Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza n. 1747 del 30 gennaio 2015

 La misura interdittiva dell’incandidabilità temporanea dell’amministratore responsabile delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale consiglio comunale 2conseguente a fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso o similare rappresenta un rimedio di extrema ratio volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare. Ai fini della sua applicazione, è irrilevante che l’amministratore sia stato assolto dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

 

sentenza integrale

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 27 – 30 gennaio 2015, n. 1747
Presidente Rovelli – Relatore Giusti

Ritenuto in fatto

1. – Proclamato sindaco del Comune di Ventimiglia a seguito delle consultazioni elettorali del 2007, il sig. S.G.A. è rimasto in carica fino alla sospensione e al successivo scioglimento del consiglio comunale, scioglimento disposto – ai sensi dell’art. 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 – con decreto del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2012, su proposta del Ministro dell’interno del 2 febbraio 2012, quest’ultima corredata dalla relativa relazione del prefetto di Imperia del 4 gennaio 2012.
Con nota prot. 15900/B745/2012, tali provvedimenti sono stati trasmessi dal Ministro dell’interno al Presidente del Tribunale di Sanremo “per le finalità di cui all’art. 143, comma 11, del [citato] decreto legislativo”.
Ricevuta in data 17 marzo 2012 tale nota del Ministro con i relativi allegati, il Presidente del Tribunale di Sanremo, con provvedimento del successivo 29 marzo 2012, ne ha disposto la trasmissione al Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale per le determinazioni di competenza.
Con ricorso in data 5 giugno 2012 ai sensi dell’art. 143, comma 11, del testo unico, il Procuratore della Repubblica ha chiesto al Tribunale di Sanremo di dichiarare l’incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali destinate a svolgersi in Liguria, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia, “di coloro che possono individuarsi quali passati amministratori della disciolta amministrazione che risultano essere stati – direttamente o indirettamente – vicini ad ambienti della criminalità organizzata, ed in particolare di: S.G.A. , P.M. , M.V. “.
Nel procedimento così introdotto si è costituito lo S. , formulando eccezioni in rito e instando per il rigetto della domanda.
Alla successiva udienza del 12 marzo 2013 si è costituito anche, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale, il Ministero dell’interno, il quale si è associato alla domanda di incandidabilità dello S. proposta dalla Procura della Repubblica con il ricorso introduttivo.
Il procedimento è stato definito con decreto 8 maggio 2013, n. 167, con cui il Tribunale di Sanremo ha respinto la richiesta di incandidabilità avanzata dal pubblico ministero.
2. – Avverso detto provvedimento ha proposto reclamo il Ministero dell’interno, al quale ha resistito lo S. .
Con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 20 febbraio 2014, la Corte d’appello di Genova, in parziale accoglimento del reclamo, ha dichiarato l’incandidabilità dello S. alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella Regione Liguria limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia (disposto con decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 2012), ha respinto il reclamo del Ministero nei confronti di M.V. , ed ha condannato lo S. alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero in entrambe le fasi del procedimento.
2.1. – Quanto all’eccepita inammissibilità del reclamo perché proposto da un soggetto – il Ministero dell’interno – che non sarebbe stato parte della precedente fase, la Corte d’appello, per un verso, ha rilevato che il Ministero si è in realtà costituito nella precedente fase davanti al Tribunale depositando, all’udienza del 12 marzo 2013, comparsa di costituzione con cui ha espressamente domandato la dichiarazione di incandidabilità dello S. (e del M. ); per l’altro verso, ha sottolineato che l’art. 143, comma 11, del testo unico prevede una peculiare forma di introduzione del procedimento che richiede la semplice trasmissione da parte del Ministro della proposta di scioglimento e che, nella specie, il Ministro si è attivato in conformità del disposto normativo in questione inviando al competente Tribunale una nota con, allegate, la proposta di scioglimento e la copia del decreto del Presidente della Repubblica.
La Corte territoriale ha escluso che sia mancata l’instaurazione del contraddittorio sulla detta nota del Ministro.
