Tribunale di Bari, Prima Sezione Civile, sentenza 21 aprile 2017 n. 2105

Il giudice ordinario potrebbe rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione ma ciò solo se (o fino a quando) sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. Essendo stata emessa una pronuncia in tema di giurisdizione ad opera del giudice amministrativo su cui si è formato il giudicato esplicito,  ogni questione in tema di giurisdizione, a causa dell’omessa impugnazione della sentenza, deve ritenersi preclusa, benchè le posizioni soggettive controverse nel giudizio civile abbiano natura di interesse legittimo.peschereccio In un procedimento amministrativo volto alla concessione di contributi a fondo perduto per la sostituzione della flotta da pesca, il provvedimento di approvazione della graduatoria (atto precedente e prodromico ma non indefettibilmente preordinato alla concessione del beneficio) legittimamente revocato in quanto divenuto inopportuno, preclude al privato collocato utilmente in graduatoria di ottenere il risarcimento del danno. La tutela risarcitoria è ravvisabile, invece, nella diversa situazione in cui il ritiro avesse colpito il provvedimento di concessione del contributo, discendendo da esso il diritto soggettivo ad ottenere il beneficio.

massima redatta da Gloria Sdanganelli ©

Tribunale di Bari, Prima Sezione Civile, sentenza 21 aprile 2017 n. 2105. Giudice dott. Achille Bianchi.

omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione per riassunzione ritualmente notificato al Ministero Delle Politiche Agricole, in persona del Ministro pro tempore, in data 15-17 aprile 2008 la Ocealia s.r.l. vocava in giudizio innanzi a questo Tribunale il predetto Ministero, nonché ulteriori tre controinteressati, come disposto con sentenza del Tar Lazio sez. II ter del 21 novembre 2007, che dichiarava il proprio difetto di giurisdizione. L’attrice ricostruiva in fatto gli accadimenti che l’avevano determinata alla citazione come di seguito sinteticamente riportato dalla stessa nella ricostruzione in fatto della comparsa conclusionale (si riporta la ricostruzione di parte attrice poiché è la sola che ha fornito telematicamente e su supporto informatico i propri scritti in sede di assunzione in decisione della causa, precisando che non vi è, per ovvie ragioni, alcuna condivisione da parte del Giudice, dei commenti contenuti nella ricostruzione fattuale) :

<<La vicenda inizia quando, alla fine del 2002, l’Amministrazione italiana, facendo seguito a numerosi ritiri di barche dalla propria flotta nazionale, non associati a contributi o a nuove costruzioni, concorda con la Commissione europea di poter mantenere inalterati i numeri della propria flotta nazionale, sostituendo quelle capacità di pesca, venute meno, con nuovi pescherecci, che avrebbero goduto di quei ritiri (divenuti una pubblica disponibilità di altissimo valore economico – poiché, in assenza, chi avesse voluto costruire un nuovo peschereccio avrebbe dovuto acquistare – sul libero mercato – vecchi natanti, di stazza e potenza motrice sufficienti ad offrire un ritiro del 100% o, per barche di grandi dimensioni -superiori a 100 GT- come quelle de quibus, del 135%).

Dal 1995, l’art. 14 del DM 26.7.95 (doc. 44 – DM 26.07.1995. Disciplina del rilascio licenze di pesca) ha disposto il generale blocco di nuovi ingressi in flotta (e di nuove licenze di pesca) limitati al caso di mera sostituzione di vecchie barche da rottamare. L’art. 13 dello stesso decreto prevedeva alcune ipotesi di deroga, che si sono totalmente esaurite il 01.07.2002, data indicata dal c. 2 dell’art.1 del DM 27.03.2002 (doc. 48) come termine ultimo per poter fruire di qualunque nulla osta in deroga (senza ritiro) superato il quale il nulla osta poteva rimanere efficace solo in caso di offerta di ritiro equivalente. Dal 1 luglio 2002, cioè, tutti i nulla-osta già emessi dovevano essere accompagnati da equivalente offerta di ritiri privati.

L’unico modo per superare tale divieto nazionale (peraltro applicativo della normativa comunitaria) era quello di emanare un atto normativo equivalente e successivo (decreto ministeriale) che disponesse diversamente.

Conformemente a tale esigenza, veniva emanato il bando pubblico DM 10.02.03 (Doc. 6), poi precisato dal DM 25.03.03 (Doc. 7), che metteva in gara ritiri pubblici (in forma di esenzione del richiedente dall’obbligo di presentare un proprio ritiro privato) per 2.467 GT di stazza e 3780 kw di potenza motrice ed era finalizzato a realizzare nuovi pescherecci oceanici sostitutivi di dette stazza e potenza.

Va precisato e tenuto presente che dopo di questo, nessun altro bando pubblico ha più posto in palio quote di ritiro pubblico.

L’attrice partecipava al bando e, sotto la direzione dello scrivente procuratore, formulava tre progetti che (unici ad aver presentato anche un proprio ritiro privato associato e ad aver domandato un contributo inferiore al massimo) risultavano (con gran sorpresa di tutti gli operatori del settore e degli stessi funzionari del Ministero) fin da subito vincitori oggettivi del bando (cioè dotati di una prevalenza oggettiva e non discrezionalmente superabile) e primi nella graduatoria, poi emanata con DM 05.11.2004 (Doc. 26 – il decreto contenente la graduatoria di assegnazione); si trattava dei progetti nn: 05/CP/OC/03 (Doc.10-11); 07/CP/OC/03 (Doc.14-15); 09/CP/OC/03 (Doc.18-19).

Così l’attrice si vedeva dunque approvati tre progetti di pescherecci oceanici di 398 GT ciascuno (per intendersi: tre barche di 40 metri di lunghezza ciascuna), che assorbivano un ritiro pubblico pari (al 135% della stazza approvata – trattandosi di barche di grosse dimensioni, ovvero pari) a 537,3 GT ciascuno, per 1.611,9 GT totali.

Il valore di tale ritiro pubblico era pari ad almeno 3.549.717,00 euro (valore pari al prezzo minimo di acquisto sul mercato libero di tre barche di 537,3 GT da offrire in rottamazione, valore a sua volta pari al contributo comunitario minimo altrimenti ricavabile da qualunque venditore con la demolizione delle stesse; valore certificato in questa causa da un preciso calcolo reso dallo stesso Ministero convenuto – Doc. 52).

Insieme al ritiro veniva assegnato un contributo a fondo perduto pari ad euro 1.245.739,90.

