Gloria Sdanganelli, Brevi note a: Tribunale di Lamezia Terme, Sezione civile, decreto 2 novembre 2016.
In seguito a reclamo proposto ai sensi dell’art.26 legge fallimentare, è nullo il decreto del giudice delegato che abbia autorizzato il curatore al riscatto di una polizza vita intestata al fallito. Le somme dovute al fallito in base ad un contratto di assicurazione sulla vita, avendo una funzione previdenziale, non sono acquisibili al fallimento; di conseguenza, il curatore non è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore per ottenere il valore di riscatto della relativa polizza e non può subentrare di conseguenza al contratto di mandato diretto proprio alla gestione di polizze vita.
- La fattispecie concreta. 2. Contratto di mandato senza rappresentanza e funzione previdenziale delle polizze vita. 3. Oggetto e scopo del mandato fiduciario.
- La fattispecie concreta
La vicenda giudiziale commentata trae origine dal provvedimento del Giudice Delegato con cui autorizza il curatore al riscatto di alcune polizze vita intestate al soggetto fallito, gestite da una società Fiduciaria cui il primo, in epoca antecedente al fallimento, aveva affidato un mandato senza rappresentanza.
Il Tribunale, investito della lite in sede di reclamo proposto ai sensi dell’art.26, Legge Fallimentare, ha dichiarato nullo il decreto giudiziale di svincolo delle polizze.
La questione – già risolta in senso negativo dalle Sezioni unite[1], componendo il contrasto sorto all’interno della prima sezione civile della Suprema Corte – attiene alla legittimazione del curatore del fallimento ad esercitare il riscatto della polizza vita stipulata dal fallito, già in bonis, con l’impresa assicuratrice.
Simile soluzione viene reputata maggiormente conforme alla littera legis, trovando, perciò, accoglimento nella prevalente dottrina e giurisprudenza: se, infatti, è vero che l’art. 82, comma 1, l. fall. recita: “ il fallimento dell’assicurato non scioglie il contratto di assicurazione contro i danni ”, non può che apparire implausibile la soluzione che riconosca al curatore il potere di risolvere successivamente il rapporto, a sua discrezione[2].
Per effetto dell’art. 46, n. 5, l. fall. che esclude dal fallimento le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge, prevale nella giurisprudenza l’opinione secondo cui l’art. 1923, 1° comma, c.c., in base al quale le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare, trovi applicazione anche in sede concorsuale (Cassazione civile sez. un. 31 marzo 2008 n. 8271 ).
Ponendo l’accento sulla funzione previdenziale propria dell’assicurazione sulla vita, alla cui tutela è volto il divieto di azioni esecutive e cautelari sulle somme dovute dall’assicuratore, le Sezioni Unite respingono, così, ogni interpretazione restrittiva dell’art. 1923 c.c. che ne possa ridurre la portata. La S.C. esclude, infatti, chiaramente che “la rete di protezione […] che detta norma appresta al credito dell’assicurato […] si dissolva a fronte di esecuzione concorsuale, e che, nel quadro di questa, il bilanciamento degli opposti interessi possa risolversi privilegiando quella dei creditori, con forme di tutela ulteriori all’azione revocatoria prevista dall’art. 1923, 2° comma, c.c. Di conseguenza, anche in seguito alla dichiarazione di fallimento, rimane in vigore […] il contratto di assicurazione sulla vita stipulato (in bonis) dal fallito”.
A fronte della impignorabilità ex art. 1923 c.c. dei crediti del fallito derivanti dal non disciolto contratto di assicurazione sulla vita, gli stessi rientrano nelle cose non comprese nel fallimento, per effetto del richiamo di cui all’art. 46, n. 5, l. fall. Con l’ulteriore conseguenza che il curatore non è legittimato a chiedere egli lo scioglimento di quel contratto per acquisire alla massa il correlativo valore di riscatto (cfr., da ultimo, Cassazione civile sez. I, 6/2/2015 n. 2256; Corte appello Firenze sez. II 19 giugno 2012 n. 868).
Secondo la tesi nomofilattica, la funzione previdenziale della polizza vita è tale da giustificare l’applicazione del divieto di azioni esecutive e cautelari anche in caso di fallimento. Il curatore fallimentare (così come i creditori del contraente o del beneficiario in sede ordinaria) non potrebbe(ro), infatti, in ogni caso riscattare la polizza e sciogliere anticipatamente il contratto, senza pregiudicare al contempo la funzione previdenziale alla cui tutela l’art. 1923 c.c. è diretto. L’esercizio del riscatto, interrompendo la corretta esecuzione del contratto fino alla sua naturale scadenza (evento morte o sopravvivenza dell’assicurato), finisce per pregiudicare definitivamente la funzione previdenziale della polizza vita.
