Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 31 marzo 2017 n. 1494

Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile da residenziale a direzionale è da considerarsi giuridicamente rilevante laddove il suo uso diverso, anche se attuato senza opere edilizie a ciò preordinate, comporti l’incremento del carico urbanistico sul tessuto urbano e determini un aggravio di servizi, incidendo sulla viabilità e sul traffico ordinario nella zona interessata, con correlata esigenza di parcheggi nelle aree antistanti o prossime all’immobile.urbanistica x In forza della cornice fornita dall’art. 10, comma 2 del T.U. n. 380/01, la legislazione regionale che disciplina i mutamenti di destinazione d’uso, senza esecuzione di opere edilizie, non può escludere autonomi apprezzamenti del Comune, in merito all’impatto urbanistico che qualsiasi mutamento di destinazione d’uso comporta, e implica che detti mutamenti – anche ove effettuabili senza opere, per immobili, di non minimale consistenza – non possano essere inibiti a chi vi abbia interesse, ma ciò non può precludere la riscossione dei contributi, corrispondenti agli oneri di urbanizzazione, da parte dei Comuni interessati, nel caso in cui in una zona a prevalente vocazione abitativa, gli immobili siano destinati ad usi diversi.

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 31 marzo 2017 n. 1494. Presidente: Poli; relatore: Schilardi

FATTO

1.- Il sig. Paolo Colombo nel 2002 realizzava delle opere interne nell’immobile di sua proprietà, ubicato in piazza Risorgimento nel Comune di Seregno, dichiarando che lo stesso avrebbe conservato la destinazione d’uso residenziale.

Il sig. Colombo vendeva, poi, l’immobile alla società Legalcom s.r.l. che lo trasformava in ufficio per l’esercizio di attività di consulenza fiscale, tributaria e legale (da parte di sei professionisti che dividevano uno spazio pari a circa 200 mq.).

A seguito di un sopralluogo effettuato l’8.7.2003, il Comune di Seregno, con provvedimento n. 4773 del 27.1.2004, irrogava alla società Legalcom s.r.l. la sanzione pecuniaria di euro 23.917,00 (importo pari all’aumento del valore venale dell’immobile, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale n. 1 del 15 gennaio 2001 e della delibera di Giunta n. 202/2001), avendo accertato il mutamento d’uso dell’immobile stesso da “residenziale” a “direzionale”, intervenuto senza autorizzazione e, comunque, non ammissibile a termini del P.R.G. del Comune.

1.2. Avverso il provvedimento sanzionatorio la società Legalcom s.r.l. proponeva ricorso al T.a.r. per la Lombardia assumendo che:

1) non sarebbe da considerare urbanisticamente e giuridicamente rilevante un mutamento d’uso verificatosi solo in fatto, non in diritto, ed oltretutto senza esecuzione di opere edilizie.

2) nessun cambio d’uso – comunque – si sarebbe verificato nel caso di specie, giacché il mutamento d’uso è giuridicamente rilevante solo ove questo comporti un passaggio dall’una all’altra delle categorie urbanistiche individuate dal D.M. del 2.4.1968, norma tutt’ora vigente nell’ordinamento e tale da vincolare il corretto esercizio dell’attività pianificatoria da parte dei comuni.

3) risulterebbe violata la L.R. della Lombardia n. 1/2001, poiché il vigente P.R.G. di Seregno si limita ad indicare nella zona la generica ammissibilità della destinazione residenziale, ma non vieta espressamente eventuali ulteriori destinazioni, anche laddove si ritenesse che lo studio professionale sia una funzione diversa dalla residenza.

4) sarebbe illegittimo il P.R.G. del Comune di Seregno nella parte in cui pretende di considerare l’uso “studio professionale” all’interno della categoria “direzionale”, piuttosto che in quella “residenziale”, in palese violazione dell’art. 5 del D.M. LL.PP. del 2.04.1968.

