Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Campania, sentenza 31 marzo 2017 n.130

Sono responsabili di danno erariale nei confronti di un comune di piccole dimensioni il Sindaco, l’Assessore ed il responsabile del ramo competente per le minori entrate che l’ente avrebbe potuto conseguire dalla corretta locazione dei propri cespiti immobiliari a prezzi di mercato, riconducibile ad una confusione amministrativa radicata nel tempo ed alla mancata periodica revisione delle condizioni patrimoniali degli occupanti, talora neppure più coincidenti con gli originari conduttori. case popolariUn tale generalizzato stato di incuria, tranquillamente sussumibile nel concetto di mala gestio del patrimonio immobiliare, costituisce senza dubbio una grave violazione degli obblighi di servizio incombenti sugli organi comunali, atteso che la valorizzazione dei cespiti comunali è imposta da una risalente legislazione statale e regionale. Le gravi violazioni vanno ascritte in primo luogo alla responsabilità del Sindaco, atteso che secondo una condivisa giurisprudenza contabile la posizione di vertice rivestita dal sindaco, specie in un piccolo centro, impone un obbligo generale di conoscenza sulle questioni più rilevanti con conseguente responsabilità del medesimo per aver assunto un comportamento persistentemente inerte. In secondo luogo, di tali violazioni vanno considerati parimenti responsabili, per evidenti ragioni, l’assessore al bilancio e al patrimonio ed il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale, atteso che l’adozione delle necessarie misure omesse da parte dell’ente per ovviare allo stato di incuria accertato rientrava più direttamente nel rispettivo ambito di competenze. La gravità della colpa agli stessi attribuibile appare tanto maggiore se si considerano le numerose sollecitazioni che alcuni consiglieri comunali avevano rivolto all’Amministrazione nel corso del tempo affinché si prestasse rimedio al sopra descritto degrado

Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Campania, sentenza 31 marzo 2017 n.130. Presidente: Sciascia; relatore: Schülmers Von Pernwerth.

FATTO

Con atto di citazione depositato in data 23/6/2014 la Procura regionale ha evocato in giudizio diversi amministratori – nelle rispettive qualità di Sindaco********************) e consigliere comunale di maggioranza pro tempore (++++++++++++++++++o) – e il responsabile dell’Ufficio tecnico (++++++++++++++) del Comune di ******* per sentirli condannare alla rifusione di un danno, complessivamente quantificato in € 396.390,18-, in ragione della cattiva gestione del patrimonio immobiliare del predetto ente, e segnatamente per aver concesso o comunque tollerato che numerose unità immobiliari venissero date in locazione a canoni irrisori o comunque notevolmente inferiori a quelli di mercato.

A fondamento della propria azione il requirente ha esposto di avere avviato l’istruttoria dopo una documentata segnalazione inoltrata dai consiglieri di minoranza del predetto ente locale, nella quale, in sostanza, gli stessi lamentavano non solo che l’Ente fosse completamente sprovvisto di un inventario dei propri beni immobiliari, ma soprattutto che, nonostante le diverse sollecitazioni fatte nel tempo dai consiglieri di minoranza, l’Amministrazione fosse rimasta totalmente inerte a fronte di una evidente situazione di mala gestio del proprio patrimonio immobiliare.

L’attore erariale ha evidenziato come l’attività di indagine svolta dalla Guardia di Finanza, resa più difficile da una gestione asseritamente confusa o comunque dalla scarsa documentazione (anche catastale) rinvenuta presso l’ente, avrebbe confermato la fondatezza di tale denuncia.

In particolare, dopo aver richiamato i parametri normativi che avrebbero reso obbligatoria una revisione dei canoni comunali già a partire dalla metà degli anni novanta ed essersi concentrata soprattutto sui danni riferibili al quinquennio 2008-2012, la Procura regionale ha innanzitutto individuato una serie di immobili – sei ad uso abitativo e due di tipo commerciale – che risultavano essere stati dati in locazione – o comunque essere stati oggetto di tacita proroga per diversi lustri – a canoni notevolmente inferiori a quelli di mercato, intesi questi ultimi come quelli medi ricavati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare.