L’art. 1923, 1° comma, c.c., appare, in tal modo, finalizzato a precludere quelle azioni esecutive o cautelari di terzi strumentali alla soddisfazione di crediti nei confronti del contraente o del beneficiario, alle quali consegua la frustrazione del programma previdenziale contenuto nel contratto di assicurazione sulla vita.
A conforto della tesi dell’intangibilità dei cespiti assicurativi la Suprema Corte pone in luce la duplice finalità dell’art. 1923 c.c., disposizione che viene considerata posta sia a tutela della funzione di previdenza nell’interesse dell’assicurato sia a tutela dell’assicuratore, il quale viene, in tal modo, messo al riparo dal coinvolgimento nelle procedure esecutive azionate dai creditori dell’assicurato[3]. Non solo, perciò, viene esclusa una sostanziale incompatibilità fra le due posizioni, ma le Sezioni Unite finiscono per offrire una nuova lettura dell’art. 1923 c.c., legittimando ed utilizzandole entrambe quali argomenti a sostegno della illiceità della condotta invasiva del curatore fallimentare.
Né varrebbe sostenere, come dedotto dagli organi della procedura fallimentare, che la natura previdenziale delle polizze assicurative insidiate sia esclusa da taluni elementi estrinseci al contratto assicurativo, rappresentati dal valore e dalla unicità del premio. Sul punto basta richiamare la risolutiva opzione esegetica della Suprema Corte secondo cui in chiave di interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 38 e 47 Cost.), va riconosciuto valore assorbente “alla previdenza (qui legata ai bisogni dell’età postlavorativa o derivante dall’evento morte di colui che percepisce redditi dei quali anche altri si avvalga) che la norma in esame (unitamente ad eventuali e, in varia misura, concorrenti finalità di risparmio) è volta a tutelare (in via sia diretta, attraverso la garanzia del credito del singolo assicurato, sia indiretta attraverso la protezione del patrimonio dell’assicuratore, posto così al riparo dal contenzioso dei creditori, i cui costi andrebbero a detrimento degli assicurati per via di innalzamento dei premi)” (Cassazione civile sez. un. 31 marzo 2008 n. 8271).
2. Contratto di mandato senza rappresentanza e funzione previdenziale delle polizze vita
Il medesimo ragionamento giuridico induce il Tribunale a stabilire che i termini della questione non possono mutare quando parte contrattuale del rapporto di assicurazione sia individuata, come nel caso di specie, nella società mandataria (senza rappresentanza) del fallito. Infatti, il contratto di mandato (senza rappresentanza) non può far venir meno la funzione previdenziale del contratto di assicurazione sulla vita, con conseguente impignorabilità delle somme dovute ex art.1923 c.c.
La soluzione adottata dal Tribunale appare lineare e condivisibile rispetto alla diversa tesi esposta dal Curatore in base alla quale si ipotizza che, in virtù del mandato conferito alla società fiduciaria per la gestione delle polizze vite indicate nel contratto, il soggetto assicurato abbia subito l’emarginazione dal rapporto contrattuale di assicurazione sulla vita, non assumendo più la qualità di parte contraente. Viene configurata, in altri termini, l’ipotesi della surrogazione del curatore, ex art. 78, comma 3, L. fall., nel mandato stipulato dall’assicurato fallito con la società fiduciaria, da cui discenderebbe, secondo il Curatore, il diritto di riscatto delle polizze affidate alla gestione della società fiduciaria, nell’interesse del ceto creditorio. Per giustificare il presunto – ed invero insussistente – effetto estintivo acquisitivo, si ipotizza una singolare cessione del contratto le cui vicende traslative sarebbero riconducibili alla volontà dell’assicurato (Cedente), società fiduciaria (Cessionaria), con il consenso della compagnia di assicurazioni (Ceduta). La ricostruzione avversaria delinea, in tal modo, un contratto misto dai caratteri causali alquanto eterogenei ed incompatibili fra di essi – cessione implica la estinzione della titolarità del bene polizza, e mandato, per converso, suppone il suo mantenimento – enunciata per giustificare l’applicabilità dell’art. 78 cit.