5) sarebbe illegittimo il criterio di calcolo della sanzione, laddove l’amministrazione resistente ritiene che lo studio professionale possa essere qualificato come rientrante nel c.d. settore “terziario”, nonché il P.R.G. del Comune di Seregno laddove prevede i c.d. “tracciati tematici”.

6) sarebbe illegittima la delibera di definizione dei valori venali di riferimento degli immobili e di quantificazione delle relative sanzioni (delibera di Giunta comunale n. 202 del 5.11.2001) in quanto assunta da organo incompetente.

7) il provvedimento sanzionatorio del Comune sarebbe affetto da carenza istruttoria e difetto di motivazione.

1.3. Il T.a.r., con sentenza n. 4752 del 25 novembre 2005, ha accolto il ricorso limitatamente alla censura relativa alla mancata indicazione dei criteri di determinazione della sanzione pecuniaria, rigettando le altre censure rivolte a contestare la legittimità delle norme urbanistiche locali e degli atti regolamentari strumentati dal Comune e non esaminando gli ulteriori motivi.

1.4. Avverso la sentenza del T.a.r. la società Legalcom s.r.l. ha proposto appello.

1.5. Si è costituito in giudizio il Comune di Seregno concludendo per la reiezione del gravame.

1.6. Nelle more del giudizio, il Comune di Seregno ha adottato, in data 28 febbraio 2006, un nuovo provvedimento sanzionatorio (di pari importo del primo, richiamando i parametri di calcolo contenuti nella delibera n. 202/2001), impugnato dalla società Legalcom s.r.l., con ricorso straordinario al Capo dello Stato.

1.7. La società Legalcom s.r.l., in data 30 giugno 2006, ha provveduto al pagamento della sanzione, con riserva di ripetizione all’esito dei giudizi pendenti.

1.8. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato è stato dichiarato inammissibile con decreto presidenziale del 15 novembre 2011, per il c.d. principio di “alternatività” tra le azioni esperibili, essendo sub judice il ricorso avverso il primo provvedimento sanzionatorio del 2004.

1.9. All’udienza pubblica del 23 marzo 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere respinto.

2.1. Preliminarmente il Collegio:

a) attesa la evidente infondatezza del gravame nel merito, ritiene di non doversi pronunciare sulla eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, formulata dall’Amministrazione con la memoria del 27 luglio 2016, a cagione dell’avvenuto pagamento, da parte della società Legalcom s.r.l., della sanzione pecuniaria disposta con provvedimento comunale del 28 febbraio 2006;

b) prende atto che gli originari sette motivi del ricorso di prime cure – che delimitano il perimetro del thema decidendum del giudizio – sono stati criticamente riproposti in sede di appello (da pagina 5 a pagina 19 del ricorso).

3. Con il primo motivo di gravame, la Società appellante lamenta l’erroneità della sentenza del T.A.R. laddove il Tribunale ha ritenuto che, nel caso di specie, si sia verificato un cambio di destinazione d’uso dell’immobile giuridicamente rilevante.

3.1. La censura non può essere condivisa.

Diversamente da quanto sostiene l’appellante, la società ha destinato l’immobile de quo all’esercizio di attività professionale, determinando un sostanziale e non un “mero” cambio di destinazione d’uso dello stesso, che ha inciso concretamente – variandoli – sugli standard urbanistici.

3.2. Presupposto, infatti, perché il mutamento di destinazione d’uso di un immobile sia da considerarsi giuridicamente rilevante, è che il suo uso diverso, anche se attuato senza opere a ciò preordinate, comporti un maggior peso urbanistico sul tessuto urbano e determini un aggravio di servizi, incidendo sulla viabilità e sul traffico ordinario nella zona interessata, con correlata esigenza di parcheggi nelle aree antistanti o prossime all’immobile.

E in ciò va ricercato, per ricorrente giurisprudenza, “l’ubi consistam del mutamento di destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione locale” (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 3 maggio 2016 n. 1684).

