
Posto che il controllo giudiziario – proiettato sulle vicende della gestione aziendale successive rispetto all’adozione dell’informativa – è, per definizione, attività dinamica, laddove l’informativa viene adottata su base statica, in presenza di una analisi che fotografa la realtà aziendale con riguardo alle risultanze in fatto e in diritto al momento dell’adozione del provvedimento, gli argomenti di censura sollevati dalla parte in relazione agli esiti del controllo giudiziario non possono essere invocati come parametri di legittimità dei provvedimenti impugnati, essendo ad essi sopravvenuti e comunque, essendo fondati su elementi di valutazione normativamente in parte diversi (non solo sul piano diacronico) rispetto a quelli inerenti l’adozione dell’informativa.
Ove l’istruttoria non sia consistita nella diretta acquisizione, da parte degli operanti, dei fatti in questione, come tali vagliati criticamente, ma nella mera consultazione della banca dati delle forze di polizia in assenza dell’acquisizione della relativa documentazione investigativa, non essendo evidentemente privo di significato, ai fini della valutazione della sussistenza o meno del pericolo infiltrativo, il complessivo contesto fattuale e relazionale del controllo ritenuto rilevante, gli elementi appena considerati denotano un insufficiente approfondimento istruttorio e motivazionale dell’informativa prefettizia, che, proprio in ragione dell’interdipendenza funzionale e reciproca dei singoli elementi fattuali posti a base della complessiva valutazione, non può che alterare il quadro d’insieme assunto quale fondamento del provvedimento ricognitivo del pericolo d’infiltrazione.
massima di redazione
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Consiglio Stato sez III sentenza 7033-2023