Tribunale di Torino, Sezione Quarta Civile, sentenza 15 marzo 2018 n. 1308

In seguito a sentenza di patteggiamento resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., gli agenti di Polizia Municipale imputati di peculato, corruzione, ricettazione e intercettazione di comunicazioni telefoniche per l’illecito utilizzo da parte di privati di strumentazione in uso e nella disponibilità di pubblici ufficiali per destinazioni e fini diversi da quelli istituzionali al fine di accedere e avere conoscenza di comunicazioni e conversazioni riservate destinate a pubblici ufficiali per lo svolgimento e l’adempimento delle loro funzioni, rispondono, vigili urbani2dinanzi al giudice ordinario, del danno all’immagine sofferto dal Comune, avendo l’attività illecita inciso sulla credibilità e il prestigio dell’ente, con indubbia sfiducia nei confronti della gestione della cosa pubblica. La lesione del diritto personale all’immagine configurabile in capo all’amministrazione per la percezione che i consociati hanno delle modalità di azione conforme ai canoni del buon andamento e dell’imparzialità, comporta la tutela risarcitoria per la relazione tendenzialmente esistente tra le regole interne, improntate al rispetto dei predetti canoni, e la proiezione esterna di esse. Va altresì riconosciuto il risarcimento per danno funzionale da disservizio integrato dal dispendio di risorse comunali, anche in relazione alla mole di lavoro interno sopportato per svolgere le attività richieste dall’autorità giudiziaria, al fine di fornire un quadro completo dell’uso delle apparecchiature in oggetto in relazione alle condotte illecite contestate. Sotto altro aspetto, gli agenti rispondono per il danno patrimoniale procurato al Comune costituito dalla perdita per l’utilizzo da parte di terzi degli apparecchi in dotazione ai pubblici ufficiali e corrispondente alle utilità economiche da essi godute quale ingiusto corrispettivo del noleggio a terzi della strumentazione di servizio.

massima di redazione©

testo integrale

Tribunale di Torino, Sezione Quarta Civile, sentenza 15 marzo 2018 n. 1308. Giudice: Di Donato

omissis 

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato il Comune di Torino conveniva in giudizio i su indicati convenuti per sentirli condannare, in via principale, in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, nella misura di:

– euro 48.800,00 + 110.908,00 a titolo di danno patrimoniale ed euro 53.233,00 a titolo di danno non patrimoniale, per complessivi euro 212.941,00, ovvero nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione; e in via subordinata al risarcimento del danno pro quota in relazione alle rispettive responsabilità.

In particolare esponeva che:

– in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006, per esigenze di sicurezza e di tempestività degli interventi di competenza, il Corpo di Polizia Municipale del Comune di Torino adottò una innovativa gestione delle comunicazioni radio tra Centrale Operativa e il personale operante sul territorio, assegnando a ciascun appartenente al Corpo un apparecchio ricetrasmettitore per le suddette comunicazioni.; – a seguito di riscontrate anomalie nell’utilizzo delle radio trasmittenti in questione, la Polizia Municipale di Torino, verificatone l’utilizzo per finalità non istituzionali – come meglio dettagliate nei capi di imputazione formulati dalla Procura della Repubblica di Torino – inoltrò una informativa di reato alla Procura della Repubblica; – all’esito di una lunga e complessa indagine avviata nel 2009 furono rinviati a giudizio n. 23 imputati (RGNR 7479/09), tra cui gli odierni convenuti, per i reati di peculato, corruzione, ricettazione e intercettazione di comunicazioni telefoniche; – gli odierni convenuti hanno definito il procedimento penale con sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con conseguente mancata pronuncia sulla domanda risarcitoria. Le richieste risarcitorie formulate dal Comune in via stragiudiziale rimanevano prive di riscontro.

I convenuti ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** ***** e ***** ***** non si costituivano in giudizio e ne veniva dichiarata la contumacia.

Il Comune conveniva, altresì, in giudizio ***** ***** che si costituiva contestando integralmente la domanda sia sotto il profilo dell’an che del quantum debeatur e ne chiedeva il rigetto; in subordine chiedeva limitarsi la condanna all’importo di € 10.000.

In via preliminare va rilevato che nelle more del giudizio, all’udienza del 14 gennaio 2016, il Comune di Torino e ***** ***** conciliavano in via giudiziale il procedimento sulla base delle seguenti condizioni: il convenuto ***** si impegnava a corrispondere la somma di euro 16.500,00 omnia, a tacitazione delle pretese vantate dal Comune di Torino che, a sua volta, rinunciava, solo nei suoi confronti, alle domande e agli atti di questo giudizio, a spese compensate.

Il giudizio tra le suddette parti si è dunque concluso con verbale di conciliazione ai sensi dell’art. 185 c.p.c.