Venivano anche assegnate, ope legis, giusta la previsione dell’art. 3-bis della L. 204/2004 (Doc. 33), tre licenze di pesca automatiche, atte a consentire l’esercizio dell’attività di pesca oceanica industriale alle tre nuove barche approvate.

Trascorso circa un anno dall’emanazione della graduatoria, l’attrice, pur avendo adempiuto (Doc. 27 – lettera 02.12.04 di trasmissione cert. antimafia e non fallimento) ad ogni incombente connesso (art. 2, DM 05.11.2004 – Doc. 26) con la vittoria del bando , si vedeva recapitare il DM 28.11.2005 (Doc. 1) con cui le veniva revocata ogni provvidenza già assegnata, con l’incredibile motivazione secondo la quale (Doc.1, ultimo “considerato” in prima pagina), poiché così prevedeva la normativa comunitaria, non essendo stato presentato dall’attrice un ritiro privato del 135% non sussistevano i presupposti per finanziare le barche vittoriose.

La motivazione adottata dal Ministero pareva riferirsi ad un originario vizio di legittimità nell’assegnazione delle provvidenze del bando (in particolare del ritiro pubblico). Perciò la revoca veniva tempestivamente impugnata dinnanzi al Tar Lazio (atto C) che innanzitutto obbligava (atto D) il Ministero a relazionare sull’accaduto e a meglio spiegare le ragioni del provvedimento. Dagli scritti del Ministero (atti E ed F) emergeva chiaramente che il bando originario, e dunque anche l’assegnazione, erano pienamente legittimi e rispondenti alla normativa comunitaria; vi si leggeva però che la successiva revoca delle provvidenze all’attrice era stata operata perchè detta assegnazione era divenuta, nelle more del procedimento, contraria alla normativa comunitaria.

Nella memoria di costituzione del Ministero dinnanzi al TAR (atto E) l’Amm.ne convenuta dichiarava infatti esplicitamente che la causa della revoca, subita dall’attrice, non consisteva nell’illegittimità del bando del 10.02.2003 ma nella “impossibilità sopravvenuta nel corso del procedimento di rilasciare ai futuri motopescherecci la relativa licenza di pesca” (pag. 8, rigo 25 e ss, atto E). Il Ministero affermava poi che la “capienza offerta dallo Stato Italiano nella misura indicata dal DM 10.02.03” era “divenuta indisponibile in quanto utilizzata per riallineare la flotta nazionale ai parametri comunitari” (pag. 9, rigo 10 e ss, atto E).

In poche parole il Ministero dichiarava di aver consumato (per altre nuove costruzioni) il ritiro riservato dal bando all’attrice e che per questo motivo la realizzazione delle navi già approvate avrebbe violato la normativa comunitaria perché ormai sfornita di ritiro.

Questa prima confessione di storno del ritiro riservato all’attrice, veniva però incartata in un complesso tentativo di depistaggio, sia dell’attrice che dei Giudicanti, dalla verità dei fatti, compiuto dall’allora Capo Dipartimento e Direttore Generale Reggente della DG pesca, Dott. Giuseppe Ambrosio, poi coinvolto in altri fatti di giustizia eclatanti.

Nella sua relazione del 23.06.2006 (atto F, pag. 5, rigo 28 e ss) – espressamente riproposta da questa parte attrice tra gli atti di questa causa per il suo valore probatorio – costui quantificava la “capienza usufruibile dallo Stato Italiano” come “pari a 4353 GT” (vi era cioè disponibilità di ritiro pubblico per 4.353 GT a fronte dei SOLI 1.611,9 GT già assegnati all’attrice).

Poi, però, affermava (atto F, pag. 5, rigo 33 e ss) che questa disponibilità era stata utilizzata dall’Amm.ne per “regolarizzare”:

1) 953 (836 + 117) GT di barche entrate in flotta nel 2003 e nel 2004 senza ritiro, grazie a vecchi nulla osta afferenti al DM 22.12.2000 e prorogati dal DM 27.03.2002;

2) 400 (163 + 237) GT di barche entrate in flotta nel 2003 e 2004 in forza del DM 15.03.2002;

3) 2.919 (2.079 + 840) GT di barche entrate in flotta nel 2003 e 2004 in forza di nulla osta alla costruzione concessi tra il 2000 e il 2002.

Affermava poi che tale utilizzo aveva ripristinato il “riallineamento” della flotta italiana al regime comunitario entrate/uscite determinando però l’indisponibilità del ritiro assegnato all’attrice.

Quanto al succitato punto 1 (barche con vecchi nulla osta afferenti al DM 22.12.2000 e prorogati dal DM 27.03.2002) si trattava però di un’ammissione di condotta amministrativa illecita, per aver il Ministero consentito, nel 2003 e 2004, l’ingresso in flotta di barche fuorilegge, in base cioè a vecchi o vecchissimi nulla-osta privi di ritiro, divenuti TUTTI invalidi/inefficaci dal 01.07.2002, data indicata dal c. 2 dell’art.1 del DM 27.03.2002 (doc. 48) come termine ultimo per poter fruire di qualunque deroga all’obbligo di ritiro. Si noti che il DM 27.03.2002 (contenente tale chiaro limite temporale) è lo stesso citato dal Direttore reggente.

Quanto ai punti 2 e 3 (barche rinvenienti dal DM 15.03.02 o con nulla osta concessi tra il 2000 e il 2002) si trattava invece di una sfacciata mistificazione, poiché alle barche ivi indicate dal conscio estensore della relazione, poteva esser stato rilasciato il nulla-osta SOLO a fronte e a condizione d’aver presentato un ritiro privato, come prescritto dalla normativa nazionale (art. 14 del DM 26.7.95 – doc. 44 – rilascio licenze di pesca), a cui il DM 15.03.2002 (relativo a finanziamenti comunitari di nuove costruzioni – pure citato al suddetto punto 2) non aveva certo derogato. Si trattava cioè di nuove barche che erano state autorizzate in cambio di ritiro privato equivalente.

Per queste barche il Ministero ha, nei fatti, formalmente associato il ritiro pubblico (che aveva già assegnato all’attrice) sostituendolo, sempre solo formalmente, al ritiro offerto dai privati, che però non è stato a questi abbuonato ma è stato a sua volta acquisito nelle disponibilità dello stesso Ministero.

Disponibilità che la relazione dell’Ambrosio ha tentato di nascondere.

La creazione di questo “orticello riservato” di ritiri pubblici era dunque pari (per implicita ed involontaria ammissione del Ministero) ad almeno 3.319 GT (si tratta cioè di ritiri con valore complessivo, all’acquisto per equivalente sul libero mercato, di circa SETTE MILIONI DI EURO) .