Dopo avere censurato la mancata tempestiva disdetta dei rapporti in essere – che nella quasi totalità dei casi si erano rinnovati tacitamente tra il dicembre 2007 e il dicembre 2008 – il danno da mancata entrata è stato quantificato rispettivamente in € 98.038,77 per gli alloggi ad uso abitativo e in complessivi € 67.173,56 per i due locali ad uso commerciale.

 

La restante parte del danno afferisce invece a 19 immobili che – secondo le intenzioni dell’Ente – avrebbero dovuto essere destinati ad esigenze di edilizia abitativa agevolata.

A tale proposito il Requirente, dopo aver ricostruito la normativa statale e regionale di riferimento, ha evidenziato come in almeno cinque casi non vi fosse prova che la locazione degli immobili fosse in effetti destinata a soddisfare tali necessità, mentre nel restante numero di casi l’attore ha evidenziato come – al di là della necessità di ricorrere a procedure concorsuali di assegnazione – l’Ente territoriale avesse totalmente omesso di compiere le doverose periodiche verifiche circa il possesso dei stringenti requisiti di legge richiesti per occupare tali alloggi, verifiche rese ancor più necessarie dal fatto che in alcuni casi questi alloggi risultavano occupati da persone diverse rispetto agli originari assegnatari, oramai deceduti da tempo.

Quanto alla responsabilità di tali inerzie, ritenute dall’attore indice di grave negligenza, il Requirente ha concentrato la maggior parte delle responsabilità negli amministratori in carica nel quinquennio 2004/2009 (con maggiore enfasi per il ruolo del sindaco, dell’assessore al patrimonio e del direttore dell’ufficio tecnico), salvo estendere in alcuni specifici casi la responsabilità anche agli amministratori – ed in particolare, per quanto riguarda i consiglieri comunali, a quelli di maggioranza – in carica nel quinquennio antecedente e in quello successivo a quello principalmente preso a riferimento.

 

I convenuti si sono costituiti in giudizio con tre separate comparse.

In linea generale la maggior parte dei convenuti, costituitisi in giudizio con una memoria unitaria, hanno contestato la correttezza della ricostruzione attorea, evidenziando come nella quasi totalità dei casi si trattasse di soluzioni abitative destinate a soddisfare esigenze di persone il cui stato di bisogno era noto in paese e non necessitava di riscontri formali, mentre nel restanti casi (ci si riferisce agli alloggi ad uso commerciale) si trattava di unità poco appetibili (un piccolo magazzino) o comunque destinate ad assolvere a finalità sociali (lo studio medico del paese).

In ogni caso la congruità dei canoni e il rispetto dei parametri reddituali dei conduttori sarebbero stati confermati da un parere reso dal SUNIA su richiesta dell’Ente nel 2013.

Si eccepisce inoltre la prescrizione di una quota del danno.

I convenuti dott. +++++++++++ e la sig.ra ++++++++++++++, che hanno affidato a separate memorie le proprie difese, hanno in particolare stigmatizzato la mancanza di ogni apporto causale da parte loro, o in quanto semplici consiglieri comunali privi di poteri gestori in materia (il ++++++), o in quanto il periodo di effettivo esercizio delle funzioni sarebbe assai diverso e comunque inferiore rispetto a quello indicato nell’atto di citazione (la +++++).

In avvio dell’udienza di discussione l’avv. DI LIETO ha fatto presente che nelle more del giudizio è sopravvenuta la morte del convenuto +++++++++++, mentre il pubblico ministero ha dichiarato che la Procura non intende procedere nei confronti degli eredi del convenuto. Nel merito le parti hanno ribadito le rispettive posizioni già esposte nei rispettivi atti scritti.

