Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 marzo 2015, n. 11029: Il Sindaco che non svolge il controllo sugli organi gestionali, risponde direttamente degli illeciti ambientali.

Sebbene l’art. 107 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) distingua tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo, è evidente che il rifiutiSindaco, una volta esercitati i poteri attribuitigli dalla legge, non può semplicemente disinteressarsi degli esiti di tale sua attività, essendo necessario, da parte sua, anche il successivo controllo sulla concreta attuazione delle scelte programmatiche effettuate. Egli ha, inoltre, il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico – operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente.

testo integraleCorte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 febbraio – 16 marzo 2015, n. 11029 Presidente Squassoni – Relatore Ramacci

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza del 2/12/2013 ha affermato la responsabilità penale di D.F. e M.L. , che ha condannato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 256, comma 2 d.lgs. 152/06, perché, in concorso tra loro, la prima in qualità di Sindaco del Comune di S. Pio delle Camere, il secondo quale legale rappresentante della “BARISCIANO COSTRUZIONI s.r.l.”, subappaltatrice di lavori di “messa in sicurezza di cavità ipogee del centro storico”, commissionati dal Comune, depositavano in modo incontrollato cumuli di rifiuti costituiti da scarti di cemento e sbriciolati (materiale di risulta del cantiere), giacenti direttamente su terreno vegetale in assenza di protezione del suolo ed esposti all’azione degli agenti atmosferici (accertato in (omissis) ).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione tramite i propri difensori di fiducia.
2. D.F. deduce, con un primo motivo di ricorso, la manifesta illogicità della motivazione, rilevando come il giudice del merito abbia ritenuto la responsabilità del sindaco sulla base della circostanza che l’autorizzazione al deposito era stata data dall’amministrazione comunale, pur dando atto dell’esistenza di una bozza di autorizzazione non firmata dal sindaco e del fatto che l’ufficiale di polizia giudiziaria intervenuto sul posto aveva riferito che il Sindaco, messo al corrente dell’accertamento, aveva dichiarato di non essere a conoscenza di nessun tipo di accordo, mentre il responsabile dell’ufficio tecnico comunale aveva riferito di aver assunto personalmente la decisione di autorizzare il deposito dei rifiuti.
Aggiunge che il giudice aveva indebitamente ricondotto alla persona del sindaco il riferimento alla “amministrazione comunale” contenuto nelle dichiarazioni del coimputato e travisato il contenuto delle dichiarazioni testimoniali con riferimento alla vicinanza del luogo del deposito alla sede comunale. Il Tribunale, inoltre, non avrebbe adeguatamente considerato il contenuto della legge 267/2000.
Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inattendibilità del teste a discarico, responsabile dell’ufficio tecnico comunale, il quale aveva affermato di essere stato egli stesso, insieme alla guardia municipale, ad autorizzare il deposito dei materiali e le cui dichiarazioni sono state ritenute inverosimili senza indicarne compiutamente le ragioni.
Con un terzo motivo di ricorso deduce, ancora una volta, il vizio di motivazione, rilevando come la decisione impugnata sarebbe contraddittoria laddove si afferma che il responsabile dell’ufficio tecnico e la guardia municipale avrebbero agito isolatamente, predisponendo, il giorno del controllo, la bozza di autorizzazione da far sottoscrivere al Sindaco, per poi ritenere che quest’ultimo fosse corresponsabile dell’illecita gestione.
3. M.L. deduce, con un primo motivo di ricorso, l’errata valutazione dei fatti e la insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, rappresentando che il deposito era finalizzato all’immediato trasferimento dei rifiuti presso la sede della società e che, per mero errore materiale del difensore, la citazione dei testi della difesa era stata effettuata con riferimento ad una data diversa da quella dell’udienza effettivamente fissata, con la conseguenza che il giudice del merito, nominato un difensore d’ufficio, aveva deciso la causa senza revocare l’ordinanza con la quale aveva ammesso i testi.
Aggiunge che, in ogni caso, mancherebbe la prova della sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
Con un secondo motivo di ricorso deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, non avendo il Tribunale proceduto, a fronte delle affermazioni dell’imputato circa la temporaneità della collocazione dei rifiuti sull’area si proprietà comunale, alla escussione dei testi della difesa ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen..
