Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza 30 maggio 2016 n. 2294. L’ente proprietario di una strada pubblica non può pretendere il pagamento del canone di concessione per l’uso particolare del sottosuolo.

Ai sensi degli artt. 25 e 27 d.lgs. n. 285 del 1992 (Codice della Strada), le attività di attraversamento ed uso della sede stradale e relative pertinenze con condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, aeree o sotterranee, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, impedendo gli intralci alla circolazione dei veicoli,condutturedevono essere oggetto di autorizzazione o concessione amministrativa a carattere oneroso quale corrispettivo per l’uso particolare del bene pubblico, commisurato al vantaggio dell’utente ne ricava. L’imposizione da parte dell’ente locale del canone concessorio non ricognitorio; è compatibile soltanto con un utilizzo singolare della strada che ne impedisca in tutto o in parte la pubblica fruizione e la pretesa comunale non può essere vantata a fronte di un qualunque utilizzo di essa. Dall’insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) del Codice, l’ espresso richiamo alla sola “sede stradale” (i.e.: alla superficie e non anche al sottosuolo e al soprasuolo) depone nel senso che l’imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico; ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione.

testo integrale

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza 30 maggio 2016 n. 2294. Presidente: Severini; relatore Prosperi

FATTO

Con la delibera del consiglio comunale n. 29 del 30 settembre 2014 il Comune di Cardano al Campo aveva approvato il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio relativo alle occupazioni di aree e spazi pubblici connessi ad erogazione di servizi in regime di concessione amministrativa, come acqua, gas, energia elettrica ed acqua termica

Con ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo della Lombardia, la Enel Sole s.r.l. chiedeva l’annullamento del regolamento ed inoltre delle note prot. nn. 2670 e 2872 del 2015, recante dapprima invito a provvedere al pagamento della tariffa scaturita dal regolamento in parola e la seconda di sollecito di detto pagamento, quantificato in €. 23.480,00.

La Enel Sole s.r.l. impugnava tali provvedimenti dinanzi al Tribunale Amministrativo della Lombardia e ne chiedeva l’annullamento.

Il Comune di Cardano al Campo non si costituiva in giudizio.

Con sentenza n. 2331 del 5 novembre 2015 il Tribunale amministrativo rilevava d’ufficio il parziale difetto di giurisdizione amministrativa con riferimento all’impugnazione delle note prot. nn. 2670/15 e 2672/15, perché atti paritetici quantificativi del debito verso il Comune sulla base di criteri predeterminati vincolanti e in quanto tali sottratti alla cognizione del giudice amministrativo, in coerenza con l’art. 133 lett. b) Cod. proc. ammm., che esclude dalla giurisdizione esclusiva amministrativa in tema di beni pubblici le controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi.

Andava invece riconosciuta la giurisdizione amministrativa in relazione alla contestazione del regolamento, emanato in base all’art. 27 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), con natura formalmente amministrativa, ma sostanzialmente normativa, costituente una fonte secondaria del diritto diretto a disciplinare l’uso e l’occupazione dei beni pubblici, in relazione allo svolgimento su di essi di attività di rilevanza economica, compresa l’erogazione di servizi pubblici, comunque correlata ad un interesse legittimo dal regime formale tipico dei provvedimenti amministrativi.

Il ricorso era invece fondato, a parere del giudice di primo grado, in particolar modo per quanto diretto a contestare la violazione dell’art. 27 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 da parte del regolamento in parola.

Ai sensi degli artt. 25 e 27 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, le attività di attraversamento ed uso della sede stradale e relative pertinenze con condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, aeree o sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere deve essere oggetto di autorizzazione o concessione amministrativa, impedendo gli intralci alla circolazione dei veicoli.

Tali provvedimenti, rinnovabili alla scadenza, sono a carattere oneroso, perché stabiliscono il corrispettivo per l’uso particolare del bene pubblico e l’art. 27 precisa che la somma dovuta va individuata nei provvedimenti medesimi c riguardo alle soggezioni che derivano alla strada, secondo il valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava: ciò anche in coerenza con la riserva relativa di legge posta dall’art. 23 della Costituzione.