Un orticello di dimensioni tali da consentire l’agevole realizzazione delle tre barche dell’attrice (1611,9 GT) ma che è invece stato usato e consumato fino all’ultimo GT (come documentalmente provato in questa causa dall’attrice), in condizioni di totale discrezionalità dagli uffici e funzionari “competenti”; ed in palese violazione dell’art.12 L.241/90 che prescrive la predeterminazione dei criteri di attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere,l giacché nessun altro bando per l’assegnazione di questi ritiri pubblici è mai stato emanato dal Ministero dopo quello vinto dall’attrice.

Dette considerazioni venivano dall’attrice portate con – corposa e piuttosto tecnica – memoria integrativa (atto G) all’attenzione del Tar Lazio che, sulla base delle stesse affermazioni del Ministero, opportunamente “chiosate” dallo scrivente, dichiarava con sentenza 11541/07 (atto B) ricorrere nel caso di specie una chiara lesione di diritti soggettivi e dunque sussistere la giurisdizione di Codesto Tribunale Ordinario, dinanzi al quale il TAR prescriveva la riassunzione della causa.

La causa veniva perciò riassunta con atto di citazione del 14.04.2008 (atto A), ritualmente notificato e iscritto a ruolo.

L’atto di costituzione del Ministero in questa causa, si è limitato a ripetere, in chiave quanto più incomprensibile possibile, una storia della revoca del provvedimento di assegnazione, che non ha però, in alcun modo, risposto o posto rimedio alla falsa rappresentazione ministeriale della sopravvenuta indisponibilità del ritiro (che era invece pienamente disponibile), rimanendo gli avversi motivi di replica confinati ad una vuota eccezione di giurisdizione del GA ovvero a contestazioni generiche e pretestuose degli assunti attorei e al richiamo dell’errore scusabile (sic!) in cui sarebbe incorsa l’amministrazione (come se dire di non avere disponibilità, avendole, potesse essere un errore).

Di detta comparsa si segnala la conferma confitoria (fatta dall’Avvocatura a pag. 32, rigo 5 e succ. della comparsa di costituzione del 22.09.2008) della circostanza per cui i proprietari di nuove unità alle quali era stato associato un ritiro (pubblico) effettuato nel triennio 2000-2002 (quelli cioè ricompresi nei gruppi 2 e 3 succitati) non avevano ricevuto alcun beneficio indiretto in quanto avevano comunque effettuato un ritiro specifico (ovvero privato).

Affermazione che conferma chiaramente la formazione del citato “orticello riservato” costituito proprio dal suddetto ritiro specifico-privato.

I fatti fin qui descritti hanno trovato una definitiva ricostruzione in sede di seconda memoria 183 cpc di parte attrice (dep. il 21.11.2008) a cui si opera rinvio per eventuali approfondimenti, con cui sono stati depositati documenti (reperiti sul sito ufficiale dell’UE) di provenienza nazionale e comunitaria che hanno consentito di provare l’inaffidabilità dei dati forniti in causa dal Ministero e la non rispondenza a verità delle versioni dei fatti di volta in volta propinate dal Ministero all’Avvocatura e agli altri soggetti processuali.

Dal Doc. 56 (relazione annuale Italia – redatta dallo stesso Ambrosio autore della relazione depositata in questa causa), in particolare osservando la tabella 1 del punto C) (posta in calce a pag. 4), si scopre che la capienza liberamente fruibile dallo Stato italiano era pari a 5.091 GT e non ai 4.353 GT dichiarati dall’Ambrosio in causa (si noti che il doc. 56 e la relazione di causa sono stati scritti nello stesso periodo – verso la metà del 2006 – ma contengono dati molto diversi).

Dalla tabella 2, voce f), del doc. 56, trova invece conferma quanto riferito in ordine alla costituzione di un “orticello riservato” di disponibilità: cioè che le barche rinvenienti da nulla osta rilasciati nel periodo 2000-2002 avevano già il “ritiro associato” (vedasi Doc. 56, pag. 5, rigo 16, periodo da: “La lettera f)…” a “…ritiro associato (All. 6)” in cui il Ministero usa proprio questa espressione) e che dunque l’associazione di vecchio ritiro pubblico a queste barche provocava la disponibilità ministeriale di un ulteriore ritiro equivalente.

Che fine ha fatto questa ENORME disponibilità di ritiro? Si noti che quei 5.091 GT valevano circa 10 milioni di euro se acquistati sul libero mercato in forma di vecchie barche da rottamare.

Dà una risposta autorevole la relazione della Commissione UE per l’anno 2006 (Doc. 59) che ci dice che al 31.12.2006 quei 5.091 GT erano stati quasi integralmente usati con un residuo di soli 220 GT, ricavabile sottraendo la voce 10 (capacità effettiva della flotta) dalla voce 11 (tetto massimo) della tabella di pag. 1, denominata “Management of the entry/exit regime on 31.12.2006” (Gestione del regime entrate/uscite al 31.12.2006).

Insomma, è documentalmente provato in questa causa che tra il 1.1.2003 e il 31.12.2006 il Ministero ha fatto entrare in flotta una quantità pazzesca di pescherecci non associati ad alcun ritiro (più del triplo dei 1611 GT assegnati e revocati all’attrice).

E sono tutti pescherecci fuorilegge: da un lato perché il ritiro doveva obbligatoriamente essere assegnato con bando pubblico (art.12.L 241/90) come qualunque altro pubblico vantaggio economico; dall’altro perché la normativa nazionale (art. 14 del DM 26.7.95 – doc. 44) imponeva l’obbligo di associare un ritiro privato a tutte le nuove costruzioni entrate in flotta dal gennaio 2003; anche a quelle provviste di un vecchio nulla osta con deroga all’obbligo, essendo detta deroga cessata dal 01.07.2002 ai sensi del c. 2 dell’art.1 del DM 27.03.2002 (doc. 48).

A fronte di tanto fare, dare, ritirare, negare, nascondere, raccontare bubbole e violare leggi e norme da parte del Ministero, l’unica “colpa” dell’attrice è stata quella di aver presentato tre progetti veramente competitivi e di aver seguito tutte le regole dettate dall’amm.ne per accedere alle provvidenze.

E di aver così pestato, in sostanza, i piedi a tutti gli storici portatori di interessi del settore.

La stessa Avvocatura, all’udienza del 29.06.09 (vedasi istanza attorea del 16.04.2010, punto 5), rispondendo a domanda fatta dal precedente Magistrato di causa ai fini dell’art. 1227 cc, ha espressamente ammesso, che l’attrice non aveva fatto alcunché per meritarsi il ritiro del provvedimento e non ne aveva dunque alcuna responsabilità.>>

Le richieste conclusive dell’atto di citazione erano quelle di seguite riportate (poi ribadite espressamente in sede di precisazione delle conclusioni).