Ancora in via pregiudiziale, va rilevato che l’avvenuta costituzione di parte civile del Comune nel giudizio penale instaurato a carico degli odierni convenuti (doc. n. 6) non preclude la proposizione della domanda risarcitoria in separato giudizio civile allorquando il giudizio penale si sia concluso, come nella specie, con una sentenza di patteggiamento.

Sul punto si richiama il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “In tema di risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito costituente reato, il danneggiato che abbia chiesto il risarcimento dei danni alla persona con l’atto di costituzione di parte civile nel giudizio penale ed abbia contestualmente introdotto un autonomo giudizio civile per il risarcimento dei danni alle cose, non viola il principio di infrazionabilità della domanda qualora, a seguito della definizione del giudizio penale con sentenza di patteggiamento, introduca una nuova domanda innanzi al giudice civile per i medesimi danni già richiesti in sede penale, stante il carattere necessitato della riproposizione dell’azione risarcitoria, giacché imposto dalla disposizione dell’art. 444, comma 2, c.p.p.” (cfr. Cass. n. 929/2017).

Nel merito, la domanda è fondata e va accolta.

Con sentenza n. 2543 del 10.12.2010 (doc. n. 2), il Tribunale di Torino su accordo delle parti, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avvinti i fatti della continuazione, applicava ex art. 444 c.p.c.:

 a ***** *****la pena di anni 1 reclusione e euro 400 di multa;

 a ***** *****, esclusa la recidiva reiterata, la pena di anni 1, mesi 2 di reclusione e euro 400 di multa;

 a ***** *****, la pena di anni 1, mesi 4, 20 giorni di reclusione;

 a ***** ***** la pena di anni 1, mesi 4, 20 giorni di reclusione;

 a ***** ***** la pena di anni 1, mesi 5, 10 giorni di reclusione;

***** ***** la pena di anni 1, mesi 6 di reclusione;

 e a ***** ***** la pena di anni 1, mesi 6 di reclusione.

in relazione ai seguenti capi di imputazione formulati dalla Procura della Repubblica di Torino:

***** *****e ***** ***** imputati “per il delitto p. e p. dell’art. 648 c.p. perchè al fine di trarne profitto, il ***** in qualità di autista di carro attrezzi presso la Ditta carrozzeria *****, il ***** quale autista carri attrezzi presso la Ditta carrozzeria *** *** ** ***, consapevoli della provenienza delittuosa, acquistavano e comunque ricevevano da ***** *****, al quale versavano diverse somme di denaro quantificabili in 500 euro settimanali, gli apparati ratio Tetra con codice identificativo nr. 2223062 e nr. 8810601, rientranti rispettivamente nella dotazione degli agenti di polizia Municipale ***** ***** e ***** *****, di origine illecita perchè provento dei delitti di peculato e corruzione.

In Torino da epoca imprecisata, ma certmanete nel periodo compreso tra marzo e giugno 2009”;

Con la recidiva reiterata per *****

***** ***** imputato in concorso del delitto p. e .p. dagli artt. 81 c.p.v., 314 c.p., 319 c.p., 321 c.p., perchè al fine di trarne profitto, con più azioni esecutive di un medesimo criminoso, il ***** e il ***** quali privati concorrenti necessari, il ***** in qualità di agente in servizio presso la Polizia Municipale di Torino, avendo per ragioni di servizio nella propria esclusiva disponibilità l’apparato radio Tetra con codice indentificativo nr. 8810852, appropriandosene in modo illecito e utilizzandolo per fini non connessi con la propria funzione e in maniera contraria ai doveri d’ufficio, lo cedeva a ***** ***** e ***** Antonio, titolari e autisti della carrozzeria ***** di ***** ***** & C., ricevendone in cambio o accettandone comunque la promessa, come prezzo dell’illecito noleggio, diverse somme di denaro allo stato non quantificate, ma presumibilmente oscillanti tra 400 euro e 500 euro annuali.

 In Torino da epoca imprescisata, ma certamente nel periodo compreso tra marzo e giugno 2009”.

***** *****, ***** *****, ***** *****, e ***** ***** imputati “del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 314 c.p., 319 c.p., 321 c.p. perchè, il primo in qualità di agente in servizio presso la Polizia Municipale di Torino, gli altri quali privati concorrenti necessari, al fine di trarne profitto, con più azioni esecutive di un medesimo criminoso, il ***** avendo per ragioni di servizio nella propria esclusiva disponibilità l’apparato radio Tetra con codice identificativo nr. 8810827, appropriandosene in modo

illecito e utilizzandolo per fini non connessi con la propria funzione e in maniera contraria ai doveri d’ufficio, lo cedeva, attraverso l’intermediazione di ***** *****, titolare e gestore del distributore Q8 che provvedeva materialmente sia alla consegna dell’apparecchio ai privati che alla riscossione della somma da versare poi al pubblico ufficiale, a ***** *****, ***** *****, ***** *****, titolari e dipendenti della Carrozzeria ******, ricevendone in cambio o accettandone comunque la promessa, come prezzo dell’illecito noleggio, diverse somme di denaro quantificabili tra i 300 e i 500 euro settimanali.