La Corte di Genova ha quindi dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 27, secondo comma, 51, primo comma, 48, 97 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 143, comma 11, del testo unico, nella parte in cui prevede l’incandidabilità a determinate cariche elettive di soggetti che non sono stati condannati in via definitiva per la commissione di determinati reati. Nella fattispecie sono in gioco – ha rilevato il giudice del reclamo – esigenze cautelari che prescindono dalla commissione di un reato, e la misura interdittiva in questione, che ha come presupposto lo scioglimento del consiglio comunale ed è limitata al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del consiglio, appare ragionevole e proporzionata in quanto diretta a prevenire compromissioni dell’autonoma determinazione degli enti locali e, quindi, a tutelare interessi, di rango costituzionale, riconducibili al principio di buon andamento dell’amministrazione e alla difesa dell’ordine e della sicurezza pubblica.
La Corte distrettuale ha poi respinto l’eccezione in ordine alla mancata indicazione, nella proposta di scioglimento, degli amministratori responsabili dello scioglimento del consiglio comunale, rilevando che nella proposta si rinviene un espresso riferimento al sindaco del Comune di Ventimiglia e che in essa si da atto che l’allegata relazione del prefetto del 4 gennaio 2012 costituisce parte integrante della proposta stessa. In questa relazione – ha osservato la Corte – si fa riferimento alle informazioni fornite dal Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Genova sulle frequentazioni del sindaco con la famiglia Ma. , indicata come punto di riferimento per la locale malavita calabrese nel ponente ligure, e su come lo stesso sindaco avesse fortemente difeso la creazione della “Civitas” quale società in house del Comune di Ventimiglia, società tramite la quale sono stati affidati vari lavori alla cooperativa sociale “Marvon”, direttamente riconducibile alla famiglia Ma. .
Ad avviso della Corte d’appello, la circostanza che lo S. – poi rinviato a giudizio per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. (concorso esterno in associazione mafiosa) – abbia tollerato ed accettato il conferimento del 70% delle opere appaltate nel 2008 alla cooperativa “Marvon” e si sia incontrato personalmente nel suo ufficio con ti legale rappresentante di detta cooperativa per discutere dell’assegnazione di un lavoro sul mercato coperto del Comune, ricevendo anche dalla cooperativa un preventivo in proposito, prima di ogni deliberazione della giunta, consente di ravvisare elementi concreti, univoci e rilevanti sulla sussistenza di un particolare ed anomalo trattamento di favore riservato dal sindaco alla “Marvon” e, quindi, su collegamenti, quanto meno indiretti, del sindaco stesso con la criminalità organizzata di tipo mafioso, cui va ricondotta la “Marvon”, ovvero su forme di condizionamento da parte di detta criminalità, e ciò a prescindere dalla violazione o meno della normativa sugli appalti pubblici.
3. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello lo S. ha proposto ricorso, con atto notificato il 19 aprile 2014, sulla base di cinque motivi.
Vi ha resistito, con controricorso, il Ministero dell’interno.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza il ricorrente ed il Ministero hanno depositato memorie illustrative.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 143, commi 4 e 11, del d.lgs. n. 267 del 2000 e degli artt. 72, 81, 737 e 738 cod. proc. civ., il tutto in relazione ai nn. 3) e 4) dell’art. 360 cod. proc. civ., nonché omesso esame circa il difetto di legittimazione “passiva” (recte: attiva) della Procura della Repubblica, in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.. Il ricorrente deduce che l’atto introduttivo del procedimento è costituito nel caso di specie dal ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Sanremo e non dalla proposta ministeriale, con conseguente violazione, da un lato, della disposizione del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali che conferisce esclusivamente al Ministro la legittimazione a chiedere la valutazione del Tribunale ai fini della dichiarazione di incandidabilità, e, dall’altro lato, delle norme del codice di rito che attribuiscono al pubblico ministero la facoltà di essere “sentito” nell’ambito del procedimento e non anche la legittimazione ad introdurlo. Di qui la prospettata nullità dell’intero procedimento e dei provvedimenti giudiziali che lo hanno definito, sta in prima che in seconda istanza, nonché l’erroneità del decreto della Corte d’appello che non ha rilevato tale nullità, e, in ogni caso, l’improponibilità e/o l’inammissibilità del ricorso introduttivo del procedimento, stante il difetto di legittimazione attiva della Procura della Repubblica. Nessun effetto di ratifica o di sanatoria dell’assenza di legittimazione attiva potrebbe essere attribuito, ad avviso del ricorrente, alla successiva costituzione in giudizio del Ministero dell’interno a mezzo dell’Avvocatura dello Stato.