La norma delimita il potere impositivo degli enti locali, perché sul piano oggettivo lo riferisce solo alle attività di attraversamento ed uso “della sede stradale e relative pertinenze”, inoltre fissa i parametri generali di commisurazione del canone correlandoli alle caratteristiche precipue del singolo rapporto concessorio, ed è chiara nello stabilire che la somma dovuta deve essere indicata nel provvedimento autorizzativo, in coerenza con la prevista valorizzazione dello specifico rapporto di concessione o di autorizzazione e quindi dei suoi peculiari caratteri: l’art. 67 d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada – ribadisce e specifica poi tali elementi).

Il canone di cui si tratta è in stretta correlazione con il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), disciplinato dall’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attivita’ produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonche’ riordino della disciplina dei tributi locali), ovvero la c.d. tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), tanto è che lo stesso art. 63 stabilisce per comuni e province la possibilità di esenzione dalla TOSAP per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, determinando il pagamento di un canone con tariffa analiticamente determinata da parte del titolare dell’occupazione e ciò anche per i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti.

Da detti elementi il Tribunale Amministrativo desumeva lo stretto rapporto tra il canone non ricognitorio e il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e la loro alternatività, basandosi fondamentalmente sullo stesso presupposto di fatto, sull’esclusione di un cumulo dei due debiti, visto anche che la misura del COSAP definiva il limite massimo di prelievo realizzabile in dipendenza della medesima occupazione di suolo stradale.

Il regolamento impugnato non era coerente con il quadro normativo complessivo, sia perché, in contrasto con le previsioni dell’art. 27 del codice della strada, introduceva un canone concessorio non ricognitorio in via generale ed astratta prescindendo dalla modificazione del titolo concessorio antecedente, vista anche la correlazione tra provvedimento di autorizzazione o concessione gravante sulla strada il valore economico derivante e l’assenza di un accordo fra parte pubblica e beneficiario, sia per la pretesa di applicazione di un canone in modo generalizzato al di là delle peculiarità di ciascun rapporto concessorio, sia ancora per la mancata esclusione del cumulo con la TOSAP, sia per la mancata indicazione dei parametri da utilizzare e la quantificazione, al contrario dello stesso canone secondo tariffe unitarie moltiplicate per l’estensione delle aree occupate, quindi con parametri di tipo esclusivamente quantitativo del tutto diversi da quelli individuati dall’art. 27 del Codice della strada.

Con appello in Consiglio di Stato notificato il 14 dicembre 2015 il Comune di Cardano al Campo impugnava la sentenza e deduceva la tardività del ricorso di primo grado, notificato largamente oltre il termine dei sessanta giorni dalla pubblicazione del regolamento, la falsa applicazione dell’art. 27, commi 7 e 8, del Codice della strada, visto che la norma ammette il potere della pubblica amministrazione di modificare le concessioni in qualsiasi momento, il conseguente erroneo annullamento dell’intero testo regolamentare, il difetto di giurisdizione amministrativa per aver statuito in materia di canoni concessori, l’erronea interpretazione del cumulo tra canone non ricognitorio e tassa per occupazione degli spazi delle aree pubbliche e la differenza di titolo giuridico tra il canone non ricognitorio, corrispettivo per l’uso e l’occupazione di suolo pubblico concesso contrattualmente bassa data amministrativo [AL RELATORE: PER FAVORE VERIFICARE QUESTE PAROLE] e la tassa per l’occupazione degli spazi delle aree pubbliche, istituto di ordine tributario connesso a espressioni di capacità contributiva e l’indimostrata illegittimità che il canone non ricognitorio vada determinato secondo tariffe unitarie moltiplicate per l’estensione delle aree occupate.

L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

Enel Sole s.r.l. si è costituita in giudizio ed ha sostenuto l’infondatezza dell’appello con la richiesta della conferma delle conclusioni del giudice di primo grado; in via subordinata, qualora le tesi dell’appellante dovessero trovare fondamento, ha chiesto di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 8 del d.lgs. 285 del 1992 – Codice della strada – in riferimento agli artt. 3, 41 e 117 comma 1 lett. e) della Costituzione.

