Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 giugno 2015, n. 12595. Il pedone investito al di fuori delle strisce pedonali non è risarcito.

Sussistono presunzioni gravi, precise e concordanti sul fatto che il pedone, senza tener conto che in quel punto non vi fossero strisce pedonali e che avrebbe dovuto concedere la precedenza, si è posto quale ostacolo imprevisto ed imprevedibile per l’automobilista. strisce pedonaliConseguenzialmente, nessuna responsabilità va addebitata all’automobilista in quanto i Vigili urbani avevano accertato che quest’ultimo non teneva una velocità eccessiva, che la strada era bagnata e che non vi era illuminazione.

testo integraleCorte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 novembre 2014 – 18 giugno 2015, n. 12595 Presidente Vivaldi – Relatore D’Amico

Svolgimento del processo

P.P.F. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma S.S. e la Winterthur Assicurazioni s.p.a. per sentir condannare i convenuti al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito a seguito del sinistro verificatosi in Roma quando egli, mentre stava percorrendo a piedi la via Appia Pignatelli, era stato violentemente investito, sul ciglio della strada, dall’autovettura Mercedes di proprietà e condotta dallo S., assicurata con la Winterthur.
Espose l’attore di aver subito gravi lesioni e di essere stato sottoposto a vari interventi chirurgici ed a prolungate cure riabilitative. Dedusse che la responsabilità dell’accaduto era da ascriversi al conducente dell’autovettura investitrice e chiese il risarcimento dei notevoli danni subiti.
Si costituirono la compagnia assicuratrice e lo S., contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
Il Tribunale respinse la domanda.
Propose appello P.P.F..
Si costituì l’appellata Aurora Assicurazioni s.p.a. (già Winterthur s.p.a.) che, in via incidentale condizionata, ribadì l’eccezione di prescrizione e le contestazioni nel merito, già svolte, sulla responsabilità esclusiva dello stesso pedone.
Lo S. si costituì contestando i motivi di gravame e chiedendone il rigetto.
La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello ed ha dichiarato integralmente compensate le spese del grado.
Propone ricorso per cassazione P.P.F. con tre motivi.
Resiste con controricorso l’Unipol Assicurazioni s.p.a. che presenta memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia « errores in procedendo – nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 111 Cost., 184, 187 e 209 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.»
Sostiene il ricorrente:
1) che durante il procedimento di primo grado egli aveva chiesto, all’udienza di trattazione, la concessione dei termini di cui all’art. 184 c.p.c.;
2) che il giudice aveva ritenuto la causa matura per la decisione impedendo ogni attività istruttoria;
3) che sul punto egli aveva impugnato la sentenza di primo grado lamentando error in procedendo per essergli stato impedito di svolgere attività istruttoria;
4) che la Corte d’appello non si è pronunciata sull’error
in procedendo.
Con il secondo motivo si denuncia «omessa pronuncia e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.»
Ritiene il ricorrente che la Corte d’appello di Roma,
chiamata a pronunciarsi sull’error in procedendo compiuto dal
giudice di primo grado, nella parte in cui ometteva di concedere alle parti in causa, durante l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. del 29 settembre 2003, i termini di cui all’art. 184 c.p.c. (ante riforma), ha omesso di statuire sul punto.
Ad avviso di P.P.F. la Corte d’appello non svolge alcuna motivazione in ordine alla lamentata violazione del principio del contraddittorio, del diritto di difesa e dell’art. 184 c.p.c. che hanno determinato la sua impossibilità di provare i fatti posti a fondamento della domanda ed ha sostenuto che egli non aveva fornito la prova in forza della quale sarebbe emersa una dinamica del sinistro diversa da quella riconosciuta nei due gradi del giudizio, oltre a sostenere la tardività delle deduzioni istruttorie formulate in appello.
I due motivi, che per la stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili per difetto del requisito dell’autosufficienza. Difetta infatti l’indicazione e la riproduzione in ricorso dell’atto contenente le richieste istruttorie denegate.
I motivi sono comunque infondati in quanto lo stesso ricorrente, a p. 17 del ricorso, riporta l’ordinanza del Tribunale del 29 settembre 2003 nella quale si afferma: «ritenuto che gli elementi già in atti siano sufficienti per risolvere la controversia, visto l’art. 209 c.p.c., rinvia per conclusioni all’udienza del 9/10/2012 (…) .»
Il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (Cass., 10 settembre 2004, n. 18222).
Il giudice di merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, non ammettere la dedotta prova testimoniale quando, alla stregua di tutte le altre risultanze di causa, ritenga – con giudizio che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità – la stessa superflua (Cass., 10 giugno 2009, n. 13375).
Il ricorrente comunque, pur denunciando error in procedendo, non spiega quale sarebbe l’attività istruttoria che avrebbe voluto svolgere e che avrebbe portato ad una diversa decisione.
Con il terzo motivo si denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto per di cui agli artt. 2054, 2697, 2724, 2727 e 2729 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c..»
Sostiene il ricorrente che, ai sensi dell’art. 2054, 1° comma, c.c., il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone od a cose dalla circolazione del veicolo stesso, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso di specie i convenuti non hanno fornito alcuna prova circa la loro incolpevole condotta, sebbene anch’essi abbiano formulato istanze istruttorie.
Ad avviso del ricorrente l’impugnata sentenza ha errato per aver ritenuto superabile la presunzione di cui al primo comma dell’art. 2054 c.c., attraverso una triplice presunzione.
Il motivo è infondato.
In tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. (Cass., 25 gennaio 2012, n. 1028).
L’impugnata sentenza ha ricostruito la dinamica del sinistro fondandosi sia sul verbale dei Vigili urbani, sia sulla testimonianza dell’autista dell’autobus e dell’automobilista che lo precedeva ed è giunta alla conclusione che il pedone non fosse sulle strisce pedonali.
La detta sentenza ha ritenuto la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti sul fatto che il pedone, senza tener conto che in quel punto non vi fossero strisce pedonali e che avrebbe dovuto concedere la precedenza, si pose quale ostacolo imprevisto ed imprevedibile per l’automobilista.
Nessuna responsabilità poteva essere inoltre addebitata all’automobilista in quanto i Vigili urbani avevano accertato che quest’ultimo non teneva una velocità eccessiva, che la strada era bagnata e che non vi era illuminazione.
Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell zd quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass., 5 dicembre 2011, n. 26022).
Il ricorrente, pur denunciando violazione di legge, chiede sostanzialmente un riesame in fatto degli atti processuali e dei dati dell’istruttoria, ampiamente esaminati dai giudici di merito ed insindacabili in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in E 3.200,00, di cui e 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge a favore di ciascun controricorrente, Unipol Assicurazioni s.p.a. e S.S..

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