1.1. – Il motivo è infondato perché non tiene conto del concreto svolgimento del procedimento dinanzi al Tribunale di Sanremo.
1.2.1. – Occorre premettere che l’art. 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – così come risultante dalla sostituzione operata dall’art. 2, comma 30, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) – prevede lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare.
Dispone il comma 1 del citato art. 143 che “i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando […] emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori […], ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad essi affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.
Ai sensi del successivo comma 4, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. “Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”.
In questo contesto si colloca la previsione, nel comma 11 dello stesso art. 143, dell’incandidabilità temporanea degli “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento” del consiglio dell’ente locale. Costoro “non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo”.
Il citato comma 11 detta anche la disciplina del procedimento giurisdizionale rivolto alla dichiarazione della incandidabilità degli amministratori responsabili. Vi si prevede infatti che “[a]i fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile”.
1.2.2. – Dal tenore letterale della disciplina legislativa emerge che lo speciale procedimento camerale destinato a valutare la responsabilità degli amministratori e i loro collegamenti inquinanti e ad amputare cautelativamente, con la dichiarazione di incandidabilità, i rischi di proiezioni criminali nel primo turno elettorale successivo allo scioglimento che si svolge nel perimetro regionale di riferimento dell’ente disciolto, inizia con l’invio, da parte del Ministro dell’interno, della proposta di scioglimento al tribunale competente per territorio.
È esatto che il procedimento giurisdizionale in questione si svolge – per espresso richiamo normativo – secondo la procedura camerale ex art. 737 e ss. cod. proc. civ. e che proprio l’art. 737 cod. proc., il quale apre il capo VI recante le “Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio”, prevede che “[i] provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente”, e quindi richiede che la domanda assuma la forma del ricorso contenente i requisiti menzionati nell’art. 125 cod. proc. civ..
Ma il legislatore – pur disponendo l’applicazione, “in quanto compatibili”, delle “procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile” – ha dettato, espressamente, una diversa forma di introduzione del procedimento de quo. Prevedendo che “[a]i fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio”, il comma 11 del citato art. 143 non solo affida al Ministro dell’interno la legittimazione attiva, ma anche individua nella trasmissione della proposta di scioglimento avanzata dallo stesso Ministro l’atto introduttivo del procedimento.
Si è quindi di fronte ad una forma speciale di instaurazione del giudizio, destinato poi a svolgersi – una volta appunto introdotto secondo le prescrizioni dettate dalla norma – nelle forme del rito in camera di consiglio.
Si tratta di una scelta legislativa coerente con la natura e il contenuto della proposta ministeriale e, al contempo, con le finalità del rimedio della incandidabilità.
Per un verso, infatti, la proposta di scioglimento del Ministro dell’interno non solo indica le anomalie riscontrate e i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico, ma contiene anche la menzione degli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento: di qui l’idoneità di detta proposta del Ministro, in quanto recante i nominativi degli amministratori responsabili e le ragioni della loro dedotta responsabilità, a fungere, una volta inviata al tribunale competente ai fini della dichiarazione d’incandidabilità di detti amministratori, da atto di impulso del relativo procedimento giurisdizionale.
Per l’altro verso, occorre considerare che l’incandidabilità temporanea e territorialmente delimitata rappresenta una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali. Nel disegno normativo, pertanto, l’attitudine postulatoria della proposta proveniente direttamente dalla parte sostanziale e la non necessità per l’Amministrazione dell’interno, ai fini dell’introduzione del procedimento, di versare gli elementi già contenuti in quella proposta in un atto di ricorso, si giustificano con l’esigenza di apprestare forme procedimentali essenziali, in grado di permettere una risposta giurisdizionale il più possibile ravvicinata nel tempo. Risponde ad una logica di effettività del rimedio prefigurato dal legislatore il riservare alla stessa Autorità cui sono demandate le funzioni di formalizzare la proposta di scioglimento dell’organo elettivo dell’ente esposto a infiltrazioni della criminalità organizzata ovvero dalla stessa condizionato nel suo funzionamento, il compito anche di introdurre direttamente, con l’invio della proposta e dei relativi allegati, il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità dei componenti degli organi politici che abbiano provocato o concorso a provocare lo scioglimento dell’ente.