DIRITTO

(A) Oggetto del presente giudizio è la presunta responsabilità amministrativa degli odierni convenuti per avere questi concesso o comunque tollerato, nelle loro diverse rispettive qualità, che numerose unità immobiliari facenti parte del patrimonio del Comune di ******* venissero date in locazione a canoni irrisori o comunque notevolmente inferiori a quelli di mercato con un conseguente danno per casse dell’Ente che la Procura ha quantificato – limitatamente alle mensilità del quinquennio 31.3.2008-31.3.2013 – in complessivi € 396.390,18-.

(B) Va innanzitutto dichiarata l’estinzione del processo nei confronti di ++++++++++, ai sensi dell’art. 108, comma 6, c.g.c., in ragione della sopravvenuta morte del convenuto e della dichiarazione resa in udienza dal pubblico ministero secondo cui la Procura non intende procedere nei confronti degli eredi.

(C) In via pregiudiziale va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’atto di citazione formulata dalla Difesa dei convenuti, rappresentati dall’Avv. DI LIETO, per non avere il pubblico ministero adeguatamente preso posizione sulle difese formulate in sede di controdeduzioni.

A tale riguardo giova ricordare come secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio aderisce, il P.M. presso il giudice contabile non è obbligato a motivare nell’atto di citazione le ragioni per le quali ha disatteso le deduzioni fornite dal presunto responsabile, con la conseguenza che l’esame delle difese di quest’ultimo, da parte del requirente, può essere implicito nel fatto stesso che viene emesso l’atto di citazione (cfr., ex multis, Terza Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 52 del 2013; Sezione giur. Basilicata, sent. n. 46 del 2007; Sezione giur. Puglia, sent. n. 788 del 2005; Sezione giur. Lombardia, sent. n. 91 del 2003).

(D) In via preliminare va invece accolta l’eccezione di prescrizione di una parte del danno contestato nell’atto di citazione.

Come noto, nel giudizio di responsabilità amministrativa vige la regola secondo cui “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato fatto dannoso” (art. 1, comma 2. Legge n. 20 del 14 gennaio 1994).

Si tratta dunque (a) di individuare con precisione quale sia il “fatto dannoso” nelle fattispecie di danno integrate dal mancato adeguamento di canoni locativi e (b) di appurare se siano stati posti in essere atti interruttivi della prescrizione.

In ordine al primo punto il Collegio non condivide quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, laddove un ente locale non abbia provveduto alla tempestiva disdetta di un contratto di locazione di un proprio immobile al fine di stipulare un nuovo accordo a condizioni più vantaggiose, il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno, che ne sia derivato in ragione del mancato introito di maggiori corrispettivi, andrebbe individuato con riguardo allo spirare del termine utile per procedere alla risoluzione unilaterale del rapporto (ossia la mancata disdetta) e non invece in relazione all’epoca in cui si è verificata la perdita delle maggiori entrate (cfr. Terza Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 411 del 2006; Prima Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 420 del 2005).

Un tale non condiviso orientamento imporrebbe al pubblico ministero contabile di dare avvio all’azione di responsabilità già al momento della mancata disdetta, ovverosia in un momento in cui il danno – che occorrerebbe peraltro subito quantificare – non può ancora dirsi certo ed attuale, in violazione del noto brocardo giuridico “contra non valentem non currit prescriptio”. Infatti, nulla esclude che nel lasso di tempo (ad esempio, di sei mesi o addirittura di un anno) che generalmente intercorre tra il momento della mancata disdetta e l’avvio del nuovo rapporto contrattuale possano intervenire ulteriori eventi (ad esempio, la morte del conduttore) che impediscano di fatto il rinnovo del contratto, consentendo viceversa all’ente di tornare in possesso dell’immobile e di locarlo a canoni in linea con quelli di mercato.