 In Torino da epoca imprecisata, ma certamente nel periodo compreso tra marzo e giugno 2009”.

Per recidiva semplice *****

 Tutti imputati “del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 110 c.p., 617 c.p., 623 bis c.p., per aver, in più occasioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, i pubblici ufficiali *****, *****, *****, *****, *****, ***** e *****, con le condotte dettagliatamente descritte ai capi che precedono, consegnando ai privati ***** *****, *****, *****, *****, *****, …, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** gli apparati radio tetra in dotazione personale ad agenti in servizio presso la Polizia Municipale di Torino, consentito a quest’ultimi di prendere fraudolentemente cognizione di comunicazioni e conversazioni riservate in quanto relative a flussi esclusivamente destinati a pubblici ufficiali per lo svolgimento e l’adempimento delle loro funzioni.

 Con l’aggravante di cui all’ultimo comma essendo il fatto stato commesso da pubblici ufficiali in violazione dei doveri inerenti la propria funzione.

In Torino da epoca imprecisata, ma certamente nel periodo compreso tra marzo e giugno 2009”. Orbene, secondo i principi dettati in materia dalla S.C., sebbene la sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (cd. “patteggiamento”) non abbia nel giudizio civile l’efficacia di una sentenza di condanna, la stessa costituisce, tuttavia, “indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione”. (cfr. Cass. 13034/2017; n. 15889/2011; n.24587 del 2010; n. 10857/2007, n. 19505/2003; n. 2724/2001,).

Nel caso di specie, si legge nella menzionata sentenza di patteggiamento che “l’accordo raggiunto dalle parti sulla misura della pena sopra indicata può essere ratificato ai sensi dell’art 444 c.p.p. e ss. essendo corretta la qualificazione giuridica del fatto e l’applicazione delle circostanze e apparendo congrua la pena come definitivamente determinata, non sussistendo, viceversa, i presupposti per una decisione assolutoria immediata ai sensi dell’art. 129 del codice di rito. Si deve, infatti, osservare in primo luogo che non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., alla luce dei dati di accusa rilevabili dagli atti di indagine (cfr. annotazione della notizia di reato e atti allegati, comunicazione notizia di reato del 9.3.2009, annotazioni del 3.7.2009 e seguenti, verbali di perquisizione e sequestro, intercettazioni telefoniche, verbali di interrogatorio degli imputati, accertamenti tecnici sulle radio trasmittenti e altro” (doc. n. 2).

Dall’annotazione dell’attività di indagine svolta dal Nucleo di Polizia Giudiziaria della Città di Torino (doc. n. 11), risulta, difatti, che all’esito di un monitoraggio del traffico radio generato dagli apparati mobili in uso al Corpo di Polizia Municipale, eseguito nei giorni tra il 13 e il 31 marzo 2009, sugli apparati TETRA identificati con i numeri “ISSI” 8810827, 8810601, 2223062 –indicati, per quel che qui interessa, nei capi di imputazione formulati nei confronti di ***** e ***** (nr. 2223062 e 8810601) e di *****, di ***** ***** e ***** (nr. 8810827) – è emerso che detti apparati avevano un “comportamento anomalo e non riconducibile ad un utilizzo istituzionale, ovvero i loro tracciati erano su celle sempre sovrapponibili alle posizioni di determinati carri attrezzi che si muovevano sul territorio in perfetta sincronia con le comunicazioni radio della Centrale operativa che indicava sinistri stradali in determinati luoghi”, con “gravi indizi sul fatto che gli stessi carri attrezzi, pur non avendo titolo per detenere o utilizzare gli apparati radio…fossero in ascolto delle comunicazioni del C.O. del Corpo, al fine di avvantaggiarsi rispetto alla concorrenza sugli interventi riguardanti i sinistri stradali”. Nell’annotazione venivano, dunque, riportati gli esiti dei controlli effettuati anche simulando sinistri stradali per verificare la posizione degli apparati radio con riscontri positivi sull’uso anomalo sopra descritto.

Orbene, richiamati i su esposti principi sull’efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.c. nell’ambito del processo civile; tenuto conto che nella menzionata sentenza il giudice penale ha motivato sulle ragioni che rendevano impossibile una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p. richiamando puntualmente gli atti di indagine svolti i cui esiti non avrebbero in alcun modo potuto condurre a una pronuncia di assoluzione; considerato, altresì, che i convenuti non si sono costituiti in giudizio e non hanno, dunque, né dedotto né provato una diversa ricostruzione dei fatti contestati idonea a contrastare le risultanze del materiale probatorio acquisito in sede penale e dunque a contrastare l’assenza di elementi per escludere la sussistenza dei fatti di reato, deve ritenersi raggiunta la prova dell’imputabilità dei fatti di reato in oggetto alle parti convenute contumaci, così come descritti nei capi di imputazione di cui alla citata sentenza.