Né in senso contrario varrebbe il rilievo secondo cui il procedimento in questione, anche se costruito secondo il modello camerale, ha natura contenziosa, sicché l’atto introduttivo dovrebbe essere sottoscritto da un difensore (l’Avvocatura dello Stato), trovando in esso piena applicazione il principio dell’obbligatorietà della difesa tecnica, laddove il Ministro è privo di ius postulandi. Si tratta di obiezione che non considera la circostanza che, per regola generale (art. 3 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, e, ora, art. 22 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150; in giurisprudenza: Sez. Un., 21 gennaio 1977, n. 312; Sez. I, 20 novembre 1979, n. 6062; Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7154), nei giudizi elettorali non è necessario il ministero di avvocato e le parti – quindi anche la parte pubblica – possono stare in giudizio personalmente in ogni grado.
1.3. – Tanto premesso sul piano della ricostruzione del quadro normativo, occorre rilevare che il ricorrente, nel denunciare la radicale nullità dell’intero procedimento, muove dalla considerazione che l’iniziativa per la dichiarazione di incandidabilità dello S. , in conseguenza dello scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia, sarebbe stata assunta, invalidamente, dalla Procura della Repubblica di Sanremo anziché dal Ministro dell’interno.
Ma si tratta di un rilievo erroneo.
Risulta infatti dagli atti che l’iniziativa del procedimento è stata assunta, in conformità della disciplina legislativa, dal Ministro dell’interno, il quale ha inviato al competente Tribunale di Sanremo, “per le finalità di cui all’art. 143, comma 11, del decreto legislativo”, una nota con, allegate, la proposta di scioglimento del consiglio comunale con l’unita relazione del Prefetto di Imperia e la copia del decreto del Presidente della Repubblica con cui è stato disposto lo scioglimento del consiglio dell’ente locale.
Vero è che, ricevuta in data 17 marzo 2012 la detta nota ministeriale, il Presidente del Tribunale di Imperia ha trasmesso gli atti al Procuratore della Repubblica per le sue determinazioni, e che quest’ultimo, anziché limitarsi ad esprimere il parere ai sensi dell’art. 738, secondo comma, cod. proc. civ., ha proposto a sua volta un ricorso per la dichiarazione di incandidabilità, tra gli altri, dello S. , già indicato, nell’atto del Ministro inoltrato al Tribunale, come responsabile delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento.
Ma, poiché al ricorso del Procuratore della Repubblica devono riconoscersi natura e funzione di sollecitazione della trattazione in sede camerale dell’atto ministeriale di avvio del procedimento, questa duplicazione e sovrapposizione di iniziative non ha posto nel nulla il già avvenuto esercizio, da parte del soggetto – il Ministro dell’interno – a ciò legittimato, del potere di provocare il provvedimento del giudice. E neppure ha inficiato la ritualità del contraddittorio, essendosi questo instaurato anche sulla proposta del Ministro e sui relativi allegati, ciò che ha consentito al destinatario della stessa – costituitosi in giudizio davanti al Tribunale a seguito della notifica ad esso effettuata del provvedimento con cui il Tribunale fissava l’udienza di comparizione – di avere piena contezza dei fatti addebitatigli e della richiesta del Ministro, nei suoi confronti, della misura della incandidabilità, avendo d’altra parte lo S. ottenuto termine a difesa a seguito della presentazione in giudizio da parte dell’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero, di memoria con cui è stato ribadito quanto contenuto nell’atto di instaurazione del procedimento.