Con un terzo motivo di ricorso lamenta l’eccessività della pena e l’assenza di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Entrambi insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Considerato in diritto

1. Entrambi i ricorsi sono fondati, nei termini di seguito specificati.
Occorre preliminarmente rilevare che i fatti addebitati ai ricorrenti risultano compiutamente descritti nel capo di imputazione e riguardano, pacificamente, un’ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti.
L’attività posta in essere, come evidenziato nella sentenza impugnata, concernente la collocazione, in un terreno di proprietà comunale, di rifiuti provenienti dall’attività di “messa in sicurezza di cavità ipogee nel centro storico” del Comune di S. Pio delle Camere, è avvenuta in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo.
Sempre secondo la ricostruzione della vicenda effettuata dal giudice di merito, risulta che l’attività di deposito era in atto al momento del controllo ed era effettuata da un dipendente della ditta appaltatrice dei lavori con mezzi di proprietà della ditta medesima. L’utilizzazione dell’area comunale per il deposito era stata autorizzata dalla stessa amministrazione, in mancanza di sito idoneo all’interno del cantiere.
2. Fatta tale necessaria premessa, occorre prendere in considerazione i motivi di ricorso relativi alla posizione del Sindaco, D.F. , i quali possono essere esaminati congiuntamente, richiamando preliminarmente l’attenzione su alcuni principi già enunciati da questa Corte.
È stato, invero, più volte analizzato il ruolo dell’appaltatore con riferimento alle attività di gestione dei rifiuti, seppure, nella maggior parte dei casi, al fine di distinguerne gli obblighi e le responsabilità rispetto alle diverse figure del committente e del subappaltatore, osservando che nessuna fonte legale, né scaturente da norma extrapenale, quale la disciplina generale sui rifiuti, né da contratto, individua tali soggetti come gravati da un obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato ed il correlato potere giuridico di impedire che l’appaltatore commetta il reato di abusiva gestione dei rifiuti, con la conseguenza che, tranne nel caso di un diretto concorso nella commissione del reato, non può ravvisarsi alcuna responsabilità ai sensi dell’articolo 40, comma 2 cod. pen. per mancato intervento al fine di impedire violazioni della normativa in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice (Sez. 3, n. 25041 del 25/5/2011, Spagnuolo, Rv. 250676; Sez. 3, n. 40618 del 22/9/2004, Bassi, Rv. 230181; Sez. 3, n. 15165 del 28/1/2003, Capecchi, Rv. 224706. V. anche Sez. 3, n. 35692 del 5/4/2011, Taiuti, Rv. 251224).
Tali condivisibili considerazioni si fondano sulla natura stessa del contratto di appalto, che non consente, di norma, alcuna ingerenza da parte dell’appaltante nell’attività dell’appaltatore.
Si è così osservato come il committente non abbia alcun potere giuridico di impedire l’evento del reato di abusiva gestione dei rifiuti commesso dall’appaltatore, poiché ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori nel suo interesse ai sensi dell’articolo 1662 cod. civ., ad esempio verificando la conformità dei materiali utilizzati a quelli pattuiti o l’esecuzione delle opere a regola d’arte, ma non gli è consentito di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli interessi ambientali, salvo nel caso in cui questi coincidano col suo interesse contrattuale. Ha la facoltà di controllare la qualità dei materiali utilizzati per il riempimento del terreno, ma non il potere (e non certamente l’obbligo) di chiedere all’appaltatore se è abilitato allo smaltimento dei rifiuti e, tanto meno, di impedire all’appaltatore non autorizzato di smaltire i rifiuti che lui utilizza per lo svolgimento dell’appalto. Conclusioni analoghe sono state tratte nel caso in cui il committente dei lavori sia anche proprietario dell’area su cui i lavori sono eseguiti, poiché come tale egli non ha alcun potere giuridico specifico verso l’appaltatore, posto che i rapporti reciproci sono regolati soltanto dal contratto di appalto (così Sez. 3, n. 40618 del 22/9/2004, Bassi, cit).