In particolare, dunque, deve ritenersi provato che:

– il ***** e il *****, in qualità di autisti di carro attrezzi rispettivamente delle carrozzerie di ***** ***** e di ***** *****, al fine di trarne profitto e consapevoli della provenienza delittuosa, acquistavano dal ***** gli apparati radio tetra, come identificati in atti, rientranti nella dotazione degli agenti di Polizia Municipale, verso il corrispettivo di € 500,00 settimanali, così commettendo il reato di ricettazione di cui all’art. 648 c.p.;

– Lo *****, in qualità di gestore del distributore Q8, provvedeva materialmente alla consegna a ***** ***** e ***** e al *****, quali dipendenti o titolari della carrozzeria ****, dell’apparecchio radio TETRA cedutogli al *****, agente in servizio presso la Polizia Municipale, che se ne era appropriato in modo illecito e lo utilizzava per fini non connessi alla propria funzione e contrari ai doveri d’ufficio, verso il corrispettivo di somme di danaro tra i 300 e i 500 euro settimanali, rendendosi colpevoli dei reati di peculato e corruzione ai sensi degli artt. 81 c.p.v. e 314, 319 e 321 c.p.;

– ***** ***** noleggiava illecitamente, al costo oscillante tra i 400 e i 500 euro settimanali, dal *****, agente in servizio presso la Polizia Municipale, apparato Tetra nella sua disponibilità di cui lo stesso si appropriava in modo illecito utilizzandolo per fini non connessi alla propria funzione e in maniera contraria ai doveri d’ufficio, commettendo i reati di cui agli artt. 81 c.p.v. 314, 319 e 321 c.p.;

detti reati venivano commessi tra il marzo e il giugno 2009 e, dunque, per un periodo di circa 4 mesi.

Alcun dubbio può, pertanto, sorgere sulla sussistenza della civile responsabilità dei convenuti ex art. 2043 cod. civ. rispetto ai fatti di reato descritti nella citata sentenza penale e nella annotazione di Polizia richiamata, stante l’illiceità delle condotte tenute dai convenuti e l’inevitabile danno subito dall’ente comunale, sia di natura patrimoniale che non patrimoniale, tenuto altresì conto del coinvolgimento di agenti in servizio presso il Corpo di Polizia Municipale e quindi pubblici ufficiali.

Ciò premesso, quanto al danno patrimoniale strettamente connesso all’uso illecito degli apparecchi, è necessario procedere all’esame delle singole posizioni dei convenuti, dovendosi sin da ora chiarire che non paiono sussistere i presupposti di applicabilità dell’art. 2055 cod. civ. Difatti:

– i reati in oggetto, ad eccezione di quelli di cui agli artt. 617 e 623 bis c.p.c., sono stati commessi in proprio da ciascun imputato, senza concorso con gli altri, con riguardo a determinati apparecchi e in particolare da ***** ***** e ***** *****in relazione all’apparecchio nr. 2223062 e nr. 8810601, da *****, ***** ***** e ***** ***** e ***** in relazione all’apparecchio nr. 8810827, dal ***** in relazione all’apparecchio nr. 8810852;

– diversi sono i fatti illeciti contestati e quanto al ***** e al ***** anche i reati ascritti (ricettazione e non peculato e corruzione);

– diverse sono le somme di danaro che sono state corrisposte per l’illecito noleggio.

La domanda di condanna in solido può, invece, essere accolta in relazione ai fatti di reato per i quali gli stessi sono responsabili in concorso, ossia quelli di cui al capo di imputazione lett. H) di cui alla citata sentenza e comunque per il danno funzionale da disservizio e di natura non patrimoniale complessivamente considerato, entrambi riconducibili alle condotte di reato poste in essere da tutti i convenuti unitariamente considerate e non scomponibili in relazione a ciascun fatto dannoso, a differenza che per il danno patrimoniale da illecito noleggio.

La domanda risarcitoria proposta da parte attrice ha, difatti, ad oggetto due tipologie di danno;

1) il danno patrimoniale costituito dalla perdita per l’utilizzo da parte di terzi degli apparecchi Tetra in dotazione ai pubblici ufficiali e corrispondente alle utilità economiche corrisposte dai convenuti agli agenti di Polizia Municipale quale corrispettivo del noleggio nonché il danno funzionale da disservizio pari ai costi che la civica amministrazione ha dovuto sostenere per gli accertamenti tecnici effettuati per reperire i dati occorrenti per l’attività di indagine richiesti dall’autorità giudiziaria e per la riorganizzazione di un intero settore nevralgico per la cita pubblica, ossia il Corpo di Polizia;

2) danno all’immagine, integrato dalla grave perdita di prestigio e detrimento dell’immagine e della personalità pubblica dell’ente.