2. – Il secondo mezzo censura “violazione dell’art. 143, commi 4 e 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, sotto diverso profilo; difetto assoluto di giurisdizione; violazione degli artt. 99 e 101 cod. proc. civ. nonché 51 e 111 Cost., il tutto in relazione ai nn. 1), 3) e 4) dell’art. 360 cod. proc. civ.”. Ad avviso del ricorrente, il fatto che nella proposta ministeriale o anche nella relazione prefettizia alla stessa allegata si faccia “espresso riferimento” allo S. , non significa che lo stesso sia stato poi “indicato” – come non lo è stato – dal Ministro dell’interno come amministratore del disciolto consiglio comunale di Ventimiglia nei confronti del quale chiedere al Tribunale la dichiarazione di incandidabilità, mancando d’altro canto, nella stessa prospettazione ministeriale o prefettizia, finanche l’indicazione delle ragioni per le quali lo S. avrebbe dovuto essere dichiarato incandidabile. Si sostiene che, essendo mancata detta indicazione, si è finito con l’attribuire alla Procura della Repubblica un potere costituente prerogativa esclusiva del Ministero dell’interno, essendosi consentito che, dai riferimenti agli amministratori come riportati nell’atto ministeriale e in quello prefettizio, potesse desumersi in via interpretativa che la volontà del Ministro fosse quella di chiedere la declaratoria di incandidabilità dello S. , piuttosto che degli altri amministratori cui pure in detti provvedimenti si faceva riferimento. La Corte d’appello e, in precedenza, il Tribunale, attraverso l’attività ermeneutica posta in essere per “individuare” nello S. l’amministratore che avrebbe dovuto essere ma che non è stato “indicato” dal Ministro dell’interno nella propria proposta di scioglimento del consiglio comunale di Ventimiglia ai fini della relativa dichiarazione di incandidabilità, sarebbero incorsi in difetto assoluto di giurisdizione, avendo sostituito la propria attività a quella – provvedimentale – dell’Amministrazione. Sarebbero violati anche il principio della domanda, il principio della regolare instaurazione del contraddittorio e quello del giusto processo, applicabili nei procedimenti in camera di consiglio quando vengono in rilievo veri e propri diritti soggettivi, tra cui quello, di rilevanza costituzionale, di elettorato passivo.
2.1. – Il motivo è infondato, non essendo configurabile alcuna indebita invasione di un campo riservato all’iniziativa ed all’azione della pubblica amministrazione, giacché la valutazione della sussistenza, ad opera dell’autorità giurisdizionale investita della pertinente richiesta del Ministro, della sussistenza degli elementi per la dichiarazione di incandidabilità è stata effettuata con riferimento ad un amministratore – il sindaco di Ventimiglia – indicato nella proposta del Ministro, e nella relazione del prefetto che ne costituisce parte integrante, come responsabile delle condotte che hanno dato luogo allo scioglimento del consiglio comunale di quella città.
Invero, la proposta di scioglimento contiene l’indicazione del sindaco S. come responsabile del degrado amministrativo del Comune di Ventimiglia, determinato ed alimentato dal clima di condizionamento mafioso; la relazione del prefetto di Imperia (in particolare nel paragrafo 3, dedicato all’analisi di “compromissioni, interferenze e condizionamenti in contratti, appalti, autorizzazioni”) fa espresso riferimento al sindaco come soggetto che “quale vertice dell’amministrazione comunale e socio unico della Civitas, condivideva certamente con il presidente del consiglio di amministrazione tutte le decisioni più importanti della società”, rilevando come la stessa formulazione dello statuto sociale della “Civitas” fosse stata concepita per porre il sindaco al centro di tutte le scelte strategiche; la medesima relazione del prefetto richiama, ancora, le informazioni fornite dal Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Genova sulle frequentazioni del sindaco con la famiglia Ma. (indicata come punto di riferimento per la locale malavita calabrese nel ponente ligure), informazioni che avevano trovato conferma in ulteriori evidenze investigative, in particolare nella circostanza che lo stesso sindaco aveva fortemente difeso la creazione della “Civitas” quale società in house dei Comune, tramite la quale sono stati affidati vari lavori alla cooperativa sociale “Marvon” (direttamente riconducibile alla famiglia Ma. ).