All’odierna udienza del 7 aprile 2016 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Oggetto dell’appello del Comune di Cardano al Campo è l’accoglimento da parte del Tribunale amministrativo della Lombardia del ricorso di Enel Sole s.r.l.., attiva nel campo dell’illuminazione ad alto risparmio energetico e dell’illuminazione artistica, con annullamento del regolamento comunale che aveva disciplinato il “canone patrimoniale non ricognitorio” di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, d.lgs. d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada); e dichiarazione di difetto di giurisdizione amministrativa in ordine agli avvisi di pagamento con cui il Comune ha preteso il pagamento del canone non ricognitorio.

E’ in primo luogo infondata la censura di tardività del ricorso introduttivo, poiché notificato oltre il termine ordinario di impugnazione: secondo la pacifica giurisprudenza, i regolamenti vanno autonomamente e immediatamente impugnati quando contengano disposizioni suscettibili di arrecare in via immediata una lesione attuale dell’interesse di un soggetto; mentre, ove il pregiudizio maturi a fronte dell’applicazione concreta del regolamento medesimo, sarà quello il giorno da cui decorrerà il termine d’impugnazione, perché solo da allora vi sarà la lesione derivante dalla cogenza della norma regolamentare.

Altresì infondata è la censura di difetto di giurisdizione amministrativa sul sindacato dell’intero testo regolamentare, essendo evidente che va esclusa la giurisdizione ordinaria, posto che viene in contestazione l’esercizio di poteri valutativo-discrezionali nella determinazione del canone, sia in punto di an debeatur, sia in punto di individuazione dei criteri di determinazione del quantum debeatur, e non già il suo mero calcolo aritmetico sulla base di criteri già predeterminati (Cons. Stato, VI, 28 luglio 2015, n. 3740).

La controversia concerne la legittimità della attività amministrativa in ordine al rapporto concessorio (qualificazione del rapporto e del relativo oggetto; an debeatur del canone; individuazione dei criteri generali di sua determinazione). Ne viene la duplice conseguenza della non riconducibilità della controversia alla giurisdizione ordinaria in tema di controversie “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” delle concessioni e della sussistenza della giurisdizione esclusiva amministrativa ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lett. b), Cod. proc. amm. (cfr. Cons. Stato, VI, 10 marzo 2014, n. 1076; 18 aprile 2011 n. 2375, e l’ivi richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato).

Tanto premesso si può passare all’esame delle ragioni che dimostrano l’infondatezza della pretesa comunale.

Ai sensi degli artt. 25 e 27 d.lgs. n. 285 del 1992, le attività di attraversamento ed uso della sede stradale e relative pertinenze con condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, aeree o sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere devono essere oggetto di autorizzazione o concessione amministrativa, impedendo gli intralci alla circolazione dei veicoli, devono essere a carattere oneroso quale corrispettivo per l’uso particolare del bene pubblico, commisurato al vantaggio dell’utente ne ricava.

Il primo giudice ha affermato che l’articolo 27 del Codice della strada va interpretato nel senso di garantire che “l’art. 27 precisa che la somma dovuta deve essere individuata nei provvedimenti medesimi con riguardo alle soggezioni che derivano alla strada, secondo il valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava: ciò anche in coerenza con la riserva relativa di legge posta dall’art. 23 della Costituzione.”.

Il primo giudice ha dunque ritenuto che l’ente locale non possa indiscriminatamente assoggettare al canone ricognitorio qualunque utilizzo della sede stradale, ma che possa legittimamente provvedervi solo previa adeguata valutazione delle modalità attraverso le quali tale utilizzo può incidere (inter alia) sull’uso pubblico della strada.

La questione investe sostanzialmente i presupposti e le condizioni che legittimano l’imposizione da parte dell’ente locale del canone concessorio non ricognitorio; e se una tale pretesa possa essere vantata a fronte di un qualunque utilizzo della strada, ovvero soltanto a fronte di un utilizzo singolare che ne impedisca in tutto o in parte la pubblica fruizione.

Il Collegio ritiene che prevalenti indici testuale e sistematico depongono nel secondo senso.

Partendo dagli elementi normativi di carattere sistematico e testuale, si osserva che l’articolo 27 del Codice della strada va essenzialmente letto alla luce del principio generale posto dall’art. 1, vale a dire come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, e rispetto al quale interesse generale le sue norme sono evidentemente serventi; e che l’articolo stesso fonda la legittimità dell’imposizione del canone non ricognitorio su un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica (la sede stradale).