3.3. Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2, comma 2, della legge regionale della Lombardia n. 1 del 15 gennaio 2001, che disciplina i mutamenti di destinazione d’uso, senza esecuzione di opere edilizie, non può escludere autonomi apprezzamenti del Comune, in merito all’impatto urbanistico che qualsiasi mutamento di destinazione d’uso comporta, e implica che detti mutamenti – anche ove effettuabili senza opere, per immobili, come nel caso di specie, di non minimale consistenza (superiore a 150 mq) – non possano essere inibiti a chi vi abbia interesse, ma ciò non può precludere la riscossione dei contributi, corrispondenti agli oneri di urbanizzazione, da parte dei Comuni interessati, nel caso in cui in una zona a prevalente vocazione abitativa, gli immobili siano destinati ad usi diversi.

Corretto risulta, pertanto, l’assunto del giudice di primo grado, laddove osserva che, a prescindere dalla esecuzione o meno di opere all’interno dell’immobile, la società Legalcom s.r.l. ne aveva mutato l’uso di fatto e tale mutazione, qualificabile come uso “direzionale“, ben diverso da quello “residenziale” originario, assumeva rilievo ai sensi degli artt. 1, 2 e 3 della L.R. n. 1/2001 in combinato disposto con l’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001.

4. Con il secondo motivo di appello la società Legalcom s.r.l. ripropone le censure sulle quali il T.A.R. non si sarebbe pronunciato, rivolte a contestare la legittimità delle norme urbanistiche locali e degli atti regolamentari applicati al caso di specie.

4.1. Al riguardo, ad integrazione di quanto già rappresentato, il Collegio osserva che la destinazione d’uso degli immobili condiziona le esigenze infrastrutturali, da tempo individuate dalla normativa sotto forma di standard urbanistici, in base al D.M. 2.4.1968, n. 1444 e all’art. 41 quinquies della legge 17.8.1942, n. 1150, nel testo introdotto dall’art. 17 della legge 6.8.1967, n. 765; ciò anche nel caso dei mutamenti di destinazione d’uso degli immobili, effettuabili senza opere edilizie, “essendo evidente – pur in assenza di una materiale trasformazione del territorio – la non irrilevanza dei mutamenti in questione sul piano urbanistico (tenuto conto in particolare delle differenti dotazioni di standard, riconducibili alle varie tipologie d’uso degli immobili stessi, anche inseriti nella medesima zona territoriale omogenea” (cfr. al riguardo Cons. St., sez. IV, 29.5.2008, n. 2561).

L’art. 25, u.c., della legge 28.2.1985, n. 47 (ora trasfuso nell’art. 10, comma 2 del T.U., approvato con D.P.R. n. 380/01 cit.) ha disposto, invero che siano le leggi regionali a disciplinare i mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti (scelta consolidata dalle norme sancite dall’art. 23-bis t.u. edil. che, pur inapplicabile ratione temporis, ribadisce ulteriormente la competenza delle regioni ad intervenire sulla materia).

E la legge della Regione Lombardia 15.1.2001, n. 1, all’art. 2, comma 2 dispone che: “… I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, conformi alle previsioni urbanistiche comunali e non comportanti la realizzazione di opere edilizie, sono soggetti esclusivamente a preventiva comunicazione dell’interessato al Comune, ad esclusione di quelli riguardanti unità immobiliari o parti di esse, la cui superficie lorda di pavimento non sia superiore a 150 metri quadrati, per i quali la comunicazione non è richiesta…”.

Nel caso di specie, oltre che delle categorie funzionali individuate dal D.M. del Ministero dei Lavori Pubblici del 2.4.1968 occorre, poi, tener conto delle previsioni introdotte dalla legislazione statale quadro e da quella regionale di dettaglio, nonché della disciplina regolamentare degli enti territoriali.