Ad avviso del Collegio appare dunque preferibile aderire a quell’orientamento giurisprudenziale, già fatto proprio da questa Sezione, secondo il quale il danno da minori entrate conseguenti al mancato adeguamento a valori di mercato dei canoni di locazione matura mensilmente – ovviamente in epoca successiva all’intervenuto rinnovo per mancata disdetta – in occasione del pagamento dei (minori) canoni locatizi da parte del conduttore (cfr. Sezione giur. Campania, sent. n. 1845 del 2004, secondo cui “il danno, nel caso di specie, assume il carattere dell’attualità non solo e non tanto al momento della mancata disdetta del contratto, ma ad ogni scadenza dei ratei di locazione e cioè ogni qualvolta siano stati percepiti canoni non consoni al reale valore locativo. La prescrizione, pertanto, decorre, a seguito della perdita di tali entrate, dal verificarsi di ogni diminuzione patrimoniale in pregiudizio dell’Amministrazione”; cfr., altresì, Seconda Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 533 del 2014, secondo cui “Nel caso di specie, in adesione alla ratio della ripercorsa e condivisibile giurisprudenza, tenuto conto della quantificazione del danno effettuata nella citazione, fondata sui canoni mensili, di cui è stata contestata l’omessa previsione, il dies a quo ai fini del decorso della prescrizione va individuato, come affermato nella decisione abruzzese, nella data delle singole diminuzioni patrimoniali, derivate dal mancato pagamento del canone per ogni mese di durata del rapporto.”).

Applicando tale principio di diritto al caso di specie e considerando che i primi atti di interruzione della prescrizione vanno individuati nell’invito a dedurre notificato ai convenuti tra il 13 febbraio e il 31 marzo del 2014 ne consegue che per una delle cinque annualità – marzo 2008-febbraio 2009 – appare in ogni caso decorso il periodo quinquennale della prescrizione.

Di conseguenza, riservata ogni ulteriore valutazione in ordine alla esatta quantificazione del danno, l’eccezione può essere accolta con riferimento all’importo di € 79.278, pari ad un quinto del danno complessivamente contestato nell’atto citazione.

(E) Nel merito l’azione è parzialmente fondata.

Sotto il profilo della sussistenza del danno non può revocarsi in dubbio che le rilevate disparità tra quanto incassato nel corso degli anni dal Comune di Atrani per la locazione dei propri cespiti immobiliari e quanto si sarebbe potuto invece ottenere a prezzi di mercato, individuati in modo affidabile dalla Procura attrice facendo ricorso all’Osservatorio del Mercato Immobiliare, integri un danno per l’Ente pubblico.

Tali minori entrate non trovano del resto giustificazione nell’apodittica affermazione delle Difese secondo cui detti immobili sarebbero stati funzionali a soddisfare esigenze di edilizia residenziale pubblica, atteso che gli accertamenti compiuti nel corso dell’istruttoria hanno invece messo in luce la non riconducibilità dei rapporti locativi contestati a tali esigenze, vuoi perché di dette esigenze non vi era traccia documentale agli atti del Comune, vuoi perché i contratti non facevano ad esse riferimento, vuoi perché – anche nei limitati casi in cui detti rapporti erano stati ab origine contratti per tali esigenze – il Comune aveva omesso di curare la periodica revisione delle condizioni patrimoniali degli occupanti, talora neppure più coincidenti con gli originari conduttori (cfr. informativa GdF n. 03227604/13 del 28/06/2013). Né può essere riconosciuto valore alcuno alla “consulenza” commissionata dal Comune di Atrani al SUNIA, invocata dai convenuti nei propri scritti difensivi, atteso che non è dato sapere su quali basi tale organismo privato possa avere svolto le proprie valutazioni – financo estese alla situazione reddituale dei beneficiari degli alloggi – se lo stesso Comune era risultato privo dei necessari elementi al riguardo (cfr., a proposito dell’incompletezza della documentazione reperita presso il Comune, l’informativa Guardia di Finanza cit., pag. 3 e 6).