Il danno patrimoniale conseguente alla mancata disponibilità degli apparecchi per i periodi indicati nei richiamati capi di imputazione va, dunque, liquidato singolarmente per ciascuno dei convenuti e

commisurato al tempo di utilizzo e alle somme corrisposte per il noleggio, secondo lo schema che segue:

– ***** ***** e ***** *****: € 8.000 ciascuno, pari al valore di € 500,00 settimanali per un periodo di 16 settimane (da marzo a giugno 2009);

– ***** *****: € 7.200,00, pari al valore di € 450,00 settimanale per un periodo di 16 settimane (da marzo a giugno 2019);

– ***** *****, ***** *****, ***** ***** e ***** *****: € 6.400 ciascuno, pari al valore di € 400,00 settimanali (media tra l’importo di € 300 e 500 di cui al capo di imputazione lett. g)) per un periodo di 16 settimane (da marzo a giugno 2009).

Danno da disservizio

Il danno da disservizio è integrato dal dispendio di risorse dell’ente comunale in relazione alla mole di lavoro interno sopportato per svolgere le attività richieste dall’autorità giudiziaria al fine di fornire un quadro completo dell’uso delle apparecchiature in oggetto in relazione alle condotte illecite contestate. Il Comune di Torino ha dovuto, difatti, tramite il proprio personale, rinvenire ed elaborare una notevole mole di dati. Per quanto è emerso dall’espletata prova testimoniale, numerosi dipendenti del Nucleo di polizia Giudiziaria del Corpo della Polizia Municipale sono stati su richiesta dell’autorità giudiziaria, impegnati nell’attività di ricerca, recupero ed elaborazione di dati connessi all’illecito utilizzo degli apparecchi radio in oggetto.

Sul punto il teste *********, in qualità di Commissario di Polizia Locale, ha confermato come il Comune abbia sostenuto dei costi per l’impiego di personale e mezzi per verifiche sull’utilizzo delle radio Tetra, dichiarando “… Il Nucleo di Polizia Giudiziaria ci chiese dei dati relativi alle Radio, al tipo di radio, alla numerazione, alle cellule, etc.: per fornire questi dati si è provveduto a interrogare il sistema e abbiamo lavorato in parallelo con la Polizia giudiziaria. Il prospetto che mi viene mostrato indica il numero di operatori di Polizia Giudiziaria che hanno lavorato per le questioni oggetto di causa e il relativo numero di ore. Io, insieme con l’ispettore capo ***** e il responsabile tecnico *****, ci siamo occupati all’epoca dei fatti, il 2009 circa, di verificare i dati richiesti dalla Polizia Giudiziaria e cosa stesse accadendo alle radio di servizio. abbiamo lavorato per recuperare ed elaborare i dati richiesti per almeno quattro mesi…confermo il prospetto relativo alle attività di laboratorio da noi svolta che in alcuni casi richiedeva anche ore di lavoro straordinario…”.

La teste *******, all’epoca dei fatti responsabile del Nucleo di Polizia Giudiziaria del Corpo di Polizia Municipale di Torino, ha integralmente confermato le circostanze capitolate da parte attrice e la compatibilità del prospetto prodotto sub doc. n. 8 con l’attività investigativa svolta, dichiarando “Ricordo le indagini effettuate sull’utilizzo delle radio Tetra, indagini molto complesse e articolate; per quanto attiene al Nucleo di Polizia Giudiziaria di cui ero responsabile all’epoca dei fatti, ho utilizzato in maniera intensiva tutte le forze a disposizione; il personale era impegnato 7 giorni su sette; il prospetto di cui al doc. n. 8 che mi viene rammostrato lo ritengo assolutamente compatibile e congruente per lo svolgimento dell’attività investigativa”.

In ordine alla quantificazione, il Comune ha in atto di citazione allegato un danno complessivo pari a € 365.342,00 come da prospetto depositato sub doc. n. 8, da suddividersi per il numero di 23 imputati e, quindi, pari a € 15.844,00 per ciascun convenuto.

Nel suddetto prospetto, ritenuto dalla teste ***** compatibile e congruo rispetto all’attività investigativa svolta in relazione al personale impiegato e alla durata della stessa, sono indicati sia i costi per le ore di lavoro straordinario svolte dal personale del Nucleo di polizia giudiziaria del Corpo tra l’aprile e l’agosto 2009 che i costi sostenuti per le ore di lavoro ordinario, oltre alle spese per carburante e per le attività di laboratorio radio.

