
La categoria dell’interesse oppositivo è sempre riferita a fattispecie in cui il bene della vita è già esistente nella sfera giuridica del privato in virtù di una diretta previsione di legge, ovvero di un diritto di cui egli è titolare (p.es. la proprietà a fronte di un decreto di esproprio). Ben diversa è la situazione allorché lo stesso sia stato acquisito in virtù di un precedente provvedimento della stessa Amministrazione (p.es. un’autorizzazione o una licenza): in tali ultimi casi, poiché a fronte del rilascio del precedente provvedimento ampliativo il destinatario era certamente titolare di un interesse pretensivo, tale natura viene mantenuta anche nella fase successiva del rapporto amministrativo e a fortiori in quella dell’eventuale rimozione del provvedimento, essendo difficilmente predicabile una trasformazione dell’interesse da pretensivo a oppositivo.
Con la più moderna visione della revoca, che la dottrina più recente e parte della giurisprudenza tendono a inquadrare non più come un mero provvedimento di secondo grado o di autotutela, bensì come esercizio di amministrazione attiva, informata al medesimo potere che la P.A. ha esercitato con il provvedimento originario e comunque nell’immanenza del potere della P.A. di rivedere le proprie determinazioni in relazione all’evolversi nel tempo del rapporto amministrativo. Tale ricostruzione dogmatica rafforza l’idea ragionevole secondo cui l’interesse legittimo del privato interessato dalle determinazioni della p.a. mantenga sempre la stessa natura.
Risulta difficile dimostrare la spettanza del bene della vita a fronte di un provvedimento quale è la revoca, che come noto può fondarsi anche solo su ragioni di opportunità o di rivalutazione dell’interesse pubblico, sia pure nel rispetto dei limiti fissati dalle disposizioni di legge.
massima di redazione
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Consiglio Stato sez III sentenza 3914-2025