La disciplina positiva dei beni pubblici contemplata, nelle sue linee fondamentali, dal codice civile e, segnatamente, dagli artt. 822-831, che li distinguono nelle tre categorie dei beni demaniali, dei beni patrimoniali indisponibili e dei beni patrimoniali disponibili, va integrata con le varie fonti dell’ordinamento e, specificamente, con le norme costituzionali, in virtù delle quali il bene è pubblico per essere fonte di un beneficio per la collettività, con la conseguenza che la titolarità dello Stato (come Stato-collettività, vale a dire come ente esponenziale degli interessi di tutti) non è fine a sé stessa e non rileva solo sul piano dominicale, ma comporta per lo stesso gli oneri di una governance che renda effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene. Un bene è considerato appartenere al patrimonio culturale di proprietà pubblica in ragione delle sue caratteristiche ontologiche esistenti ab origine, senza necessità dell’attestazione di uno specifico atto ricognitivo, siccome indispensabile soltanto per i beni culturali di proprietà privata, e nella quale la dichiarazione di interesse artistico, storico e culturale, intervenuta successivamente al maturarsi della prescrizione acquisitiva, è stata reputata irrilevante ai fini voluti, in quanto avente valore meramente dichiarativo. Né può attribuirsi alcuna rilevanza al fatto che il bene fosse stato dismesso dal patrimonio militare, essendo la relativa normativa concorrente con quella del demanio culturale in caso di sua inclusione nelle previsioni di cui all’art. 822, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che il venir meno della demanialità militare non tocca i vincoli dipendenti dalla persistente demanialità culturale.
massima di redazione
testo integrale della sentenza