Corte di Cassazione, sez. VI Civile, sentenza 14 aprile 2015, n. 7448. La caduta su una rampa ghiacciata cosparsa di sale non è fatto risarcibile se il danneggiato non ha prestato attenzione e prudenza.

ghiaccioSe il danno non deriva da un dinamismo interno alla cosa ma richieda che l’agire del danneggiato si unisca alla cosa, di per sé inerte, per provare il nesso di causa occorre dimostrare l’obiettiva situazione di pericolosità che renderebbe molto probabile, se non inevitabile il danno. Nel caso di ghiaccio formatosi su una rampa di accesso ad un edificio, la causa dell’evento va individuata nella disattenzione senza la quale la caduta non si sarebbe verificata, cosi risultando lo stato della cosa mera occasione dell’evento; stato della cosa tutt’altro che imprevedibile in periodo invernale, oltre che visibile, atteso che proprio la presenza del sale non poteva non richiamare l’attenzione della parte danneggiata,  e richiederle quella cautela esigibile da qualunque utente, quale ad esempio affrontare la rampa in modo da potersi tenere al corrimano presente.

testo integraleCorte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 11 marzo – 14 aprile 2015, n. 7448
Presidente Finocchiaro – Relatore Carluccio

Svolgimento del processo

1. G. B. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano (del 19 giugno 2013), con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti della Banca di Credito Cooperativo di Busto Garofalo e Buguggiate SCARL, la quale aveva chiamato in garanzia la Assimoco.
La domanda di risarcimento (pari a euro 180.000,00), dei danni patrimoniale e non, era stata avanzata ai sensi dell’art. 2051 e, in subordine, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., esponendo che, poggiando il piede sul passaggio pedonale in salita, di accesso alla banca, dove era stato sparso del sale per il ghiaccio, era caduta scivolando sul ghiaccio.
La Banca e l’assicurazione si difendono con distinti controricorsi. La ricorrente e la banca depositano memorie.

Motivi della decisione

1. La Corte di merito, nel rigettare l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, la quale aveva ritenuto non provato dalla danneggiata il nesso causale tra l’evento e la cosa in custodia, risultando provato che era caduta “sul” ghiaccio ma non “per” il ghiaccio, sostiene che quando il danno non derivi da un dinamismo interno alla cosa ma richieda che l’agire del danneggiato si unisca alla cosa, di per sé inerte, per provare il nesso di causa occorre dimostrare l’obiettiva situazione di pericolosità che renderebbe molto probabile, se non inevitabile il danno e che, nella specie, la danneggiata non avrebbe fornito tale prova.
Poi aggiunge che, comunque, accedendo alla tesi attorea di aver provato il nesso di causalità con la cosa, per essere scivolata sul ghiaccio presente sulla rampa di accesso alla banca, la causa dell’evento va individuata nella disattenzione senza la quale la caduta non si sarebbe verificata, cosi risultando lo stato della cosa mera occasione dell’evento; stato della cosa tutt’altro che imprevedibile in periodo invernale, oltre che visibile, atteso che proprio la presenza del sale non poteva non richiamare l’attenzione della danneggiata e richiederle quella cautela esigibile da qualunque utente, quale ad esempio affrontare la rampa in modo da potersi tenere al corrimano presente.
2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2051 cod. civ.
Il motivo va rigettato con le precisazioni che seguono.
I principi che disciplinano la responsabilità da cosa in custodia possono così riassumersi: la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c., prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, il mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia  causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso (ex  multiis, Cass. 7 aprile 2010 n. 8229, Cass. 5 dicembre 2008 n. 28811);
Quando sia applicabile l’art. 2051 c.c., il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un valido nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre il custode ha l’onere di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, cioè dall’evento imprevedibile, il fatto del terzo, il fatto dello stesso danneggiato.
Nella specie, è pacifico che la banca convenuta sia effettivamente custode della cosa, trattandosi della rampa di accesso agli uffici. Pure accertato è che il danno sia stato cagionato da questa, non per essere pericolosa ex se, ma per essersi in essa innestato ab externo un agente dannoso, costituito dal ghiaccio formatosi nella nottata. Pure accertata è la presenza del sale sulla rampa, sparso dalla banca per via della presenza del ghiaccio, sale di cui la danneggiata si accorge (ritenendolo, successivamente all’accaduto, insufficiente a sciogliere il ghiaccio e nello stesso tempo nella misura da impedirle di vedere il ghiaccio sottostante), e che, indipendentemente dalla quantità, avrebbe dovuto metterla in allarme sullo stato di pericolo, così da doverle suggerire quegli accorgimenti di cautela, esigibili da qualunque utente, come quello di utilizzare la rampa dal punto in cui avrebbe potuto usare il corrimano. Allora, avendo sicuramente visto il sale sparso, il comportamento della danneggiata che accede alla rampa da un punto in cui erano distanti sia il corrimano di destra che di sinistra, integra quel fatto imprevedibile per il custode, che legittimamente può fare affidamento su comportamenti esigibili dagli utenti; fatto idoneo a interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento.
3. Per rigettare il secondo motivo di ricorso, in cui si invoca la responsabilità ex art. 2043 cod. civ., è sufficiente ribadire, quanto sostenuto dalla Corte di merito, secondo la quale aver sparso il sale nella mattinata (l’incidente è avvenuto alle 9.30) esclude la negligenza del custode.
4. Il terzo motivo, con il quale si invoca la violazione degli artt. 101, 115, 156, 230, 244, 245 e 253 c.p.c., in riferimento all’art. 2697 c.c. è proposto in via subordinata per l’ipotesi che si ritenga l’insufficienza della prova attorca in ordine alla causa della caduta, intendendosi in ordine alla circostanza dell’essere caduta a causa del ghiaccio.
Pertanto, resta assorbito dal rigetto dei primo due motivi, che presuppongono il nesso di causalità materiale tra evento e danno, ma considerano interrotto lo stesso per via del comportamento imprudente del danneggiato.
5. Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 91, 92, 106 e 269, c.p.c., nonché degli arti. 101 e 112 c.p.c., e si censura la sentenza impugnata per aver condannato la danneggiata, parte soccombente, sia rigettando il motivo di appello avverso la sentenza che conteneva la condanna in primo grado, sia per la condanna relativa al secondo grado di giudizio, al rimborso delle spese processuali sopportate dalla Assicurazione, chiamata in garanzia dalla Banca.
Il motivo va rigettato.
La Corte di merito ha applicato il principio consolidato, secondo il duale «Attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 cod. proc. civ., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria. » (da ultimo cass. n. 7431 del 2012).
6.. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti, a favore dei controricorrenti, in misura diversa avendo la sola Banca depositato memoria e partecipato all’Udienza pubblica.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida: in Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, in favore della Banca di Credito Cooperativo; in Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, in favore della Assicurazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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