In realtà traspare chiaramente che nell’art. 1 delle “CONDIZIONI GENERALI DI MANDATO” l’intestazione dei beni (polizze vita) a nome della fiduciaria “è effettuata a titolo fiduciario” in relazione all’attività svolta ai sensi della legge 23.11.1939, n. 1966, a cui la norma aggiunge che essi sono “amministrati in virtù del presente mandato” e – pleonasticamente – che “restano di effettiva proprietà del Fiduciante”. Né, d’altronde, poteva essere diversamente, giacché la congetturata cessione avrebbe tradito lo spirito della legge 23.11.1939, n. 1966 ed il ruolo della società fiduciaria, caratterizzato dall’art. 1 l. ult. cit. “nell’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni”. Inconfigurabile l’effetto derivativo-traslativo in favore della società fiduciaria, il Tribunale ha, perciò, disatteso l’impostazione avversa al fallito.
- Oggetto e scopo del mandato fiduciario
Giova appena rilevare, ai fini dell’inquadramento sistematico della vicenda de quo che, nella norma fissata dall’art.1703, c.c., oggetto del regolamento contrattuale del mandato è il compimento, da parte del mandatario, di “uno o più atti giuridici” per conto del mandante. Lo schema negoziale consente perciò, di cogliere, da un lato, la strumentalità dell’attività gestoria realizzata dal soggetto investito, e, dall’altro, la natura finale dei negozi cui il mandato stesso è preordinato.
Ciò equivale a distinguere logicamente fra il compimento dell’atto e l’atto finale: l’attività di facere del mandatario è infatti prodromica alla realizzazione del risultato accrescitivo della sfera giuridica del mandante, che ne rappresenta l’effetto giuridico conclusivo. Dall’oggetto del mandato, consistente nell’atttività gestoria da compiere, si possono, infatti, desumere per implicito i risultati finali da attribuire al mandante, a monte dei quali si collocano i risultati strumentali, la cui realizzazione è correlata alle singole situazioni giuridiche effettuali.[4]
A ciò si aggiunga che la fisionomia testuale dell’art.1703 cit. e la locuzione “atti giuridici” in esso contenuta deve essere ricondotta alla precisa scelta normativa di ammettere a formare oggetto del mandato solo il compimento di atti meritevoli di apprezzamento dall’ordinamento in quanto atti leciti, rilevanti per le conseguenze giuridiche ad essi riconnesse, purché conformi al dettato normativo.
Ne deriva, conseguenzialmente, che l’oggetto del mandato deve rivestire gli ordinari requisiti richiesti dalla legge: deve essere, quindi, possibile, lecito, determinato (art. 1346, c.c.), connotati che si disperdono nel momento in cui si assiste, in base alla dinamica autorizzata dal Giudice Delegato, all’ingresso del curatore nel rapporto di mandato, il cui unico interesse – manifestato negli atti fallimentari impugnati – è quello di conseguire il riscatto anticipato delle polizze, risultato ad esso precluso dall’ordinamento giuridico.
Se da un lato, in sede fallimentare, gli organi della procedura – con la richiesta diretta di riscatto – hanno aggredito le polizze vita, disattendendo l’arresto della Suprema Corte in materia, il curatore tenta di collocarsi in un’improbabile area di esenzione dalla violazione della norma proibitiva ex art.1923 c.c. e dell’art. 46 n.5, L. fall., attribuendosi, sulla base dell’art. 78, comma 3, L. fall., il ruolo del mandante già rivestito dal fallito. In tal senso, il rapporto non si costituirebbe fra mandante/curatore e compagnia assicuratrice, ma fra il primo e il mandatario/ società fiduciaria, la quale, nella gestione dei beni depositati, dovrebbe eseguire le istruzioni del primo.
L’argomentazione volta a legittimare l’attività degli organi fallimentari appare dubbiosa e mostra elementi di debolezza rispetto alla circostanza che i beni affidati alla amministrazione fiduciaria della predetta società godono del regime differenziato che li rende insensibili all’esercizio di potestà coattive da parte di creditori ed organi concorsuali.
In altri termini, se la società fiduciaria avesse ricevuto azioni, fondi, valuta, preziosi, il curatore mandante avrebbe potuto utilmente coltivare l’esigenza del ceto creditorio, conseguendo, a tutela della massa attiva, la liquidità tratta dalla vendita dei predetti beni.
Trattandosi, però, di polizze vite condizionate, sin dal momento genetico, dai poteri dispositivi dell’originario assicurato, l’impulso del curatore, approvato dal giudice delegato, di ottenere la liquidazione della società fiduciaria, appare un “atto giuridico” destinato a sorte caduca, in quanto elusivo del dettato positivo ex art. 1923 c.c. ed art. 46 n.5, L. fall e, quindi, affetto da grave nullità (Cassazione civile sez. III, 20 settembre 2012 n. 15934; Cassazione civile sez. I, 19 febbraio 2000 n. 1898).