<<1) In limine litis, rigettare l’avversa eccezione di difetto di giurisdizione;

2) Nel merito, accertare e dichiarare i vizi di legittimità e/o illiceità, enunciati in atti, per il provvedimento di revoca impugnato – DM 28.11.2005 – e per tutti gli altri provvedimenti ad esso presupposti, connessi o conseguenti tra cui, in particolare, quelli di storno del ritiro già assegnato al bando e all’attrice;

3) Accertare e dichiarare la natura di atto definitivo e l’efficacia obbligatoria ex lege, tra le parti in causa, della graduatoria illecitamente revocata; nonché la natura dovuta e meramente automatica del provvedimento di concessione individuale;

4) accertare e dichiarare l’inadempimento contrattuale da parte del Ministero convenuto o, in mero subordine, la violazione del principio neminem laedere ai danni dell’attrice;

5) per conseguenza accertare e dichiarare i danni occorsi all’attrice in funzione delle attività illegittime e/o illecite dell’Amministrazione convenuta, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, e per conseguenza:

6) condannare l’Amministrazione convenuta al risarcimento, in favore della medesima società attrice, di tutti i danni di cui si sia resa responsabile, quantificati complessivamente in almeno euro 16.072.800,00, oltre interessi legali e rivalutazione come per legge, o nel diverso ammontare che sarà accertato in esito al giudizio;

7) con condanna della convenuta Amministrazione alle spese legali e distrazione delle stesse in favore del sottoscritto procuratore antistatario.>>

Con comparsa di costituzione depositata in data 22 settembre 2008, si costituiva in Giudizio per il tramite dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari il Ministero citato il quale contestava la domanda formulando le seguenti conclusioni

in via principale dichiarare il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. con ogni consequenziale statuizione e in subordine dichiarare l’infondatezza della domanda attorea sia nell’an che nel quantum vinte le spese”.

In particolare la difesa erariale sosteneva che l’Amministrazione aveva annullato il bando per ottemperare a quanto disposto dalla normativa comunitaria nel frattempo modificata attraverso l’introduzione del REG. (CE) 1483/2003 e per impedire che venisse iniziata una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, il che avrebbe determinato una sospensione del finanziamento comunitario all’intera flotta da pesca del nostro Paese. Inoltre, dopo aver ribadito che l’attrice non vantava un diritto soggettivo, bensì un interesse legittimo, poiché pur essendo stata approvata la graduatoria nella quale la stessa si era utilmente collocata, un atto di concessione non risultava mai emesso, contestava che si potesse parlare di violazione dei canoni di imparzialità e buona amministrazione poiché anche un ulteriore progetto di barca oceanica (n.7/CP/M/04) di azienda diversa dalla ricorrente, era stato oggetto di revoca del finanziamento (con decreto del 14 dicembre 2004) contrariamente a quanto affermato dall’attrice nei propri scritti difensivi. Pertanto il provvedimento era perfettamente legittimo trattandosi di annullamento d’ufficio di atto amministrativo illegittimo in quanto contrario alla normativa comunitaria, REG. (CE)1483/2003. Peraltro, poi, lo stesso risulta adottato ai sensi dell’art. 14, u.c., del d.lgs. 165/2001 il quale espressamente contempla il potere di annullamento del Ministro nei confronti degli atti amministrativi “dei dirigenti per motivi di legittimità” e quindi era atto doveroso e non discrezionale, dovendo scongiurare una violazione della normativa comunitaria. Infine l’Avvocatura dello Stato si soffermava a contestare nel merito an e quantum della richiesta risarcitoria sostenendo che l’attrice non aveva dimostrato alcuno dei presupposti ritenuti indispensabili per giurisprudenza consolidata per la configurazione di una responsabilità extracontrattuale della P.A. (cfr. CASS. Sez. III 29 marzo 2004 n.6199) vale a dire 1) evento dannoso, 2) ingiustizia del danno, 3) nesso di causalità e 4)imputabilità a dolo o colpa grave della PA., perché nel caso in questione, al più è possibile parlare di errore scusabile della PA verificatosi a causa dell’elevato tecnicismo della materia e dall’incerto quadro normativo di riferimento. Contestate le specifiche voci di danno richieste, poiché ritenute non dimostrate ed indicative dell’intento della controparte di infliggere “una pena privata alla P.A. per il presunto mancato rispetto dell’obbligo di buona fede” non prevista dal nostro ordinamento, concludeva per il rigetto, come sopra descritto, con vittoria di spese.

Nessun altro si costituiva e dopo l’acquisizione disposta dal G.I. del fascicolo del giudizio intrapreso innanzi al TAR, lo scambio delle memorie istruttorie, l’acquisizione di documentazione, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e rinviata più volte per la precisazione delle conclusioni, non venendo però mai assunta in decisione, per il carico del ruolo. Infine alla udienza del 19 dicembre 2016, mutata la persona fisica del Giudicante, le parti precisavano ancora una volta le conclusioni e la causa veniva riservata per la decisione senza assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione preliminare di parte convenuta in relazione alla sussistenza della giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria appare inammissibile, essendosi formato il giudicato sulla pronunzia emessa dal TAR Lazio, mai impugnata dalla odierna convenuta e pertanto passata in giudicato. Sul punto, infatti, in conformità con l’insegnamento della Cassazione1, deve ritenersi che l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo e “della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli.” Il Giudice, pertanto, potrebbe rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione ma ciò solo se (o fino a quando) sul punto non si sia formato il giudicato esplicito, come nel caso in questione, o implicito. Nella presente controversia vi è già stata una precedente pronuncia in tema di giurisdizione ad opera del Tar Lazio per cui, indipendentemente dalla fondatezza delle ragioni della stessa sui motivi per i quali è stata ritenuta sussistente la giurisdizione del G.O., essendosi formato il giudicato esplicito, in virtù dell’omessa impugnazione della pronunzia, ogni questione in tema di giurisdizione deve ritenersi preclusa, sia per le parti sia per lo stesso Giudice, in virtù della sopra richiamata interpretazione del disposto dell’art. 37 c.p.c.

