Corte di Cassazione, Sezione Terza, sentenza 22 giugno 2020 n. 12113. Ente pubblico responsabile dei danni provocati dalla fauna selvatica.

Antonio Ligabue

In tema di risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette rientranti, ai sensi della legge n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che «si serve», in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Per liberarsi dalla responsabilità del danno cagionato dalla condotta dell’animale selvatico, la Regione dimostri che la condotta dell’animale, comprovata dall’attore come causa del danno, non era ragionevolmente prevedibile (avendo ad esempio assunto carattere di eccezionalità rispetto al comportamento abituale della relativa specie) o comunque, anche se prevedibile, non sarebbe stata evitabile neanche ponendo in essere le più adeguate misure di gestione e controllo della fauna selvatica e di cautela per i terzi, comunque compatibili con la funzione di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema cui la protezione della fauna selvatica è diretta, che naturalmente richiede che gli animali selvatici vivano in stato di libertà e non in cattività (come nel caso di comportamenti degli animali oggettivamente non controllabili, quali ad esempio il volo degli uccelli), andrà senz’altro esente da responsabilità. La Regione potrà eventualmente rivalersi (anche mediante la chiamata in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità.


In materia di risarcimento danni causati da animali appartenenti alla specie protetta o che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, di cui all’art. 1, L. 157/1992, l’ente locale legittimato passivamente sul piano sostanziale è la Regione.

Nel caso di specie, la Cassazione è stata chiamata a decidere sul ricorso depositato dalla Regione Abruzzo, la quale lamentava l’erronea individuazione dell’ente deputato a rispondere dei danni causati all’autovettura da un piccolo branco di cinghiali. La Corte ha rigettato la domanda poiché non è stata esercitata l’azione di rivalsa nei confronti della Provincia, indicata come effettiva responsabile del pregiudizio.

La questione rappresentata riguarda l’esatta individuazione dell’ente pubblico colpevole dei danni causati dalla fauna selvatica.

È preliminare comprendere quale sia il fondamento civilistico alla base della responsabilità di cui si discute. In primo luogo, vi è da dire che il pregiudizio causato dalla fauna selvatica, considerata inizialmente quale res nullius, non era risarcibile. La legge 968/1977 prima e la legge 157/1992 dopo hanno riconosciuto la fauna selvatica quale patrimonio indisponibile dello Stato, «tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale».

In ragione di tali rilievi collettivi, la dottrina era concorde nel ritenere che il fondamento della responsabilità dei danni causati dagli animali selvatici fosse da ricercarsi nella responsabilità oggettiva di cui all’art. 2052, c.c.

Diversamente, l’orientamento giurisprudenziale consolidato prevedeva l’applicazione della responsabilità di cui all’art. 2043, c.c., poiché lo stato di custodia dell’ente pubblico esulava dallo stato di libertà della selvaggina.

La Cassazione, discostandosi dai suoi precedenti e confermando quanto esposto recentemente dalla Corte nei provvedimenti nn. 7969/2020, 8384/2020 e 8385/2020, ha individuato il regime della responsabilità in quella oggettiva delineata dalla disposizione del danno cagionato da animali, escludendo una diversità di trattamento in relazione al profilo soggettivo che legittimerebbe un ingiustificato privilegio.

Difatti, lo Stato rimane formalmente il titolare del patrimonio faunistico di specie protetta, mentre le Regioni sono considerate le utilizzatrici dello stesso poiché, in virtù della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, esercitano funzioni normative ed amministrative volte alla gestione, alla salvaguardia e al controllo della fauna selvatica.

Quanto agli aspetti probatori, la parte motiva della sentenza specifica che il conducente dell’autovettura dovrà provare l’esatta dinamica del sinistro e, nello specifico, il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, che la fauna fosse quella ricompresa nella l. 157/1992 o nel patrimonio indisponibile dello Stato e, data l’imprevedibilità del comportamento dell’animale, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Qualora il danneggiato provi tutto quanto sopra descritto, la Regione potrà liberarsi dalla responsabilità solo dimostrando il “caso fortuito”, ovverosia che, nonostante l’ente abbia adottato tutte le misure necessarie a controllare e gestire la fauna – «compatibili con la funzione di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema cui la protezione della fauna selvatica è diretta», la condotta dell’animale si è posta al di fuori della sfera di controllo dello stesso.

Nel caso in cui i mezzi di gestione del patrimonio faunistico sarebbero dovuti essere adottati da un ente diverso dalla Regione – tramite poteri suoi propri o delegati – quest’ultima rimane il legittimato passivo ma potrà chiamare in giudizio l’ente locale che ha posto in essere la condotta negligente (purché vi sia dimostrazione in tal senso da parte della Regione) causativa del danno e rivalersi nei suoi confronti.

massima e commento di Nicoletta Palazzo©

testo integrale della sentenza

Cassazione sez III sentenza 12113-2020

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