La mancanza di legittimazione sostanziale del curatore ad apportare qualsiasi modificazione dell’assetto assicurativo delle polizze vita, rende l’oggetto del mandato giuridicamente impossibile, giacché il negozio richiesto al mandatario è vietato dalla legge. Sotto altro aspetto, il mandato è nullo per impossibilità da parte del curatore di esercitare il riscatto che riguarda un diritto personale riservato all’assicurato.
E’ altresì nullo per illiceità del suo oggetto in quanto il mandato viene posto in essere in contrasto di norme imperative (Cassazione civile sez. I, 2 marzo 2009 n. 5009 ): esso, infatti, è frutto di un incarico a compiere un’attività difforme dal quadro normativo, che travolge tanto il mandato quanto la richiesta di riscatto, vista l’intima connessione teleologica fra di essi[5]. Del resto, l’unica ragione che muove gli organi fallimentari a mantenere il contratto di mandato già stipulato dal fallito è quella di esercitare il riscatto anticipato e non già di preservare i diritti del fallito e dei terzi beneficiari sulle polizze. Tale esigenza è frustrata, secondo la sentenza commentata, dall’indisponibilità delle “somme dovute al fallito che, in base ad un contratto di assicurazione sulla vita, avendo una funzione previdenziale, non sono acquisibili al fallimento; di conseguenza, il curatore non è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore per ottenere il valore di riscatto della relativa polizza e non può subentrare di conseguenza al contratto di mandato diretto proprio alla gestione di polizze vita”.
Gloria Sdanganelli
[1] Cass., Sez. Un., 31 marzo 2008, n. 8271, in Giur. comm., 2009, II, 29, con nota di Tina, La legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio del diritto di riscatto della polizza vita al vaglio delle Sezioni Unite¸in Resp. civ. prev., 2008, 1280, con nota di Bugiolacchi, Previdenza e finanza nei contratti del ramo vita. Prospettive e limiti della soluzione delle Sezioni Unite in tema di fallimento del contraente; in Giust. civ., 2009, I, 2489, con nota di Luberti, Le sezioni unite della Cassazione su funzione previdenziale dell’assicurazione sulla vita, esercizio del diritto di riscatto e revocatoria fallimentare delle somme corrisposte a titolo di premio.
[2] FARSACI, Assicurazione e fallimento: alcune notazioni dopo la riforma fallimentare, in
Giust. civ., 9, 2012, 399.
[3] SIRI, Rischio finanziario, assicurazione sulla vita ed esclusione dal patrimonio fallimentare, in Giur. comm., 3, 2014, 613.
[4] Cendon, Commentario al codice civile. Artt. 1703-1765: Mandato. Spedizione. Agenzia. Mediazione, Milano, 2009, 57
[5] Sul punto: GALGANO, Il negozio giuridico, Milano, 2002, 4 ss.; Tribunale Milano 28 marzo 1990, in Giur. comm. 1990, II,786 “
testo integrale del decreto
Tribunale di Lamezia Terme, Sezione civile, decreto 2 novembre 2016: Presidente e relatore: d.ssa Tania Monetti
nel procedimento avente ad oggetto: il reclamo ex art. 26, comma 2, R.D. 16 marzo 1942 n. 267, iscritta al numero di ruolo 344 del 2015, promosso con ricorso depositato il 6.3.2015, da:
xxxxxxxxxxxxx, elettivamente domiciliato in Lamezia Terme, via dei Bizantini n.18, presso lo studio dell’avv. Antonello Sdanganelli, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine dell’atto introduttivo del presente giudizio, reclamante
e
CURATELA DEL FALLIMENTO N. XX/XXXX del Tribunale di Lamezia Terme (riunito al Fallimento n. XX/XXXX, nonché in estensione al fallimento della società di fatto xxxxxxxxxxxxxxxx personalmente, quale socio illimitatamente responsabile), in persona del Curatore, elettivamente domiciliata in Lamezia, via Garibaldi n.44, presso lo studio dell’avv. Gianfranco Spinelli che la rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione, reclamata
—–
Con ricorso in data 6-3-2015, xxxxxxxxxxxx proponeva reclamo avverso il decreto, depositato il 17.2.2015, con cui il Giudice Delegato autorizzava il Curatore al riscatto delle polizze vita n.000000000000xxxxxxx, n.000000000xxxxxxx, n.00000000000 xxxxx, n.000000000000 xxxxxx, intestate a xxxxxxxx, del valore di euro 238.193,04, gestite dalla società fiduciaria Generfid spa, ed a versare le somme sul C/C della procedura.