3. Può, dunque, osservarsi che l’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuto; su di lui gravano, quindi, i relativi oneri, pur potendosi verificare, come osservato in dottrina, casi in cui, per la particolarità dell’obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull’attività dell’appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto.
La verifica delle singole posizioni costituisce, peraltro, un accertamento in fatto demandato al giudice del merito.
4. Con specifico riferimento, invece, alla figura del Sindaco, si è affermato che, sebbene l’art. 107 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) distingua tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo degli enti locali e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuiti ai dirigenti, cui sono conferiti autonomi poteri di organizzazione delle risorse, strumentali e di controllo, è evidente che il Sindaco, una volta esercitati i poteri attribuitigli dalla legge, non può semplicemente disinteressarsi degli esiti di tale sua attività, essendo necessario, da parte sua, anche il successivo controllo sulla concreta attuazione delle scelte programmatiche effettuate; egli ha, inoltre, il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico – operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente (Sez. 3, n. 37544 del 27/6/2013, Fasulo, Rv. 256638).
5. A fronte di ciò, deve osservarsi che, nel caso in esame, la posizione del Sindaco non è stata compiutamente valutata da parte del giudice del merito, il quale, come osservato in ricorso, ha fornito una motivazione inadeguata.
Invero, considerati due dati fattuali essenziali, la sussistenza dei quali non è oggetto di censura e, segnatamente, l’utilizzazione di un terreno di proprietà comunale per il deposito dei rifiuti e l’esistenza di una “autorizzazione” non sottoscritta dal Sindaco e recante la data del 27/6/2011, corrispondente a quella dell’accertamento (che in sentenza viene correttamente riportata nell’imputazione ma erroneamente indicata in motivazione, ove ci si riferisce al 26/7/2013, dando in seguito atto della corrispondenza tra il giorno della verifica e quello di redazione del documento), il giudice del merito procede attraverso un percorso giustificativo che si presenta tutt’altro che lineare.
Infatti, dopo aver dato atto dell’esistenza di un’autorizzazione all’uso del terreno di proprietà pubblica, il giudice del merito riporta testualmente alcuni brani delle dichiarazioni dell’ufficiale di polizia giudiziaria che aveva proceduto al controllo (Isp. C. ), tra le quali figura la seguente “…D.F. era stata contattata ed è venuta lì al comune intorno alle 12,20…e non era a conoscenza di nessun tipo di accordo che ci potesse essere… abbiamo chiesto del responsabile dell’ufficio tecnico, che in quel momento non era presente. Si è avvicinato a noi l’istruttore amministrativo della Polizia Municipale, il signor P. … il quale ci ha esibito una carta intestata, una dichiarazione a nome del sindaco, che esisteva un accordo verbale tra il sindaco e questa ditta per quanto riguarda lo sversamento di detti rifiuti”.
Subito dopo individua una conferma di un assenso del Sindaco al conferimento dei rifiuti nelle dichiarazioni del coimputato M. rese in sede di interrogatorio ed acquisite agli atti, il quale, dopo aver affermato che i rifiuti erano provvisoriamente collocati sul posto per poi essere trasferiti presso la sede della società per procedere al loro smaltimento, aggiungeva “…posso dire che tutti gli organi competenti ci avevano autorizzato all’attività di demolizione, deposito e successivo smaltimento. Tengo a specificare che il luogo ove sono stati momentaneamente depositati i materiali in questione è un’area del Comune di San Pio a quello scopo destinata ed a noi Barisciano Costruzioni indicata da quella amministrazione comunale”.
6. A fronte di tali dichiarazioni il Tribunale ritiene di tutta evidenza il riferimento alla figura del Sindaco considerando inverosimile che, in una piccolissima realtà locale quale quella interessata dai fatti per cui è processo, questi non avesse conoscenza del conferimento di rifiuti in corso da alcuni giorni.
Inoltre, pur dando atto che, in sede di deposizione testimoniale, tanto il tecnico comunale quanto la guardia comunale avevano riferito che l’autorizzazione al deposito al M. era stata data di loro iniziativa, rileva che l’aver agito senza coinvolgere il sindaco nella decisione sarebbe comunque “poco credibile”, sia per la delicatezza della decisione quanto per le evidenti responsabilità derivanti dal contratto di appalto.