Ritiene questo giudice che debbano essere risarcite esclusivamente le spese sostenute per il lavoro straordinario dei dipendenti del Nucleo di Polizia Giudiziaria e i costi per il carburante e per le attività di laboratorio, costituenti spese vive aggiuntive che il Comune ha dovuto s*****are proprio per lo svolgimento dell’attività investigativa richiesta dall’autorità giudiziaria in misura superiore a quelle già ordinariamente sostenute dall’ente proprio per tali finalità, non essendovi stata una destinazione del personale a scopi diversi da quelli istituzionali.

Sul punto si richiama l’orientamento espresso dalla Corte dei Conti con sentenza 19 settembre 2013 n. 288 secondo cui “perché sussista un danno da disservizio occorre che l’ente che si assume danneggiato e, quindi, meritevole di reintegra, abbia sostenuto costi ulteriori (quali la costituzione di una commissione ad hoc con l’impiego di soggetti esterni, la corresponsione di compensi per retribuire ore di straordinario altrimenti non necessarie ….) rispetto ai normali costi di “parte corrente” del personale. Ciò si verifica nel caso di specie unicamente per il lavoro straordinario in quanto si sono verificate e provate spese non rientranti nell’attività ordinaria.” Ne consegue che i convenuti vanno condannati in solido al pagamento in favore del “C” della complessiva somma di € 38.915,12, di cui € 9.418,16 per i costi di lavoro straordinario del personale del NPG, € 23.441,75 per le ore di lavoro sia ordinario che straordinario svolte da altri reparti diversi dal NPG e, dunque, distolti dallo svolgimento delle normali attività di servizio, € 3.100,00 per spese di carburante ed € 2955,21 per attività di laboratorio radio.

In relazione a tale voce di danno deve ritenersi applicabile il disposto di cui all’art. 2055 cod. civ. che prevede il vincolo di solidarietà passiva dell’obbligazione risarcitoria scaturente dal fatto dannoso imputabile a più persone, essendo irrilevante se lo stesso sia derivato da più azioni od omissioni e da condotte costituenti illeciti distinti e anche diversi, purchè, sussista un vincolo di interdipendenza per cui le singole azioni od omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del medesimo evento di danno. (cfr. Cass. n. 18899/2015; n. 15930/2002). Rispetto al danno patrimoniale indicato, a differenza del danno patrimoniale derivante dall’illecito noleggio dei beni in dotazione ai pubblici ufficiali liquidato pro quota, per il quale si è ritenuta rilevante la diversità delle condotte rispetto alle singole fattispecie di reato, si ritiene invece che le condotte illecite poste in essere abbiano tutte contribuito in maniera indifferenziata alla causazione di tale tipologia di danno, così come per il danno di natura non patrimoniale.

Rispetto a tale voce di danno occorre preliminarmente ricordare che, come è noto, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con le pronunce del 2008 (tra cui n. 26972/2008), hanno rifondato i presupposti e il contenuto del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod. civ., ripristinando il sistema bipolare del danno che si dipana in danno patrimoniale e danno non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo non solo del danno biologico e del danno morale soggettivo ma anche del danno da lesione di interessi costituzionalmente garantiti riguardanti i valori fondamentali della persona umana.

Il danno non patrimoniale, dunque, deve essere riconosciuto oltre che nei casi specificamente previsti dal legislatore – come accade per le fattispecie di reato ai sensi dell’art. 185 c.p. – anche quando viene leso un diritto della persona costituzionalmente tutelato, purchè l’offesa sia grave, nel senso che deve superare una soglia minima di tollerabilità e il danno non sia futile, vale a dire riconducibile a mero disagio o fastidio.

Per quanto attiene specificamente alla responsabilità per violazione dell’immagine dell’ente pubblico, la giurisprudenza di legittimità, avallata dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 355/2010, ha ritenuto che il relativo danno, in ragione della natura della situazione giuridica lesa, ha valenza non patrimoniale e trova la sua fonte di disciplina nell’art. 2059 cod. civ. e che “il riferimento, contenuto nella giurisprudenza della Corte dei conti, alla patrimonialità del danno stesso – in ragione della spesa necessaria per il ripristino dell’immagine dell’ente pubblico – deve essere inteso come attinente alla quantificazione monetaria del pregiudizio subito e non alla individuazione della natura giuridica di esso”.

La Corte ha avuto modo di chiarire come sussista una stretta connessione tra la tutela dell’immagine della pubblica amministrazione e il rispetto del disposto dell’art. 97 Cost. che impone un modello di azione della pubblica amministrazione improntato ai principi di efficacia, efficienza e imparzialità: regole che conformano, all'”interno”, le modalità di svolgimento dell’attività amministrativa.