Un tale generalizzato stato di incuria, tranquillamente sussumibile nel concetto di mala gestio del patrimonio immobiliare, costituisce senza dubbio una grave violazione degli obblighi di servizio incombenti sugli organi comunali, atteso che (a) già dalla metà degli anni novanta, con l’emanazione degli artt. 9, comma 3, della Legge n. 537/93 e 32, comma 8, della Legge n. 724/94 era emersa l’esigenza – peraltro figlia del principio di buona amministrazione  (art. 97 Cost.) – di valorizzare il patrimonio immobiliare dei Comuni facendo ricorso ai prezzi di mercato (cfr. Prima Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 49 del 2015; Seconda Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 149 del 2010; Prima Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 14 del 2008; Sezione giur. Lazio, sent. n. 1327 del 2004); (b) la disciplina nazionale e regionale in materia di edilizia residenziale pubblica imponeva in ogni caso che il riconoscimento di canoni locativi agevolati fosse condizionato a rigorose verifiche e controlli – non surrogabili con la scienza diretta degli amministratori – circa la sussistenza e il permanere di particolari condizioni personali e patrimoniali dei beneficiari (cfr.artt. 2, 3, 4, 11, 12, 14, 17, 18, 19 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035; cfr. art. 1, co. 1, Legge Regione Campania n. 39 del 1993, secondo cui “Le presenti norme si applicano a tutti gli alloggi realizzati, recuperati ed acquistati da Enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato o delle Regioni, delle province o dei Comuni […] purché gli stessi siano stati assegnati a soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 2 D.P.R. 1035/72 e successive modifiche in tema di assegnazioni di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica”; cfr. Leggi Regione Campania n. 18 e 19 del 1997).

Trattasi di evidenti gravi violazioni che ad avviso del Collegio vanno ascritte in primo luogo alla responsabilità del Sindaco +++++++++, atteso che secondo una condivisa giurisprudenza contabile la posizione di vertice rivestita dal sindaco (art. 50, co. 2, TUEL), specie in un piccolo centro, impone un obbligo generale di conoscenza sulle questioni più rilevanti con conseguente responsabilità del medesimo per aver assunto un comportamento persistentemente inerte (cfr. Terza Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 114 del 2007; Seconda Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 351 del 2002); in secondo luogo di tali violazioni vanno considerati parimenti responsabili, per evidenti ragioni, sia l’assessore al bilancio e al patrimonio ++++++++++, sia il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale +++++++++++, atteso che l’adozione delle necessarie misure omesse da parte del Comune di Atrani per ovviare a tale stato di incuria rientrava più direttamente nel rispettivo ambito di competenze.

La gravità della colpa agli stessi attribuibile appare tanto maggiore se si considerano le numerose sollecitazioni che alcuni consiglieri comunali avevano rivolto all’Amministrazione nel corso del tempo affinché si prestasse rimedio al sopra descritto stato di incuria (cfr. delibere del Consiglio comunale n. 10 del 1997; 25 del 2000; n. 8 del 2004; n. 4 del 2007; n. 18 del 2009).

Accertata dunque la sussistenza del danno e ricondotte le relative responsabilità ai tre convenuti +++++++++++++, con esclusione dei restanti membri della Giunta comunale, resta da quantificare il pregiudizio subito dal Comune di Atrani, che la Procura, facendo ricorso ai dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare ed al netto della prescrizione, ha quantificato in €  317.112,14 (pari all’80% della posta contestata in citazione).

Tuttavia, ad avviso del Collegio, dovendosi necessariamente fare ricorso ad un giudizio controfattuale di natura ipotetica che – come ogni giudizio di questo tipo – deve scontare le ineliminabili incertezze dovute alle numerose variabili in gioco (ad es., considerevole numero degli alloggi dati in locazione; possibilità di ricorsi, opposizioni o morosità da parte egli inquilini con conseguenti code giudiziarie; periodi di mancata locazione dovuta ai tempi necessari ad espletare le relative procedure o ad apprestare i fisiologici lavori di manutenzione straordinaria; possibilità che i canoni spuntati dal Comune fossero più bassi rispetto alle attese; ecc.), la quantificazione del danno non può che avvenire ai sensi dell’art. 1226 c.c., secondo cui “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”.