Aggiunge il Tribunale che i lavori, regolarmente appaltati, avrebbero dovuto necessariamente prevedere un piano di smaltimento dei rifiuti, cosicché sarebbe “impensabile” che i due dipendenti avessero deciso di agire senza coinvolgere i vertici politici dell’amministrazione locale.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di valutazioni meramente ipotetiche che non superano l’ambito delle mere congetture e che non paiono idonee a superare il dato concreto rappresentato dalle dichiarazioni del tecnico comunale e dell’istruttore di vigilanza, il cui contenuto, inequivoco, non può essere certo inficiato sulla base di un giudizio di mera inverosimiglianza.
7. Parimenti illogiche appaiono le ulteriori considerazioni concernenti il documento privo della sottoscrizione del Sindaco.
Afferma il Tribunale, ricordando come il documento recasse una data coincidente con quella dell’accertamento, che, seppure il tecnico comunale e la guardia municipale avessero agito di loro iniziativa, cercando poi di rimediare predisponendo il documento da far sottoscrivere al Sindaco, sarebbe comunque evidente la loro consapevolezza circa la necessità di un coinvolgimento della massima autorità comunale nelle decisioni concernenti la gestione dei rifiuti e, conseguentemente, che essa sussistesse fin dal momento in cui era sorta la necessità di individuare un sito per la collocazione dei rifiuti e che, pertanto, ne avessero reso immediatamente edotto il sindaco il quale avrebbe dato il suo assenso.
Anche in questo caso il giudizio risulta fondato su personali supposizioni e l’intera motivazione, per ciò che riguarda la posizione del Sindaco, appare manifestamente carente, in quanto non spiega, tenuto conto dei principi dianzi richiamati, sulla base di quali elementi concreti, al di là delle mere ipotesi, risulti dimostrato che questi avesse cognizione del conferimento dei rifiuti e delle modalità con le quali veniva attuato e che sia direttamente intervenuto nei confronti dell’appaltatore.
Si rende pertanto necessario l’annullamento con rinvio della decisione impugnata affinché venga posto rimedio alle lacune motivazionali rilevate.
8. A conclusioni in parte diverse deve invece pervenirsi per ciò che concerne il ricorso proposto nell’interesse di M.L. .
Della posizione dell’appaltatore nelle attività di gestione dei rifiuti si è già detto, così come si è evidenziato che nella sentenza viene dato atto della circostanza che il reato è stato accertato in corso di consumazione direttamente dal personale di polizia giudiziaria, intervenuto sul luogo dell’illecito deposito, il quale ha anche verificato l’assenza di qualsivoglia titolo abilitante alle attività di gestione poste in essere.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, risulta evidente che era onere dell’appaltatore, soggetto professionalmente inserito in una specifica attività imprenditoriale, prendere cognizione delle autorizzazioni necessarie per l’espletamento della propria attività.
Del tutto indimostrato risulta, inoltre, all’esito del giudizio di primo grado, che il materiale fosse depositato, come affermato anche in ricorso, in attesa di essere trasportato altrove per essere lecitamente smaltito.
Si tratta, peraltro, di argomentazioni in fatto che non possono avere ingresso nel giudizio di legittimità.
Risulta dunque evidente l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
9. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso.
Come rilevato dallo stesso ricorrente, in assenza del difensore fiduciario, il giudice del merito ha nominato un avvocato d’ufficio ed ha chiuso l’istruzione dibattimentale senza assumere i testi della difesa precedentemente ammessi.
Dall’esame degli atti, dei quali questa Corte può prendere cognizione in considerazione della natura dell’eccezione proposta, risulta che, all’udienza del 23/9/2013, l’Avv. GALEOTA, rappresentato dal sostituto processuale, Avv. CALDEROLI, ha depositato la citazione dei propri testi.
Il giudice ha rinviato il processo all’udienza del 4/11/2013, autorizzando i difensori alla citazione dei testi “anche per le vie brevi”.