L’autorità pubblica è, dunque, titolare di un diritto “personale” rappresentato dall’immagine che i consociati hanno delle modalità di azione conforme ai canoni del buon andamento e dell’imparzialità; proprio tale “relazione tendenzialmente esistente tra le regole “interne”, improntate al rispetto dei predetti canoni, e la proiezione “esterna” di esse, giustifica il riconoscimento, in capo all’amministrazione, di una tutela risarcitoria”. (cfr. Corte Cost. n. 355/2010).

Quanto al danno all’immagine – posta la pacifica riferibilità dello stesso quale danno non patrimoniale anche alle persone giuridiche (cfr. Cass. civ., Sez. 3, 4.6.2007, n. 12929)– la giurisprudenza di legittimità ritiene che sia configurabile come lesione alla reputazione derivante dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere, o di settori o categorie di essi con le quali l’ente interagisca, allorquando l’atto lesivo che determina la proiezione negativa sulla reputazione dell’ente sia immediatamente percepibile dalla collettività o da terzi. (cfr. Cassazione civile sez. I 25 luglio 2013 n. 18082 )

Orbene, è evidente che nel caso in esame, l’illecito utilizzo da parte di privati di strumentazione in uso e nella disponibilità di pubblici ufficiali per destinazioni e fini diversi da quelli istituzionali in uno con la possibilità di accedere e avere conoscenza di comunicazioni e conversazioni riservate in quanto relative a flussi esclusivamente destinati a pubblici ufficiali per lo svolgimento e l’adempimento delle loro funzioni abbia arrecato un indubbio danno all’immagine dell’ente pubblico, esplicando un’efficacia anche esterna che ha inevitabilmente inciso sulla credibilità e il prestigio dell’ente, con indubbia sfiducia nei confronti della gestione della cosa pubblica da parte dell’ente comunale.

La liquidazione della descritta voce di danno non può che essere equitativa secondo il dettato dell’art. 1226 cod. civ. e fondarsi su criteri sia oggettivi che soggettivi, quali la gravità dell’illecito rispetto al bene tutelato, le modalità di realizzazione, la reiterazione nel tempo delle condotte illecite, l’entità della mancata realizzazione delle finalità dell’amministrazione danneggiata, la capacità esponenziale dell’ente danneggiato, l’ampiezza e la diffusione data dai mass-media all’illecito.

In relazione alla prova del quantum, va evidenziato che mentre il danno patrimoniale esige la precisa allegazione e dimostrazione delle singole poste economiche che lo compongono, le conseguenze non patrimoniali derivanti dalla lesione di un diritto della persona (fisica o giuridica) non sono per loro natura suscettibili di una matematica conversione monetaria e, pur non integrando un danno – evento o in re ipsa, sono dimostrabili per presunzioni o fatti notori e quindi sottomesse alla valutazione equitativa del giudice (cfr. Cass. pen Sez. Un. n. 15208/2010).

Nel caso in esame, va evidenziato che il processo penale ha coinvolto, per quel che qui interessa, 8 imputati (in concorso con numerosi altri, per un totale di 23, le cui posizioni sono state definite con altri riti e sfociate comunque in condanne) con il coinvolgimento anche di Vigili urbani che hanno concorso nei reati sopra indicati, con ampia eco mediatica sin dalla fase iniziale delle indagini, come risulta dalla copiosa rassegna stampa prodotta da parte attrice dei quotidiani a tiratura nazionale di “La Repubblica”, “la Stampa”, “Il Corriere della Sera” e locale (Cronaca qui) che hanno costantemente informato l’opinione pubblica dei risultati delle indagini, dell’avvio e dell’andamento del processo, indicando le tipologie di reati commessi, i soggetti coinvolti, le modalità di commissione dell’illecito, dando conto delle varie fasi processuali nel corso degli anni 2009 e 2010 (doc. n. 13). A titolo meramente esemplificativo si riportano alcuni titoli degli articoli in oggetto o parte dei contenuti:

– “Sette Vigili urbani nella bufera. Radioricetrasmittenti cedute ai carrozzieri in cambio di denaro” – da “La Repubblica” del 26.8.2009;

– “Radioline e mazzette, il business degli incidenti…ricetrasmittenti dei vigili urbani cedute agli autosoccorsi per consentire di ascoltare segnalazioni degli incidenti, precipitarsi sul posto prima della concorrenza…”, da “La Stampa” del 27.8.2009;

– “Scandalo ricetrasmittenti, nuovi filoni. Inchieste sui vigili, spunta l’ombra di un mercato dei pezzi di ricambio”, da “Repubblica” del 27.8.2009;

– “Radio in cambio di tangenti. Licenziare i vigili colpevoli” da “Torino Cronaca qui” del 28.8.2009;

– “Vigili corrotti, sei ai domiciliari”, “Nei guai anche i titolari di varie carrozzerie e autisti di carri attrezzi: pagavano tangenti per il noleggio della radio che li aggiornava in tempo reale sugli incidenti stradali e sui veicoli da rimuovere”, da “Il Corriere della Sera” del 18.11.2009;

– “Mazzette sugli incidenti. Indagati sette vigili. Cedevano le radio di servizio agli autisti dei carri attrezzi”, da “La Stampa” del 24.4.2010;

infine, ancora nell’edizione della Stampa del 16.7.2010, quindi a distanza di oltre un anno dalla pubblicazione delle prime notizie, si rinviene un articolo sui fatti di causa con specifico riferimento alle condotte tenute da alcuni degli odierni convenuti come lo *****, “indagato per ricettazione nello scandalo delle tangenti alla polizia municipale”.