Ciò chiarito, è necessario passare al merito della controversia ed in primo luogo accertare se la prospettazione di parte attrice, posta a fondamento della propria domanda, vale a dire che la propria posizione giuridica soggettiva sia di diritto soggettivo all’indomani dell’approvazione di graduatoria avvenuta con il D.M. 5/11/2004 sia o meno fondata. Per far ciò è necessario esaminare in primo luogo in quale fase del procedimento amministrativo, sia intervenuto l’atto di autotutela della PA vale a dire se lo stesso è intervenuto alla conclusione dell’iter del procedimento o meno. Orbene sul punto la tesi dell’attrice, non può in alcun modo essere condivisa, poiché dopo l’approvazione della graduatoria l’iter non si era certo concluso, non essendo ancora stato emanato alcun provvedimento di concessione dei contributi. Non può ritenersi, poi, che tale atto fosse un atto dovuto, perché lo stesso, come riconosce la medesima attrice, doveva intervenire solo a seguito della verifica della sussistenza, in capo ai soggetti utilmente collocati in graduatoria, dei requisiti previsti dal bando. Non può infatti ritenersi, come sostiene la parte attrice, che la verifica in parola fosse una sorta di “atto dovuto” e che non dovesse sottostare al naturale controllo della persistenza dell’interesse pubblico alla conclusione del procedimento avente ad oggetto il bando pubblico. D’altro canto la stessa attrice in tutti i propri scritti (ad esempio pagina 3 delle note riepilogative) parla di concessione d’incentivi come contratto ad oggetto pubblico, come se nel caso in questione la concessione fosse stata già rilasciata, il che pacificamente non è. Certamente si deve convenire con l’attore quando afferma che “Per questo tipo di contratto pubblico, col provvedimento di concessione si configura da un lato il diritto soggettivo….”, ma poi non può non trarsi da questa premessa la doverosa conclusione che, non essendo stata mai emessa la concessione del beneficio, di diritto soggettivo non può parlarsi. Pertanto trovandosi a qualificare la posizione giuridica soggettiva vantata dall’attrice nella fase antecedente al rilascio della concessione dell’incentivo, la stessa non può che essere ritenuta di interesse legittimo. Ciò naturalmente avrebbe ancorato la giurisdizione a quella del GA, ma le considerazioni sopra illustrate circa il formarsi del giudicato in relazione a tale aspetto, inducono a decidere nel merito la controversia, ma non possono vincolare l’odierno giudicante nella qualificazione dei fatti sottoposti al suo giudizio.

Chiarito dunque che bisogna valutare se è stata lesa la posizione giuridica soggettiva, qualificabile come interesse legittimo, vantata dalla parte attrice, è necessario accertare la natura del provvedimento (DM) assunto dalla convenuta in data 28/11/2005, qualificato in modo difforme dalle parti in causa, atteso che l’una lo reputa revoca e l’altra annullamento d’ufficio. Come è noto entrambi gli Istituti hanno subito un’evoluzione dipendente anche dal fatto che molte delle elaborazioni interpretative dottrinali e giurisprudenziali precedenti, sono state via via recepite dal legislatore, intervenuto ripetutamente nel corso degli anni a disciplinare in modo sempre più puntuale sia l’esercizio del potere di autotutela, sia soprattutto le conseguenze di tale esercizio in relazione ai rapporti con il privato, disegnando una generale tendenza alla diminuzione delle differenze ed alla parificazione delle posizioni fra il privato e la PA. Ciò naturalmente non può far dimenticare che in virtù del principio tempus regit actum, alla vicenda dell’odierno giudizio possano applicarsi le norme vigenti esclusivamente all’epoca dell’adozione dei singoli atti, restando fra i compiti dell’interprete quello di applicarle in modo compatibile con quella che è stata la successiva evoluzione legislativa, laddove possibile. Pertanto va in primo luogo evidenziato che le differenze fra i due diversi modi di esercitare l’autotutela della pubblica amministrazione (pur se la giurisprudenza si è, da qualche tempo, orientata nel senso di una considerazione non particolarmente dissimile fra i due istituti) consistono nel fatto che la revoca incide su atti amministrativi inopportuni (e ad effetti durevoli ovvero ad efficacia istantanea ma non ancora portati a esecuzione), mentre l’annullamento d’ufficio incide su atti amministrativi illegittimi. La revoca è espressione dello ius poenitendi che viene riconosciuto in via generale alla PA2, l’annullamento d’ufficio invece è un provvedimento con il quale la PA rimuove, con effetto

2 La revoca trova oggi una sua generale disciplina nell’art. 21 quinquies della L. n. 241/1990, introdotto dalla L. n. 15 del 2005 e successivamente ripetutamente modificato, da ultimo con la l.164/2014) che, recependo gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza formatisi negli anni precedenti, stabilisce come, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, sulla base di nuovi presupposti di fatto o di una nuova valutazione delle originarie circostanze di fatto, i provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole possano essere revocati dagli organi amministrativi che li hanno adottati o da altri organi previsti dalla legge. Ove, poi, la revoca produca pregiudizi per i privati, i medesimi dovranno essere indennizzati e le controversie relative all’indennizzo sono attribuite alla competenza esclusiva del G.A. La revoca determina l’inidoneità dell’atto revocato a produrre effetti ulteriori. La revoca è, dunque, un provvedimento con efficacia ex nunc in quanto l’atto divenuto inopportuno può anche essere stato opportuno in passato sulla base di diversi presupposti e circostanze di fatto. retroattivo, un suo precedente atto ab origine illegittimo.3 Le conseguenze di tale scelta, ovviamente, non sono prive di effetti atteso che la disciplina delle possibili conseguenze che derivano dall’atto di ritiro non è uniforme. Infatti è necessario valutare la complessiva condotta della PA , nelle diverse possibili combinazioni delle proprie condotte, nelle due fasi dell’adozione e del ritiro dell’atto, poiché nel caso di revoca (anche di un atto originariamente legittimo) può sorgere in capo alla stessa P.A., comunque, l’obbligo di indennizzare il privato (ciò che attualmente è normativamente previsto, mentre in precedenza la giurisprudenza sul punto propendeva per la tesi negativa), mentre in caso di l’annullamento d’ufficio legittimo (di un precedente atto, favorevole per il privato, illegittimo) può comunque sorgere in capo al privato il diritto al risarcimento del danno. Ciò perché, in ogni caso, è possibile che dopo l’adozione del primo atto sia sorto in capo al privato un affidamento legittimo sul mantenimento dello stesso: in caso di revoca l’affidamento costituisce il parametro di valutazione dell’indennizzo da corrispondere a favore del privato, in caso di annullamento esso rappresenta un limite al potere stesso di procedere in autotutela.