3. – Il terzo motivo (violazione dell’art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, sotto ulteriore profilo; violazione degli artt. 737 e ss. cod. proc. civ.; difetto assoluto di giurisdizione sotto altro profilo, in relazione ai nn. 1 e 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.) lamenta che il decreto impugnato abbia attribuito valenza decisiva ai fini della declaratoria di incandidabilità ad elementi “eteronomi” rispetto a quelli di cui alla proposta di scioglimento. Il ricorrente sostiene che, a parte qualche sporadico richiamo alla relazione prefettizia che accompagnava la proposta ministeriale, gli elementi sulla base dei quali è stata ravvisata l’esistenza di contatti tra il ricorrente e la consorteria di stampo mafioso radicata nel territorio del Comune di Ventimiglia sarebbero stati desunti dall’ordinanza dei GIP di Genova del 22 novembre 2012 e, più in generale, dalle risultanze del procedimento in cui detto provvedimento era stato assunto. Siffatto modus procedendi costituirebbe la riprova che né nella proposta ministeriale, né nella allegata relazione prefettizia e-rano indicati gli amministratori nei cui confronti doveva farsi luogo alla declaratoria di incandidabilità e precisate le ragioni per le quali la stessa si imponeva. La proposta ministeriale, seppure avente la funzione di introdurre il procedimento giudiziale in esame, resterebbe pur sempre un atto amministrativo, costituente prerogativa esclusiva dell’Amministrazione statale; e questo provvedimento – si rileva – finirebbe per essere inammissibilmente integrato e/o modificato nel suo contenuto, se fosse consentito al giudice civile di pronunciare l’incandidabilità degli amministratori sulla base di elementi acquisiti aliunde e/o sopravvenuti rispetto ad esso, perché si finirebbe per consentire al potere giurisdizionale di invadere i confini del potere amministrativo, con conseguente difetto assoluto di giurisdizione.
3.1. – Anche questa censura è priva di fondamento.
Nel procedimento camerale di cui all’art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, il tribunale – chiamato a valutare, ai fini della dichiarazione di incandidabilità, la sussistenza della responsabilità degli amministratori in ordine alle condotte che hanno dato causa allo scioglimento – forma il proprio convincimento, non solo sulla base degli elementi già contenuti nella proposta di scioglimento del Ministro dell’interno e nella allegata relazione del prefetto, ma anche prendendo in esame le risultanze probatorie acquisite, nel contraddittorio tra le parti, nel corso del procedimento; pertanto, correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che il collegamento del sindaco con la criminalità organizzata e l’incidenza di questa sul procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi fossero suffragati dalla sopravvenuta ordinanza di custodia cautelare emessa dai giudice per le indagini preliminari, prodotta nel procedimento camerale, e dalle deposizioni di cui si da atto nella stessa.
4. – Con il quarto motivo (violazione dell’art. 143, commi 1 e 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.; violazione degli artt. 27 e 53 Cost.; in via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 143, commi 1 e 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, in relazione agli artt. 27 e 53, recte 51, Cost.) – premesso che la declaratoria di incandidabilità dello S. si è venuta a fondare essenzialmente sulla circostanza che una società in house del Comune, non oggetto di puntuale controllo e di adeguati indirizzi operativi da parte dell’ente di cui costituiva un semplice braccio operativo e del suo vertice politico, aveva affidato un gran numero di commesse senza gare ad una cooperativa, la “Marvon”, controllata da consorteria di stampo mafioso radicatasi nel territorio di Ventimiglia – si censura il decreto impugnato per avere riconosciuto la sussistenza di un collegamento tra lo S. e il predetto sodalizio criminale senza verificare se sussistevano elementi gravi, precisi e concordanti che dimostrassero che il sindaco fosse consapevole della predetta circostanza (e del fatto che l’amministratore della cooperativa con il quale aveva avuto diversi incontri fosse a tutti gli effetti affiliato alla predetta consorteria di stampo mafioso). Secondo il ricorrente, non sarebbe consentito precludere l’esercizio del diritto, costituzionalmente garantito, di elettorato passivo, per il mero fatto che siano state – seppur in ipotesi illegittimamente – affidate commesse pubbliche (per effetto e in conseguenza, peraltro, di provvedimenti amministrativi dirigenziali o di deliberazioni giuntali) a una cooperativa che il sindaco ignorava essere riconducibile alla criminalità organizzata.