A sostegno del gravame, il reclamante deduceva che: il curatore del fallimento non sarebbe legittimato ad esercitare il riscatto della polizza vita stipulata dal fallito in bonis; trattandosi di atto di straordinaria amministrazione, sarebbe stata necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori e non del Giudice Delegato.
Si costituiva in giudizio la curatela e chiedeva il rigetto del gravame, deducendo che: la legittimazione del curatore deriverebbe dal subentro dello stesso – in luogo del mandante – nel contratto di mandato tra XXXXXXXX (mandante) e la società fiduciaria Generfid S.p.A. (mandataria); trattandosi di atto di ordinaria amministrazione, era necessaria l’autorizzazione del Giudice Delegato.
Tanto premesso in fatto, il reclamo è fondato per quanto di seguito esposto.
La questione sulla legittimazione del curatore all’esercizio del riscatto è stata affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella pronuncia n. 8271/2008, le quali – attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme in esame – hanno affermato (ponendo fine al contrasto ermeneutico sussistente in materia) che il curatore non è legittimato a chiedere lo scioglimento del contratto di assicurazione sulla vita per acquisire alla massa il correlativo valore di riscatto, ma può (nei casi in cui il contratto appaia stipulato non per reali finalità previdenziali ma in pregiudizio dei creditori) agire in revocatoria relativamente ai “premi pagati”.
Inoltre, come precisato con successiva pronuncia dal Giudice Nomofilattico “le somme versate dalla compagnia assicuratrice all’assicurato fallito a titolo di riscatto della polizza vita sono sottratte all’azione di inefficacia di cui all’art. 44 l.fall. in virtù del combinato disposto degli artt. 1923 c.c. e 46, comma 1, n. 5, l.fall., riguardando l’esonero dalla disciplina del fallimento tutte le possibili finalità dell’assicurazione sulla vita e, dunque, non solo la funzione previdenziale ma anche quella di risparmio” (Cass. n. 12261 del 2016).
Ciò posto, a parere di questo Collegio, i termini della questione non possono mutare quando parte contrattuale del rapporto di assicurazione è la società mandataria (senza rappresentanza) del fallito (nella specie Generfid S.p.A.).
Infatti, il contratto di mandato (senza rappresentanza) non può far venir meno la funzione previdenziale del contratto di assicurazione sulla vita (con conseguente impignorabilità delle somme dovute ex art.1923 c.c.).
Beneficiario dello stesso è e rimane il fallito, nel caso di specie XXXXXXXX.
A nulla rilevando che il rapporto contrattuale veda parte contraente la società fiduciaria Generfid S.p.A.
Non sfugge a questo Collegio né può essere sottaciuto, infatti, che la società mandataria agisce sempre per conto del fallito, nell’interesse dello stesso.
Pertanto, come il curatore non è legittimato a chiedere lo scioglimento di quel contratto di assicurazione quando contraente è il fallito stesso, così non può esserlo quando contraente è il mandatario, che agisce per conto del soggetto fallito.
In altri termini, non possono farsi discendere conseguenze diverse a seconda che il contratto sia concluso direttamente dal fallito o per il tramite di un mandatario, con o senza rappresentanza.
Residuano, inoltre, dubbi sull’assunto di parte reclamata in merito al subentro del curatore nel contratto di mandato in luogo del mandante (fallito), non potendo esercitare, come già si è detto, quei diritti e quelle facoltà che gli sono preclusi, ai sensi del combinato disposto degli articoli 46 l.fall. e 1923 c.c.
Le somme dovute al fallito in base ad un contratto di assicurazione sulla vita, avendo una funzione previdenziale, non sono acquisibili al fallimento; di conseguenza, il curatore non è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore per ottenere il valore di riscatto della relativa polizza e non può subentrare di conseguenza al contratto di mandato diretto proprio alla gestione di polizze vita.
L’accoglimento di tale motivo di doglianza comporta l’assorbimento del secondo motivo di gravame (invero già affrontato da questo Collegio nel giudizio r.g.439/2015 tra le stesse parti).
Conclusivamente, il reclamo va accolto ed il decreto impugnato va dichiarato nullo. La nullità del decreto emesso dal Giudice Delegato travolge i successivi atti esecutivi.
La sostanziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
– Accoglie il reclamo proposto da XXXXXXXX nei confronti della Curatela del fallimento n.31/2013 e, per l’effetto, dichiara nullo il decreto emesso dal Giudice Delegato del Fallimento n.31/2013, depositato in data 17.2.2015;
– Compensa integralmente le spese di lite.
Così deciso in Lamezia Terme, alla Camera di Consiglio del 15.9.2016.