A parere del Giudicante, non può esservi dubbio che ci si trovi di fronte ad un provvedimento di revoca e non ad un provvedimento di annullamento d’ufficio. Infatti del possibile esercizio del potere di revoca nei confronti di atto ad efficacia istantanea non produttivo ancora dei propri effetti, sussistono nel caso in questione plurimi aspetti: vale a dire sia il sopravvenire di motivi di pubblico interesse, sia il mutamento della situazione di fatto sia infine, in parte, una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Nel caso all’odierno esame, di conseguenza, a fronte dell’adozione di un atto di autotutela pubblicistica volto al ritiro, in ragione del contrasto con l’interesse pubblico, del provvedimento di approvazione della graduatoria (atto precedente e prodromico ma non indefettibilmente preordinato alla concessione del beneficio) avente connotati pubblicistici4, la situazione giuridica soggettiva del privato può qualificarsi quale posizione di interesse legittimo. La questione, infatti, riguardava una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio (perfettamente equiparabile a quella in cui, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse). Pertanto trattandosi di revoca legittima di atto amministrativo divenuto inopportuno, è evidente che la posizione di interesse legittimo vantata da colui il quale si era utilmente collocato in graduatoria, non possa affatto essere oggetto di una richiesta di risarcimento danni. Si ribadisce infatti, che tutta la giurisprudenza invocata da parte attrice, essendo inerente il diverso caso nel quale il provvedimento di concessione del contributo era stato già adottato, non è applicabile al caso in questione.

E’ pertanto errata la prospettazione di parte attrice la quale ritiene, affermando di collocarsi nel solco della citata giurisprudenza che “nel caso di specie la controversia riguarda solo la fase successiva all’adozione del provvedimento definitivo”, poiché il provvedimento definitivo del procedimento amministrativo in questione non è certo l’approvazione della graduatoria, come afferma la Ocealia s.r.l., bensì il provvedimento di attribuzione del ritiro pubblico e di concessione del contributo, che non è mai intervenuto. Né, lo si ribadisce, può ritenersi che tale atto sia “dovuto”, come afferma pure l’attore, per la semplice ragione che tale atto poteva e doveva essere adottato solo se non in contrasto con l’interesse pubblico. Infine, va evidenziato che opinando diversamente dovrebbe ritenersi che il provvedimento di revoca del decreto dirigenziale, sia stato adottato dal Ministero senza alcuna valutazione discrezionale e senza alcuna intenzione di tutelare il pubblico interesse, per essersi oramai consumato il potere discrezionale della PA con la sola approvazione della graduatoria e ponendo nel nulla la fase della concessione effettiva del contributo.5 Conclusione di certo non accettabile. Invece, nel caso che ci occupa, proprio dalla documentata ed articolata interlocuzione con la Commissione Europea, è sorta l’impossibilità di emanare i provvedimenti di concessione effettiva dei benefici e quindi di attribuzione del ritiro pubblico e di concessione del finanziamento a fondo perduto (che pertanto non essendo stati emanati non possono ritenersi come acquisiti da parte dell’attrice come invece reiteratamente sostenuto nella presente Sede). Proprio perché, nel frattempo, il Ministero aveva raggiunto la consapevolezza della necessità di riallineare il regime delle entrate e delle uscite della flotta ha potuto revocare il proprio atto precedente di approvazione della graduatoria, perché, non essendo concluso l’iter del procedimento, l’attrice non aveva conseguito alcun diritto all’erogazione del beneficio. Inoltre, ad ulteriore dimostrazione della erroneità del ragionamento di parte attrice circa il proprio acquisito diritto di usufruire del ritiro pubblico, va evidenziato che in più punti dei propri scritti ( ad es. a pagina 11 della memoria istruttoria ex 183, 6° comma, n.1, c.p.c.) ha affermato che i1 ritiro pubblico messo a bando sarebbe stato utilizzabile dalla Ocealia s.r.l. anche in futuro senza limiti di tempo, il che, ovviamente oltre che illogico, è in palese contrasto con quanto stabilito dall’art. 6 del Regolamento (CE) n.1483 del 12/8/2003 in forza del quale le unità da pesca da  associare al ritiro dovevano essere quelle effettivamente entrate in flotta nel periodo 2003-2005 sulla base di “decisione amministrativa dello Stato membro interessato , adottata tra il 10 gennaio 2000 ed il 31 dicembre 2002, conformemente alla legislazione allora in vigore” .

Non convince, invece, in relazione alla natura dell’atto di autotutela, la tesi sostenuta dal Ministero convenuto poiché non viene in rilievo una originaria illegittimità dell’atto amministrativo che invece è stato adottato, in un primo momento, nella convinzione di poter legittimamente offrire contributi pubblici per il rinnovo della flotta di pesca senza alterare la capacità complessiva della stessa, secondo gli obiettivi annuali stabiliti nel programma pluriennale di orientamento stabilito dalla Commissione Europea e solo successivamente a seguito delle indicazioni provenienti dal livello Europeo è emersa la necessità di revocare l’atto non più rispondente al pubblico interesse.

Ciò si evince da quanto affermato dalla stessa difesa erariale la quale ha sostenuto che il mutato avviso della PA in relazione alle condizioni del bando ed al collegato ritiro dei mezzi, sono cambiate tra il 2004 ed il 2005 in virtù dell’evoluzione dell’interlocuzione con la Commissione Europea, che hanno indotto il Ministero a rivedere le proprie valutazioni al fine di non incorrere in una procedura di infrazione. Tale aspetto viene veementemente contestato dall’attrice, con lo scopo di dimostrare (anche e soprattutto) l’illegittimità del provvedimento di autotutela. La tesi attorea, però non è condivisibile poiché, nonostante la corposa illustrazione, non può dirsi in alcun modo provato l’assunto della stessa, vale a dire che in realtà il provvedimento di revoca sia stato determinato dall’intento delle alte gerarchie ministeriali di favorire altri soggetti ed altri progetti (il che, se veritiero, dimostrerebbe l’illegittimità del provvedimento). La tesi, si diceva, non è condivisibile poiché l’attrice non solo non identifica neppure i soggetti che sarebbero stati favoriti6 (asserendo elle stessa che rimane un mistero chi sarebbero7) ma anche perché fonda la propria tesi su un interpretazione delle decisioni ministeriali non condivisibile e parziale oltre che su presunte ammissioni di controparte nella presente sede processuale8, che, al contrario, negli atti non si rinvengono.