Ritiene, pertanto, questo giudice che in relazione alla tipologia e alla gravità dei fatti di reato accertati, alla diffusione mediatica della notizia come sopra riportata, alla natura del bene tutelato e agli altri criteri di liquidazione già indicati, debba ritenersi congrua a titolo di risarcimento per il danno all’immagine la somma di € 27.616,91 pari a 1/3 del danno patrimoniale riconosciuto, secondo il criterio proposto da parte attrice, già dedotto la quota ideale che avrebbe dovuto essere corrisposta dal *****, il cui debito, essendo stato oggetto di transazione per importo inferiore a quello dovuto, va detratto per detta quota ideale.

In particolare, ai fini della riduzione dell’importo del danno patrimoniale da disservizio e del danno non patrimoniale, per i quali si ritengono sussistenti i presupposti per la condanna in solido dei convenuti, si è proceduto a scomputare dall’importo di € 38.915,12 (pari ai costi sostenuti dall’amministrazione per le attività di indagine) la quota ideale del ***** (pari a € 4864,37 = € 38.915,12/8) e a sommare l’importo risultante (€ 34.050,75) all’ammontare delle singole quote di danno patrimoniale per il noleggio degli apparecchi corrisposte dagli odierni convenuti (€ 48.800,00) senza considerare l’importo che avrebbe dovuto corrispondere il ***** se non fosse intervenuta la transazione. Sul risultato finale di € 82.850,00 (già detratta, dunque, la quota ideale del danno da disservizio che sarebbe stato a carico del *****) è stato quantificato il danno non patrimoniale nella misura di 1/3, per l’importo di € 27. 616,91.

Sul punto giova ricordare che secondo i principi di diritto espressi dalla S.C in materia di obbligazioni se la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l’ha stipulata, occorre distinguere: nel caso in cui il condebitore che ha transatto ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; nel caso in cui, invece, il pagamento è stato inferiore, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto. (cfr. Cass. n. 23418/2016).

Orbene poiché nella fattispecie in esame il ***** ha definito in via transattiva la presente controversia per la somma omnicomprensiva di € 16.500,00 e, dunque, per una quota sicuramente inferiore alla quota ideale che sarebbe stata liquidata nel presente giudizio, si è provveduto a scorporare la quota ideale che il ***** avrebbe dovuto corrispondere per il danno patrimoniale da disservizio, mentre non è stata operata alcuna riduzione per il danno non patrimoniale in quanto già calcolato senza tener conto della quota del *****.

Ne consegue che i convenuti vanno condannati al pagamento in solido in favore del “C” della somma di € 61.667,66, somma da considerarsi già rivalutata all’attualità, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo, nonché pro quota al pagamento delle seguenti somme:

– € 8.000 ***** *****

– € 8.000 ***** *****

– € 7.200 ***** *****

– € 6.400,00 ***** *****

– € 6.400,00 ***** *****

– € 6.400 ***** *****

– € 6.400,00 ***** *****

oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sul valore del decisum (Cass. n. 19014/2007) e in base ai parametri medi di cui al D. M. 10 marzo 2014 n. 55, essendosi l’attività difensiva esaurita in epoca successiva all’entrata in vigore dello stesso. (cfr. Cass. Sez. Un. N. 17406/2012).

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da COMUNE DI TORINO contro **********, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** ***** e ***** *****, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

 Accoglie parzialmente la domanda e per l’effetto condanna:

***** ***** al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 8.000

***** *****al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 8.000

***** ***** al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 7.200

***** ***** al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 6.400,00

***** ***** al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 6.400,00

***** ***** al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 6.400

***** ***** al pagamento in favore del Comune di Torino della somma di € 6.400,00

oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo.

 Condanna **********, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** ***** e ***** ***** al pagamento in solido in favore del Comune di Torino della somma di € 61.667,66, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo;

 Condanna **********, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** *****, ***** ***** e ***** ***** al pagamento in solido in favore del Comune di Torino delle spese processuali che liquida in complessivi € 13.430,00, oltre al rimborso sulle spese generali nella misura del 15%, nonché Iva e Cpa e successive occorrende.

 Torino, 14 marzo 2018

Il giudice dr.ssa Valeria Di Donato

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