Ciò premesso, alla luce di tutti gli elementi sopra considerati al Collegio appare equo quantificare il danno subito dal Comune di Atrani in € 200.000, da cui comunque occorre detrarre una quota del 25% – pari a € 50.000 – in ragione degli apporti causali riferibili ai vari Segretari comunali pro tempore non citati in giudizio, ma che, ad avviso del Collegio, hanno posto in essere condotte causalmente rilevanti ai fini della produzione del pregiudizio economico in parola venendo meno agli obblighi di vigilanza sul corretto funzionamento degli uffici (cfr. art. 44, co. 3, dello Statuto di Atrani approvato con delibera del Consiglio comunale n. 17 del 30/9/1995, secondo cui il Segretario comunale è “direttamente responsabile in relazione agli obiettivi dell’Ente locale della correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione.”).

In conclusione, il danno di cui i tre convenuti +++++++++++++++ devono rispondere in parti uguali tra loro viene dunque quantificato in € 150.000,00.

(F) La richiesta attorea non può essere invece condivisa quanto alla ipotizzata responsabilità amministrativa dei consiglieri comunali citati in giudizio.

Invero, ad avviso del Collegio, in mancanza di specifiche competenze gestionali nella materia de qua, non può essere ravvisato un nesso causale tra l’attività dagli stessi espletata in seno al Consiglio comunale – cui può semmai essere ricondotta una responsabilità di natura politica – e le omissioni ed inerzie sopra considerate.

In altre parole, l’eventuale colpevole tolleranza da parte del Consiglio comunale rispetto alla mala gestio del patrimonio immobiliare da parte dell’apparato amministrativo non può assurgere, in assenza di un obbligo impeditivo dell’evento (ex art. 40, co. 2, c.p.) ed in mancanza di specifici atti o provvedimenti scientemente diretti ad inserirsi nel processo causale, a condizione necessaria per la produzione del danno.

Ferma restando la relativa responsabilità politica dei consiglieri, neppure la mancata adozione di un regolamento comunale teso a disciplinare la gestione del patrimonio immobiliare, meritoriamente sollecitata da alcuni consiglieri di minoranza, può parimenti essere considerato un anello causalmente rilevante ai fini della produzione del danno, atteso che gli obblighi di servizio cui l’apparato amministrativo doveva attenersi in materia erano già chiaramente delineati dalla legge.

(G) Si ritiene per converso di esercitare il potere di riduzione dell’addebito di cui all’art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, nella misura del 50% del danno sopra quantificato, in ragione del generalizzato disordine organizzativo in cui sono maturate le condotte sopra esaminate (cfr. Sezione giur. Emilia-Romagna, sent. n. 19 del 2004).

Tali disfunzioni, risalenti senz’altro ad epoche ed amministrazioni precedenti, non possono certamente essere attribuite in via esclusiva ai tre convenuti ritenuti responsabili del danno accertato nel presente giudizio.

Di conseguenza il danno da porre a carico dei tre convenuti +++++++++++++++, in parti uguali tra loro, ammonta a complessivi € 75.000, ivi inclusa la rivalutazione monetaria.

(H) Le spese seguono la soccombenza per quanto riguarda i tre convenuti +++++++++++, mentre ai restanti convenuti prosciolti spetta le rifusione delle spese del giudizio che, in assenza di nota spese ed in applicazione dei parametri offerti dal DM 55/2014, vengono liquidati in € 1.725 ciascuno, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore dei convenuti ++++++++++++++, ed in complessivi € 2.587,50, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore dei restanti convenuti che si sono avvalsi di un solo legale.

P.Q.M.

la Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale per la regione Campania

CONDANNA i sig.ri ++++++++++++++++++++++ al pagamento, in favore del Comune di Atrani, della somma di € 25.000 ciascuno, oltre agli interessi nella misura di legge ed al pagamento delle spese di giustizia che si liquidano in € 1.336,16.

DICHIARA l’estinzione del processo per ++++++++++++ per sopravvenuta morte del convenuto;

PROSCIOGLIE i restanti convenuti disponendo a carico dell’Ente di appartenenza la rifusione delle spese legali che si liquidano in € 1.725 ciascuno, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore dei convenuti +++++++++++++++, ed in complessivi € 2.587,50, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore dei restanti convenuti.

Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017.

       IL CONS. ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Robert Schülmers von Pernwerth) (Michael Sciascia)

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