6 L’attore si limita a sostenere che il provvedimento di revoca avrebbe favorito altri soggetti, ma non è in grado neppure di indicarli nominativamente nè li individua per categorie limitandosi ad un generico riferimento a soggetti che sarebbero stati favoriti dal rinnovo di nulla-osta, secondo l’attore non più rinnovabili per previsione normative nazionale e comunitaria. A confutazione di tale tesi è sufficiente solo rammentare, come fa la Difesa Erariale nella propria memoria istruttoria del 21/11/2008, che nella relazione annuale 2004 del Ministero (doc. 25 della produzione di parte convenuta), regolarmente comunicata alla Commissione Europea, si dichiara espressamente che una parte del ritiro pubblico è stata utilizzata per “navi entrate in flotta con le proroghe DM 2000-2002” senza che la Commissione abbia rilevato non solo alcuna illegittimità ma anche un semplice rilievo o chiarimento circa l’abbinamento di tale ritiro pubblico a navi oggetto delle citate proroghe.

7 “…ulteriori ingressi in flotta rimasti però inspiegati e sconosciuti…” si legge a pagina 100 dell’atto di citazione ovvero “come e perché e attraverso chi queste barche fuorilegge siano entrate in flotta rimane un mistero” si legge a pagina 8 della memoria istruttoria di primo termine del 22/10/2008 di parte attrice.

8 Dalla semplice letture degli scritti di parte attrice si evince che essi muovono dall’errato presupposto che l’attrice avesse conseguito il diritto a vedersi assegnato il ritiro pubblico ed il contributo a fondo perduto, presupposto infondato e, ovviamente, non dimostrato. Reputa infatti confessorie le affermazioni contenute a pagina 32 della comparsa di costituzione di parte convenuta, al rigo 5, ma così non è, in primo luogo perché l’attore muove dal presupposto che la controparte confessi uno storno “del ritiro riservato all’attrice” laddove allo stato del procedimento amministrativo all’attrice non era stato “riservato” alcunché. Soprattutto però, perché, maliziosamente, isola la frase dal contesto “I proprietari delle nuove unità, cui è stato associato un ritiro effettuato nel triennio 200-2002, non hanno ricevuto alcun beneficio diretto, in quanto il ritiro specifico per queste nuove unità è stato comunque effettuato” ed omette di riportare la seconda parte del pensiero di controparte laddove invece si afferma che poiché l’associazione dei GT ritirati “è stata effettuata in maniera cumulativa, non è possibile associare direttamente ed univocamente l’unità ritirata con quella entrata in flotta”.

Invece (a dimostrazione che non può parlarsi di confessione) il Ministero ha evidenziato come si tratti di soggetti che non possono dirsi favoriti secondo la ricostruzione attorea, dal momento che per le navi entrate in flotta nel 2003 e nel 2004 (GT complessive 400 – punto 2 della ricostruzione operata dell’attore a pag. 5 delle note conclusionali), si tratta di nuove costruzioni previste dal DM “nuove costruzioni” del 15/3/2002 e per le navi entrate in flotta per GT 2.919 (punto 3) si tratta di nulla-osta, non vecchi o vecchissimi, come asserito dall’attore, ma risalenti al periodo 2000-2002. In relazione ad essi, poi, non risponde a verità che non sarebbero stati più prorogabili come attestato dal fatto che, come già sopra accennato in nota 7, la stessa Commissione Europea nulla ha avuto da osservare in relazione a tali nulla-osta, quando gli stessi sono stati comunicati in fase di relazione annuale. Ancora, sempre in relazione a tale argomento, l’Avvocatura dello Stato ha pure fornito una logica e plausibile spiegazione delle apparenti contraddizioni fra la relazione annuale Italia 2005 e la relazione prodotta innanzi al Tar nella prima fase della presente controversia, entrambe datate giugno 2006, poiché mentre la prima è stata redatta tenendo conto dell’avvenuto riallineamento della flotta, la seconda era riferita ai dati conosciuti ed utilizzati nel 2005 quando, alla luce dell’interlocuzione in corso con la Commissione Europea, si era assunta la decisione di non concludere l’iter amministrativo in corso per il bando avente in palio ritiro pubblico e di revocare il DM 5/11/2004 di approvazione della graduatoria.

Inoltre, neppure risponde a verità che il rilascio della licenza di pesca sia automaticamente connesso alla concessione del beneficio (peraltro come detto nel caso in questione mai intervenuto) poiché proprio dalla lettura della norma invocata dall’attore (vale a dire l’art. 3 del D.L. 24/6/2004 n.157, conv. con modif in l. 3/8/2004 n. 204) si evince che il Ministero “rilascia in ogni caso, all’atto del completamento della costruzione, la licenza di pesca prevista dalla vigente normativa”, costruzione che nel caso in questione non era neppure iniziata, come dimostrato dalla missiva indirizzata dalla odierna attrice in data 15 aprile 2005 con la quale chiedeva al Ministero un termine di almeno 30 mesi per il completamento delle navi oggetto dei progetti utilmente collocati in graduatoria, il che significa che le navi non sarebbero state pronte prima dell’ottobre 2007. Pertanto di alcun automatico rilascio di licenze di pesca è possibile parlare.

Inoltre le affermazioni dell’attrice circa il fatto che il ritiro pubblico potesse essere utilizzato dall’amministrazione solo per consentire ingressi in flotta non accompagnati da ritiro privato, innanzi tutto non tengono conto che dal 2003 non vi era più l’obbligo di associare i ritiri a nuovi ingressi del medesimo segmento (pesca costiera, mediterranea ed oceanica) e che, per di più, non avendo ancora attribuito il ritiro pubblico messo a bando con il DM 15 marzo 2002 (con integrazione del DM 10 febbraio 2003) lo stesso ben avrebbe potuto essere utilizzato per l’opera di riallineamento, così come è stato fatto.