Con il quinto motivo (falsa applicazione dell’art. 143, commi 1 e 11, sotto altro profilo, nonché degli artt. 4 e 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) ci si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto, al contrario del primo giudice, che il sindaco, proprio per la sua posizione apicale all’interno del Comune, era ben in grado di influenzare e condizionare la formazione della volontà dell’ente pubblico. Ad avviso del ricorrente, l’asserita idoneità ad influenzare i dipendenti dell’ente locale e gli organi elettivi che discenderebbe dalla carica di sindaco, mai potrebbe avere una portata tale da coartare e comunque alterare il procedimento formativo della volontà degli organi elettivi e amministrativi dell’ente locale.
4.1. – I due motivi – i quali, stante la loro continuità logica ed argomentativa, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.
Il decreto impugnato enumera una serie di elementi, analiticamente descritti, concretamente ed univocamente rilevatori della sussistenza di un particolare ed anomalo trattamento di favore riservato dal sindaco S. , tramite la società in house “Civitas”, alla cooperativa “Marvon”, riconducibile alla famiglia Ma. , referente della criminalità organizzata calabrese nel ponente ligure: elementi ritenuti – con congruo e logico apprezzamento, affidato ad una motivazione accurata e minuziosa – denotativi di responsabilità causativa dello scioglimento del consiglio comunale, che di per sé giustifica la sanzione della incandidabilità.
I motivi si risolvono, per un verso, in una inammissibile confutazione, nel merito, delle valutazioni operate dalla Corte territoriale.
Né, in particolare, ha rilievo la circostanza che, secondo quanto riferito nella memoria illustrativa del ricorrente e ribadito in sede di discussione del ricorso, lo S. sarebbe stato poi assolto dal Tribunale di Genova dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa perché gli elementi acquisiti in sede penale “non consentono in alcun modo di dimostrare che [l’imputato] fosse consapevole del fatto che dietro la cooperativa Marvon si celassero soggetti appartenenti all’associazione di stampo ndranghetistico”.
Invero, non solo il procedimento giurisdizionate volto alla dichiarazione di incandidabilità è autonomo rispetto a quello penale, ma anche diversi ne sono i presupposti, perché la misura interdittiva di cui all’art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali non richiede che la condotta dell’amministratore integri gli estremi dell’illecito penale di (partecipazione ad associazione mafiosa o) di concorso esterno nella stessa: perché scatti l’incandidabilità alle elezioni, rileva la responsabilità dell’amministratore nel grave stato di degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e quindi è sufficiente che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio. Ed è quello che, appunto, la Corte d’appello ha accertato essersi verificato, quando ha sottolineato il mancato esercizio, da parte del sindaco S. , del potere-dovere di indirizzo e controllo sull’operato degli amministratori della “Civitas”, omissioni concretizzatesi in un atteggiamento di indubbia accettazione del particolare ed anomalo trattamento di favore riservato alla “Marvon”.
D’altra parte, la proposta eccezione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 27 e 51 Cost., dell’art. 143, comma 11, del testo unico, è manifestamente infondata, giacché la misura interdittiva della incandidabilità dell’amministratore responsabile delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale conseguente a fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso o similare nel tessuto istituzionale locale, privando temporaneamente il predetto soggetto della possibilità di candidarsi nell’ambito di competizioni elettorali destinate a svolgersi nello stesso territorio regionale, rappresenta un rimedio di extrema ratio volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare, e a salvaguardare così beni primari dell’intera collettività nazionale – accanto alla sicurezza pubblica, la trasparenza e il buon andamento delle amministrazioni comunali nonché il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la “credibilità” delle amministrazioni locali presso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni -, beni compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile, secondo la scelta non irragionevolmente compiuta dal legislatore, con altri apparati preventivi o sanzionatori dell’ordinamento.
5. – Il ricorso è rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater all’art. 13 del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente Ministero, che liquida in complessivi Euro 3.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito

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