Tuttavia, l’insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) di quel Codice (per come espressamente richiamate dal ridetto articolo 27) dimostra che le concessioni e le autorizzazioni che giustificano l’imposizione del canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 sono caratterizzate dal tratto comune – riferibile in ultimo alla libera e sicura circolazione delle persone sulle strade – di sottrarre in tutto o in parte l’uso pubblico della res a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.

E’ qui il caso di richiamare:

– le ipotesi di autorizzazione all’occupazione della sede stradale anche con “veicoli, baracche, tende e simili” ai sensi dell’articolo 20;

– le ipotesi di autorizzazione o concessione all’esecuzione di “opere o depositi e aprire cantieri stradali, anche temporanei, sulle strade e loro pertinenze, nonché sulle relative fasce di rispetto e sulle aree di visibilità” ai sensi dell’articolo 21;

– le ipotesi di autorizzazione alla realizzazione di “nuovi accessi e nuove diramazioni dalla strada ai fondi o fabbricati laterali, [ovvero di] nuovi innesti di strade soggette a uso pubblico o privato”, ovvero ancora di passi carrabili ai sensi dell’articolo 22.

In tutti detti casi è evidente che la condizione a un tempo necessaria e sufficiente per giustificare l’imposizione del canone ricognitorio sia rappresentata dal rilascio di un titolo che abilita a un uso singolare della risorsa pubblica, limitandone o comunque condizionandone in modo apprezzabile il pieno utilizzo.

Ai fini della presente disamina merita particolare attenzione – e sempre considerando il ricordato principio generale – la previsione di cui all’articolo 25 del Codice (Attraversamenti ed uso della sede stradale), secondo cui «non possono essere effettuati, senza preventiva concessione dell’ente proprietario, attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d’acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, che possono comunque interessare la proprietà stradale. Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l’accessibilità delle fasce di pertinenza della strada».

La disposizione è pertinente al fine di vagliare la legittimità dell’imposizione da parte dell’ente locale di un canone ricognitorio a fronte della posa, in prossimità della sede stradale, di infrastrutture pubbliche cc. dd. “a rete”, come quelle che rilevano ai fini del presente giudizio.

La disposizione (in relazione sistematica con il successivo articolo 27, che fonda la pretesa del Comune appellante) rende palese:

– che ciò che rileva, al fine di fondare la pretesa dell’ente locale, non è un qualunque utilizzo della sede stradale (nonché dello spazio soprastante e sottostante ad essa), bensì un utilizzo singolare che incida in modo significativo sull’uso pubblico della risorsa viaria;

– che ciò che rileva ai medesimi fini è il singolare “uso della sede stradale” (laddove l’articolo 3, comma 1, n. 46 del Codice definisce la sede stradale come “superficie compresa entro i confini stradali. Comprende la carreggiata e le fasce di pertinenza”).

Ebbene, il fatto che il Codice abbia operato un espresso richiamo alla sola “sede stradale” (i.e.: alla superficie e non anche al sottosuolo e al soprasuolo) depone nel senso che l’imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico; ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione.

Naturalmente, in questi ultimi casi, l’imposizione di un canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale; ma non si rinviene una giustificazione di legge per ammettere che una siffatta imposizione possa proseguire anche indipendentemente da questa occupazione esclusiva, cioè durante il periodo successivo (che può essere anche pluridecennale) durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della sede stradale.

Il Comune di Cardano al Campo richiama a supporto delle proprie tesi la sentenza di questo Consiglio di Stato 31 dicembre 2014, n. 6459 che – ai fini che qui rilevano – ha in particolare affermato:

– che il canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 del Codice della strada si configura come entrata patrimoniale per l’amministrazione proprietaria della strada, gravante sui soggetti titolari di concessione che utilizzano il suolo e il sottosuolo delle pubbliche strade, ragione per cui il canone in questione “assume la funzione di corrispettivo per l’uso particolare del suolo e del sottosuolo che è accordato al concessionario”;

– che l’amministrazione interessata può legittimamente esigere il canone in parola anche nel caso in cui per la medesima occupazione sia già corrisposta la TOSAP o la COSAP (vengono richiamate, al riguardo: Cass., V, 27 ottobre 2006, n. 23244 e 31 luglio 2007, n. 16914).