In quell’udienza il M. , contumace, risulta difeso di ufficio dall’Avv. RICCI ed il processo viene rinviato all’udienza del 2/12/2013, in occasione della quale il M. è difeso, sempre d’ufficio, da altro difensore (Avv. TOTANI). Il difensore del coimputato, sempre in quella udienza, ha rinunciato all’escussione dei propri testi, mentre il difensore del M. ha chiesto di depositare il verbale dell’interrogatorio reso dal suo assistito. Il giudice, letto il verbale, ha disposto la restituzione dei mezzi in sequestro all’avente diritto con provvedimento redatto in calce al documento, nella stessa udienza si procedeva alla discussione e le parti rassegnavano le proprie conclusioni come da verbale.
Dall’udienza del 4/11/2013 non vi è più traccia, in atti, della presenza dell’Avv. GALEOTA quale difensore del M. , né, tanto meno, della citazione testi, allegata in copia al ricorso, per una diversa data erroneamente indicata.
Manca, infine, ogni altro documento proveniente dal difensore di fiducia.
10. Ciò posto, deve rilevarsi che, in ogni caso, l’errore nella citazione dei testi è attribuibile esclusivamente alla persona del difensore, sul quale incombeva l’onere di verificare la data effettiva di rinvio fissata dal giudice, cosicché nessuna conseguenza può derivare dalla mancata escussione dei testimoni indicati.
Va poi rilevato che il giudice ha il dovere di ricorrere al proprio potere di disporre l’acquisizione, anche d’ufficio, di nuovi mezzi di prova qualora ciò sia indispensabile per rendere la decisione, mentre, nella fattispecie, una tale evenienza era del tutto insussistente, come emerge dalle stesse osservazioni prospettate in ricorso, ove si assume che l’escussione dei testi indicati era finalizzata a dimostrare la temporaneità della permanenza dei rifiuti sul terreno previa autorizzazione dell’amministrazione comunale, circostanza che, a dire del ricorrente, avrebbe escluso la sussistenza del reato.
Si tratta, tuttavia, di un’affermazione giuridicamente errata, perché, in primo luogo, nessuna disposizione di legge prevede la possibilità di autorizzare verbalmente attività di gestione dei rifiuti ed, in secondo luogo, il deposito temporaneo presuppone che il raggruppamento dei rifiuti avvenga nel luogo di produzione dei rifiuti medesimi e deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, circostanze, queste, chiaramente escluse da quanto accertato dal giudice del merito, atteso che i rifiuti venivano depositati in luogo diverso da quello di produzione e risultavano collocati direttamente sul terreno senza alcuna cautela, lasciandoli esposti agli agenti atmosferici.
11. Se, dunque, il giudizio di responsabilità del ricorrente supera il vaglio di legittimità cui è stato sottoposto, altrettanto non può dirsi per ciò che concerne la determinazione della pena, oggetto di censura nel terzo motivo di ricorso.
Manca, invero, qualsivoglia motivazione sul punto, essendosi il giudice del merito limitato ad affermare che alla riconosciuta responsabilità consegue la condanna degli imputati “alla pena indicata”.
12. Come è noto, il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall’articolo 133 cod. pen..
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale attribuito al giudice di merito, che risulta legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi indicati nella richiamata disposizione (Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Quanto alla motivazione, si è osservato che una specifica e dettagliata giustificazione sulla quantità della pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto nel caso in cui essa sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, ritenendosi negli altri casi adeguato il riferimento all’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 cod. pen. mediante espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 28852 del 8/5/2013, Taurasi Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596).
Nella fattispecie il giudice del merito non ha effettuato neppure un mero richiamo al criterio di adeguatezza della pena e ciò nonostante l’importo della stessa (Euro 20.000,00 di ammenda) sia prossima al massimo edittale stabilito per la pena pecuniaria, prevedendo l’art. 256, comma 1 lett. a), richiamato dal secondo comma del medesimo articolo, la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o, in alternativa, l’ammenda da 2.600,00 a 26.000,00 Euro.
La fondatezza del motivo di ricorso appena esaminato comporta, conseguentemente, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.F. e, limitatamente alla determinazione della pena, nei confronti di M.L. , con rinvio al Tribunale di L’Aquila.
Rigetta nel resto il ricorso di M.L. .

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