Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, ordinanza 13 maggio 2022 n. 15303. Responsabilità di un ente locale membro di un comitato privatistico, deliberazione riconoscimento del debito.

Ángel Zárraga

La costituzione di un comitato, che non richiede forme particolari se l’attività rimanga confinata nell’ambito del diritto privato, senza assumere personalità di diritto pubblico, ancorchè partecipato da enti pubblici, configura una struttura privatistica che soggiace ai controlli predisposti dalla legge amministrativa soltanto in relazione alle obbligazioni assunte dal comitato e in relazione alla responsabilità personale e solidale dei componenti. Mentre nell’associazione non riconosciuta delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, l’attività negoziale di un comitato, anche se riceve contributi da parte del Comune, conserva la titolarità piena e diretta dei rapporti patrimoniali relativi sia a beni mobili che immobili e vincola personalmente ed illimitatamente tutti i componenti, senza alcuna distinzione tra chi ha agito e chi non ha agito in concreto in nome e per conto del comitato.

Data la finalità dell’ente, consistente nel promuovere manifestazioni culturali e l’individuazione dei fondi nei contributi del Comune, gli impegni finanziari assunti dal comitato vincolano il Comune solo in presenza di deliberazione ritualmente adottata ed autorizzata, munita dell’impegno spesa senza il quale rispondono delle obbligazioni assunte dal comitato gli altri membri.

L’accollo, da parte del Comune, di un debito gravante su un terzo richiede, ai sensi dell’ art.1273 c.c., la sottoscrizione di un apposito contratto redatto in forma scritta ad substantiam, ex art.1350 c.c. e art. 16, R.D. n. 2440 del 1923. La delibera comunale con la quale, in sede di riconoscimento di debito fuori bilancio, il comune destina una somma al pagamento del corrispettivo dell’opera eseguita, in assenza di un valido contratto fonte di obbligazione, è inadeguata a produrre gli effetti della ricognizione di debito, ma può eventualmente costituire riconoscimento implicito dell’utilità dell’opera ai fini dell’azione di ingiustificato arricchimento. La delibera comunale di riconoscimento del debito è un mero atto interno, avente come destinatario il diverso organo dell’ente legittimato a esprimerne la volontà all’esterno e carattere meramente autorizzatorio ma non è idonea a far sorgere un valido rapporto contrattuale con i terzi, in quanto l’incontro del comune consenso non risulterebbe formalizzato nei modi prescritti dalla legge.

massima di redazione

testo integrale

Cass sez II ordinanza 15303-2022


Nella pregevole sentenza commentata, la Suprema Corte non ha mancato di osservare, mantenendo intatto un consolidato orientamento rivolto a salvaguardare l’integrità della spesa pubblica rispetto alle ragioni degli operatori privati che hanno fornito alla P.A. beni o servizi, che il riconoscimento del debito fuori bilancio è fattispecie neutra, inidonea a produrre effetti negoziali analoghi alla ricognizione di debito. La mancanza dell’impegno contabile, autentica sezione aurea che nobilita il rapporto fra P.A. committente e creditore, preclude, secondo la costante giurisprudenza, il perfezionamento dell’obbligo di pagare la prestazione pecuniaria in favore di quest’ultimo.

La deliberazione consiliare di riconoscimento del debito sarebbe un flatus vocis privo di vincolatività per la P.A., concepita, nella sentenza in commento, giammai come ricognizione di debito, ma come ‟riconoscimento implicito dell’utilità dell’opera ai fini dell’azione di indebito arricchimento”.

Da una lettura ossequiosa del testo dell’art.194, T.U.E.L., sembrerebbe schiudersi un orizzonte, delineato dal legislatore, il quale ha conferito alla competenza consiliare il riconoscimento dei debiti fuori bilancio (‟gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio”) che non richiede, per il completamento della fattispecie ricognitiva, il concorso di altri organi del medesimo plesso amministrativo, né l’adozione di ulteriori adempimenti contabili.

In una visione meno angusta di quella tracciata dalla Cassazione, la natura ricognitiva della deliberazione consiliare discende dalla tipologia dei titoli elencati nel primo comma dell’art.194 cit. [a) sentenze esecutive; b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione; c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali; d) procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità; e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.], in forza dei quali l’ente manifesta la volontà di obbligarsi rispetto ad una posizione creditoria vantata da un terzo, ammettendo la sussistenza di un rapporto obbligatorio.

D’altronde, la previsione, nel secondo comma, del ‟pagamento” a carico dell’ente, come diretta conseguenzialità della dichiarazione negoziale, vi imprime un netto carattere ricognitivo che trascende la declaratoria sull’utilità dei beni e servizi acquisiti e non previsti in bilancio.

AS

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