In quest’ottica non può trovare ingresso la tesi radicale fatta propria dalla società ricorrente secondo cui non sarebbe legittima una zonizzazione funzionale senza opere e conseguentemente verrebbe meno il potere di controllo e intervento del comune.

Tale tesi è smentita dalla costante e risalente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 998 del 1998; n. 5199 del 2006 che si sofferma sulla importanza della zonizzazione funzionale vincolante, per la tutela di interessi pubblici primari, anche all’interno della medesima macro area; successivamente, Cass. pen., Sez. III, n. 25738 del 9 aprile 2007; Cons. Stato, Sez. IV, n. 45 del 2010; n. 1712 del 2013; n. 6161 del 2013).

4.2. Alla stregua delle superiori considerazioni, il provvedimento sanzionatorio adottato dal Comune è da considerare coerente con il disposto della legge regionale n. 1/2001 e coerente con la norma è, anche, la previsione del P.R.G. del Comune, che cataloga l’uso di un immobile a “studio professionale” all’interno della categoria “direzionale” e non in quella “residenziale” – chiaramente di altra natura – né nella fattispecie possono considerarsi incongrui i c.d. “tracciati tematici” (zone nelle quali vengono localizzate le singole attività su determinate strade) previsti nella pianificazione comunale, perché tali tracciati non derogano alle prescrizioni dell’art. 7 della legge n. 1150/1942 e del D.M. LL.PP. del 2.4.1968, atteso che gli oneri di urbanizzazione sono propriamente collegati al carico urbanistico che il bene determina sul territorio.

In ogni caso è certamente inammissibile la doglianza formulata dalla ricorrente nella parte in cui impinge nel merito delle valutazioni pianificatorie riservate all’amministrazione comunale.

5. In ordine alla delibera n. 202 del 5.11.2001, con cui il Comune ha definito i valori venali degli immobili e la quantificazione delle relative sanzioni nella materia de qua, legittima risulta la sua adozione da parte della Giunta comunale (e non del Consiglio comunale), atteso che nel sistema delineato dal Testo unico degli enti locali, la Giunta è l’organo politico esecutivo con competenza generale e residuale, abilitata a compiere tutti gli atti che non siano riservati dalla legge (o dallo statuto) al Consiglio comunale; tale organo ha competenza circoscritta ai soli atti fondamentali dell’ente, tassativamente ed espressamente indicati dall’art. 42 comma 2, del D.lgs 18 agosto 2000, n. 267.

In particolare, l’art. 42, comma 2, lett. f), e 48 del D.lgs n. 267 del 2000, riserva al Consiglio comunale l’istituzione e l’ordinamento dei tributi nonché la individuazione delle tariffe per la fruizione di bene e servizi.

E’ evidente che nessuna di tali previsioni si attagli al caso di specie dove viene in rilievo la fissazione dei criteri per determinare la misura delle sanzioni in materia edilizia.

6. Nessuna carenza di istruttoria si riscontra, infine, nel procedimento conclusosi con l’irrogazione della sanzione pecuniaria all’appellante, avendo l’Amministrazione accertato che la società Legalcom s.r.l. utilizza l’immobile come studio professionale di consulenza fiscale, tributaria e legale (con almeno 200 mq. di superficie), al cui interno operano più professionisti, utilizzo non compatibile con l’originaria destinazione residenziale.

7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e, tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dell’art. 26, comma 1, c.p.a., sono liquidate come da dispositivo.

8. Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia sull’appello si basa, come dinanzi illustrato, su ragioni manifeste e consolidati principi giurisprudenziali, in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. IV, n. 2200 del 2016; sez. V, n. 5757 del 2014, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lettera d), cod. proc. amm. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

9. La condanna dell’originaria parte ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Seregno, di spese e onorari del presente grado di giudizio che liquida in €. 5.000,00 (cinquemila) oltre agli accessori di legge (15% a titolo rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A.).

Condanna altresì l’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm., al pagamento in favore del Comune di Seregno dell’ulteriore somma di €. 1.000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia, Consigliere

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