6.1. Ebbene, quanto alla questione sub a), il Collegio ritiene che le conclusioni cui la Sezione è pervenuta con la sentenza richiamata debbano essere precisate e in parte riviste escludendo dalla legittima esigibilità del canone non ricognitorio le ipotesi di utilizzo del sottosuolo della sede stradale le quali – come nel caso che qui rileva – non impediscano o limitino in alcun modo la fruizione pubblica della sede viaria.

D’altronde (e dal punto di vista sistematico) non emergerebbe un’effettiva ragione per cui un complesso normativo (quale il Titolo II del Codice della strada, rubricato Della costruzione e tutela delle strade), contenuta in un corpo normativo a tutt’altro interesse generale finalizzato, possa far legittimamente conseguire una prestazione di carattere coattivo (quale l’obbligo di prestazione del ‘canone’) a fronte di un presupposto – l’utilizzo del sottosuolo stradale – di suo in conferente o quanto meno inidoneo a incidere restrittivamente sulla piena e generale fruizione generale della risorsa pubblica stradale in quanto tale.

6.2. Per quanto riguarda, invece, le conclusioni dinanzi richiamate sub b) (possibile coesistenza fra il canone concessorio non ricognitorio e la TOSAP/COSAP), non si ravvisa contraddizione nella eventuale coesistenza fra le due fattispecie, già affermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.

Ed infatti le due pretese patrimoniali (una di ordine tributario e l’altra caratterizzata dalla descritta lata corrispettività) potranno in ipotesi coesistere, ma a condizione che sussistano, per ciascuna, i relativi presupposti giustificativi.

Non emerge alcun presupposto che giustifichi la pretesa alla corresponsabile del canone ex articolo 27, cit. nelle ipotesi in cui – come nel caso che qui rileva – l’utilizzo del sottosuolo stradale non incida in alcun modo sulla pubblica fruizione della risorsa.

Al contrario, l’articolo 63 (Canoni per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) espressamente richiama, fra i presupposti per l’imposizione tributaria, le ipotesi di «occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile (…)».

In definitiva il richiamato orientamento giurisprudenziale (in particolare: Cass., V, 27 ottobre 2006, n. 23244 e 31 luglio 2007, n. 16914) ammette la possibile coesistenza fra i due richiamati obblighi, ma non impone affatto che la sussistenza dei presupposti applicativi di uno di essi renda ipso facto, quasi per irragionevole duplicazione automatica di effetti, necessitata la prestazione anche dell’altro.

Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena considerato, il Collegio rileva altresì che nel settore qui in considerazione (si tratta delle infrastrutture idriche a rete) incide altresì un principio di tendenziale gratuità della messa a disposizione dell’infrastruttura a rete (ci si riferisce, in particolare, all’articolo 153, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui «le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato (…)»).

Sempre ai limitati fini che qui rilevano va considerato che anche in altri settori dell’ordinamento (come quello delle reti di comunicazione elettronica) opera un principio di tendenziale gratuità degli interventi finalizzati alla posa e al mantenimento delle retri infrastrutturali.

Ci si riferisce, in particolare, al comma 3 dell’articolo 231 del Codice della strada, secondo cui «in deroga a quanto previsto dal capo I del titolo II (il quale include altresì l’articolo 27 in tema di ‘canone non ricognitorio’) , si applicano le disposizioni di cui al capo V del titolo II del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni» (e fra le disposizioni del Codice del 2003 che vengono espressamente richiamate figura l’articolo 93, comma 1, secondo cui «le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. (…)»).

Ad avviso del Collegio le richiamate disposizioni settoriali, lungi dal presentare un carattere derogatorio rispetto alla generale e indistinta pretesa alla corresponsione del ‘canone concessorio non ricognitorio’, costituiscono indice di un più generale principio volto a negare la generalizzata applicazione dell’articolo 27 e, in ogni caso, ad escluderne la cogenza nelle ipotesi in cui non sussistano puntuali ragioni giustificative connesse alla complessiva ratio normativa sottesa al c.d. Codice della strada.

Per le ragioni esposte il ricorso in appello va respinto.

Il Collegio ritiene l’opportunità di disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio in considerazione della peculiarità delle questioni sottoposte al presente giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Salvatore Cacace, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensor

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