, la scomparsa progressiva d’ogni attività industriale in loco, con l’aggravio delle condizioni economiche dell’appellante, come d’altra parte di qualunque altra impresa produttiva colà allocata.

Non a caso, l’appellante censura l’irragionevolezza della predetta scelta proprio perché essa non fu accompagnata ab initio e con efficacia generale e non estemporanea, da un complesso di regole ed indicazioni circa la compatibilizzazione delle due vicende, ossia sul modo del corretto inserimento nel contesto esistente, in termini di distanze, altezze, dotazione e localizzazione degli standard.

Non sfugge al Collegio l’essenza programmatoria e strategica del nuovo PGT, ma tal obiezione non è di per sé conducente.

Per vero, spetta già al relativo piano delle regole, che costituisce uno degli atti di cui si compone detto PGT, di fissare i parametri per le nuove costruzioni, giusta quanto dispone l’art. 10, c. 3 della l. reg. Lombardia 11 marzo 2005 n. 12, anche con riferimento agli interventi sostitutivi previsti nel precedente c. 2, II per. A tal riguardo, il TAR ha rammentato che il Documento di inquadramento del PGT del 2005 classificò le aree ex-industriali in questione, a causa della perdita della loro originaria vocazione produttiva, tra quelle oggetto di trasformazione. E ciò al fine di garantirne il recupero urbanistico, da realizzare poi mercé l’equilibrato dosaggio tra le destinazioni ora assentibili insitu. Ma ciò non ha alcun valore connotante di qual debba essere lasedes materiae o, meglio, la fonte-atto ove reperire le regole fondamentali di compatibilità tra uno stabilimento in uso e non fatto cessare in forza del nuovo PGT e le aree viciniori non da normare, ma da attuare con il PII. Come si vede, tal doglianza non vuol dire certo che la disciplina di dettaglio non debba spettare per legge alla pianificazione secondaria, ma solo che si sarebbero dovuti seriamente fissare in PGT, essendone questo il compito, le regole generali di edificazione in un ambito territoriale a vocazione industriale non del tutto dismessa.

Al di là d’ogni altra considerazione, è lo stesso TAR ad ammettere che quest’ultimo «… permetterà di prevedere l’esatta localizzazione degli insediamenti residenziali e terziari, nonché l’introduzione di sistemi che garantiscano la tutela degli abitanti e dell’ambiente in genere, rispetto all’attività produttiva…», onde è evidente che tal attività, pur se non espropriata di diritto, lo sarà nei fatti, mercé una volizione meramente potestativa rimessa allo strumento di dettaglio.

Rettamente, dunque, la Società appellante lamenta sia l’illegittima “delega in bianco” di ciò che il PGT deve prevedere ab initio (affinché tutte le regole siano immediatamente intelligibili a tutti gli operatori e proprietari delle aree coinvolte) alla strumentazione attuativa, sia dell’insufficienza della motivazione del TAR sul punto.

6. – Corretta è altresì l’interpretazione resa dall’appellante sull’ omesso coinvolgimento dell’ARPA Lombardia nel procedimento di VAS sulla formazione del PGT.

Ciò consta dalla stessa documentazione esibita dal Comune intimato, ossia la nota prot. n. 79527 dell’8 giugno 2007. In quella sede (e ciò sarebbe servito nello stesso interesse della pianificazione urbanistica), l’ARPA affermò che essa «… avrebbe potuto fornire ulteriori spunti a quelli contenuti nel documento relativo alla VAS… (, rendendo) … più veloce e definita la ricognizione del quadro ambientale…». Ciò rafforza e non elide punto l’obbligo posto ratione temporis dall’art. 10 del Dlg 3 aprile 2006 n. 152, vecchio testo (ed ora, dal successivo art. 13, c. 5), secondo il quale «… prima dell’approvazione, il piano o programma adottato, oppure… la proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale…devono essere messi a disposizione delle altre autorità che, per le loro specifiche competenze ambientali o paesaggistiche, esercitano funzioni amministrative correlate agli effetti sull’ambiente dovuti all’applicazione del piano o del programma…».

Non ha motivo di dubitare il Collegio della buona fede del Comune, laddove afferma che, in fondo, quel che disse l’ARPA non fu sfavorevole al nuovo PGT e che quest’ultimo ne recepì il contenuto. Non è però chi non veda come la presenza, o no dell’ARPA ai fini della VAS non sia in sé cosa manifestamente indifferente e surrogabile in altro modo. Invero, il diretto coinvolgimento di detto Ufficio implica la formazione d’un consenso condiviso sui contenuti ambientali dello stesso PGT e consente la verifica a priori se realmente il piano incorpori tutte e ciascuna prescrizione suggerita, coordinandole con le altre regole di piano. Tanto soprattutto perché l’ARPA indicò, tra l’altro, pure la necessità di interventi di caratterizzazione e di bonifica di tutti gli ambiti di trasformazione AF, comprese le aree con principale destinazione residenziale, sicché per l’area in questione, finora a vocazione industriale, tali interventi non sarebbero potuti prescindere dalla predefinizione di serie ed accurate modalità suggerite da detto Ufficio.

Viceversa, non convincono le altre doglianze, qui fatte riemergere, dell’atto per motivi aggiunti di primo grado (non esaminati perché, erroneamente, ritenuti tardivi).

In particolare, non sembra che il PGT abbia disatteso o trascurato le osservazioni sulla necessaria conformità degli ambiti di trasformazione, tra cui quelli AF1, al piano territoriale del Parco regionale Adda Nord. Infatti, ciò riguardò un contrasto con le (allora) vigenti norme del PTC del Parco, non già con quelle scaturenti dalla relativa variante adottata con delibera dell’assemblea consortile n. 2 del 16 marzo 2007. Il che vuol dire, come precisò il Comune intimate, che le norme del PGT conformi alla variante in itinere sarebbero soggiaciute ad una condizione sospensiva, divenendo, cioè, efficaci solo dopo la definitiva approvazione della variante stessa dall’Assemblea consortile e dalla Regione Lombardia, come poi in effetti avvenne.

7. – L’appello va accolto nei termini fin qui esposti, ma la complessità della questione suggerisce la compensazione integrale, tra tutte le parti costituite, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 6972/2012 RG in epigrafe), l’accoglie e per l’effetto, in integrale riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado, con salvezza dell’ulteriore attività di riesame in parte qua del nuovo PGT di Vaprio d’Adda.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12 maggio 2016

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