Fra le argomentazioni dell’attrice, poi, non appare neppure condivisibile la contestazione della “sopravvenienza” della Relazione della Commissione europea datata 14/12/2004 (non 23/12/2004 come puntigliosamente sottolinea l’attore ma si tratta di circostanza mai contestata da controparte v. pagina 12 punto 27 della comparsa di costituzione) rispetto all’emanazione del bando relativa alla concessione di contributi ed all’associazione di ritiro pubblico per le barche da pesca oceaniche (come più volte ricordato) approvato con il D.M. 5/11/2004. La ardita (ma non per questo condivisibile) tesi dell’attrice è che tale relazione fosse ben conosciuta dal Ministero poiché lo stesso (in conformità con la previsione contenuta nell’art. 12 del Reg. 1438/2003) era obbligato entro il 30 aprile 2004 a trasmettere la propria relazione sull’evoluzione della flotta nazionale9 mentre la Commissione entro il 31 luglio di ogni anno elabora la propria relazione di sintesi e la trasmette ai Comitati di settore per la Pesca ed Acquacoltura (dei singoli Stati fra i quali l’Italia ove ha sede preso lo stesso Ministero convenuto) i quali entro il 31 ottobre esprimono il proprio parere tecnico sulla relazione della Commissione. Orbene già dall’illustrazione attorea si evince in primo luogo che le previsioni normative non necessariamente debbono essere state rispettate (e peraltro l’attore sul quale grava l’onere probatorio di supportare la propria domanda, non ha acquisito e prodotto documentazione – a solo scopo suggestivo- attestante che vi fosse identità tra la bozza e la versione definitiva della relazione in questione) ma, soprattutto, è evidente che l’aver conosciuto gli atti amministrativi dell’iter procedimentale, prodromici all’atto conclusivo, non può certo implicare la conoscenza dello stesso, per la semplice ma insormontabile ragione che l’atto in questione è stato emanato dopo circa 40 giorni dal DM di approvazione della graduatoria. D’altra parte costituisce un

9 L’attore dalla mancata produzione di tali documenti da parte del Ministero inferisce una predeterminata omissione diretta ad ostacolare la dimostrazione della propria domanda ma anche tale tesi è smentita dalla semplice lettura degli atti atteso che le relazioni annuali dell’Italia degli anni 2003 e 2004 sono i documenti 18 e 24 di produzione di parte convenuta, così come asserisce che i dati contenuti nella relazione depositata presso il TAR Lazio il 23/6/2006 fossero inattendibili specie se raffrontati con il contenuto della relazione annuale Italia del 2005 trasmesso il 3 luglio 2006 alla Commissione Europea, ma dell’adeguata spiegazione delle differenze (per la verità non particolarmente eclatanti) offerta dal Ministero si è già detto nel testo. banale dato di esperienza che una bozza di relazione non necessariamente coincida con il testo finale specie se l’Autorità che deve emanare l’atto, deve prendere atto dei pareri dei singoli Comitati nazionali e, dunque, può modificare la propria bozza in sede di stesura definitiva. In sostanza la tesi attorea è incontrovertibilmente smentita dalla date dei provvedimenti (il 5/11/2004 è data precedente al 14/12/2004) e, dalla considerazione che una bozza di relazione non necessariamente è identica alla versione finale del documento.

Un ulteriore argomento copiosamente illustrato dalla parte attrice è quello che il Ministero avrebbe, attraverso la revoca del DM di approvazione della graduatoria, in realtà commesso un vero e proprio abuso d’ufficio10, poiché l’atto era dettato dall’intenzione di favorire altri soggetti in danno dell’Ocealia s.r.l.. Anche tale tesi è destituita di fondamento. In primo luogo l’attore non ha neppure identificato con indicazioni nominative i soggetti favoriti attraverso la creazione di quello che egli definisce “orticello” di ritiro pubblico, il che incrina alle fondamento la prospettazione non potendosi ritenere dimostrata una condotta tesa a favorire taluno rimasto ignoto e a danneggiare l’impresa attrice (in mancanza di illustrazione delle ragioni per le quali Ocealia avrebbe dovuto essere deliberatamente danneggiata dai dirigenti del Ministero).

10 Maliziosamente l’attore fa riferimento a non meglio precisati “altri fatti di giustizia eclatanti” che però nella estrema genericità del riferimento non sono in alcun modo valutabili dal Giudice neppure come mera suggestione.

Inoltre, poi, ha lungamente disquisito su un quarto progetto che sarebbe stato indebitamente favorito dal Ministero attraverso l’illegittima revoca del DM 5/11/2004, più volte menzionato, e che era quello presentato dalla ditta Giacomo Cannarsa di Termoli. La convenuta ha però dimostrato che anche tale progetto è stato colpito da revoca del finanziamento (inerente il progetto n.7/CP/M/04 di tale azienda) con decreto del 14/12/2004, e, contrariamente a quanto affermato dall’attrice nei propri scritti difensivi, non ha beneficiato di alcuna concessione di contributi da parte della pubblica amministrazione, il che, ancora una volta, dimostra la fallacia delle argomentazioni proposte a sostegno della tesi attorea.

Per tali ragioni deve essere respinta la richiesta risarcitoria come formulata da parte attrice mancando di tutti i presupposti normativamente previsti e ciò esime dall’esaminare nel merito le singole voci di danno richieste.

Resterebbe da esaminare, infine solo la questione, alla luce della vicenda così ricostruita, se nel privato Ocealia s.r.l. partecipante al bando pubblico indetto con i DM più volte citati, possa, dopo l’approvazione della graduatoria che lo vedeva utilmente collocato con tre progetti, essersi ingenerato un legittimo affidamento circa la concessione dei benefici pubblici e la positiva conclusione dell’iter amministrativo, con la conseguente insorgenza in capo allo stesso di un diritto all’indennizzo derivante dalla pur lecita attività di autotutela della PA, qualificabile come atto lecito dannoso.

Sembra però all’odierno giudicante che la delibazione di una tale questione, pur apparendo, ad una sommaria valutazione, non manifestamente infondata, in assenza di specifica domanda da parte dell’attrice, che non ha ritenuto di formularla neppure in via subordinata, non possa essere affrontata nella presente Sede a pena di incorrere in un vizio di ultrapetizione. D’altro canto, poiché le vicende di cui è causa risalgono ad epoca antecedente l’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 21 quinquies della L. n. 241/1990, ad opera della L. n.15/2005 e poi più volte modificato, con l’odierna esplicita previsione di tale diritto all’indennizzo, non consentire alla convenuta di articolare proprie difese sull’argomento costituirebbe evidente violazione anche del principio del contraddittorio.

Quanto alle spese del procedimento, esse devono essere compensate integralmente tra le parti, in virtù della particolare complessità della materia e, soprattutto in base alla reciproca soccombenza della convenuta (che peraltro ha svolto difese effettive solo fino ad una certa fase del procedimento) sulla questione preliminare in tema di giurisdizione, dell’attrice sulla domanda principale.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in composizione monocratica, nel giudizio n. 5196/2008 R.G., sulla domanda proposta da Ocealia s.r.l. nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole, in persona del Ministro pro tempore, così provvede:

1) Dichiara inammissibile l’eccezione preliminare di parte convenuta;

2) Rigetta la domanda dell’attrice

3) compensa interamente tra le parti le spese del giudizio;

4) sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge.

 

Così deciso in Bari, lì 18 aprile 2017 Il Giudice Unico

(dott. Achille Bianchi)

 

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