Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 4397 del 30 gennaio 2015

L’ assenza del pubblico dipendente dopo avere timbrato il cartellino segnatempo implica l’astratta configurabilità del reato ex art.640 comma 2 c.p, reato per il quale, però, non si può procedere in considerazione del fatto che quel comportamento – integrante gli fugaestremi del contestato reato di truffa aggravata – fu tenuto dall’imputato quando si trovava in stato di non imputabilità per incapacità di intendere e di volere, a causa del suo precario stato mentale.

sentenza integraleCorte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 – 30 gennaio 2015, n. 4397
Presidente Esposito – Relatore Rago

Fatto e diritto

1. Con sentenza del 07/03/2014, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Roma disponeva il non luogo a procedere nei confronti di N.G. – imputato per il reato di cui all’art. 640/2 cod. pen. – per difetto di imputabilità essendo il medesimo affetto da un «disturbo delirante cronico» così come accertato dal perito.
2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL’ART. 425 COD. PROC. PEN. per avere il giudice pronunciato sentenza di non luogo a procedere per mancanza di imputabilità nonostante non vi fosse alcuno elemento per sostenere la configurabilità del reato attribuitogli.
Con memoria depositata il 30/12/2014, il ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato quanto dedotto con il ricorso.
3. II ricorso è infondato.
Il ricorrente era stato imputato del reato di truffa aggravata perché, nella sua qualità di dirigente medico dell’ASL RMC timbrava i cartellini segnatempo attestanti la presenza sul luogo del lavoro dal quale, però, si allontanava senza effettuare le prestazioni lavorative inducendo così in errore l’Amministrazione di appartenenza che gli corrispondeva, dal 18/04/2011 al 30/06/2011, l’importo non dovuto di € 21.842,52.
Ora, secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il giudice dell’udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a provvedere solo quando il materiale probatorio sia assolutamente inidoneo a sostenere l’accusa in giudizio e cioè quando mancano le condizioni per una prognosi favorevole all’accusa: il giudizio del giudice dell’udienza preliminare quindi, dev’essere di mera valutazione processuale e non un vero e proprio giudizio di merito sulla colpevolezza dell’imputato, giudizio che compete solo al giudice del dibattimento: in terminis Cass. 22864/2009 riv 244202 – Cass. 45046/2008 riv 242222 – Cass. 14034/2008 rv 239514 – Cass. 13163/2008 rv 239701 – Cass. 45275/2001.
Il giudice dell’udienza preliminare infatti, ha una funzione di filtro e, nel rispetto di tale funzione, gli spetta solo decidere se il materiale probatorio offerto dall’accusa sia o meno idoneo a sostenere l’accusa in giudizio: giudizio prognostico che, con tutta evidenza, è, però, di natura processuale e non di merito, sicché dev’essere escluso il proscioglimento in tutti quei casi in cui le fonti di prova a carico dell’imputato si prestino a soluzione alternative o aperte o, comunque che possano essere diversamente rivalutate: in terminis, Cass. sez II 8/10/2008 n° 40406 – Cass. 35178/2008 Rv. 242092; Cass. 13922/2012.
In sintesi, il giudice dell’udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a provvedere a norma dell’art. 425/3 c.p.p. deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Il giudice dell’udienza preliminare nell’effettuare la suddetta valutazione, non può entrare in una complessa ed approfondita disamina del merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio sulla colpevolezza dell’imputato, essendo tale valutazione riservata al Tribunale all’esito del dibattimento ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti quei casi in cui le fonti di prova a carico dell’imputato si prestino a soluzione alternative, aperte o, comunque ad essere diversamente rivalutate.
Ora, nel caso di specie, il giudice dell’udienza preliminare ha rilevato che, «quanto ai fatti oggetto d’imputazione, l’esposto in atti dell’Asl Roma C, del 30/09/2011, prot. 59554, con documenti allegati, consente di ritenere accertata la configurabilità, in termini materiali e di colpevolezza il reato attribuito all’imputato»: il che significa che la documentazione in atti non consentiva alcun proscioglimento ma, anzi, imponeva il rinvio a giudizio.
Poiché, però, era emersa una pacifica causa di non imputabilità, correttamente, il giudice dell’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a provvedere per difetto di imputabilità.
Sul punto va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «a seguito della modifica dell’art. 425 cod. proc. pen., introdotta con l’art. 23 della L. n. 479 del 1999, deve ritenersi ricompresa nella disposizione normativa secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento nei confronti di “persona non punibile per qualsiasi causa” anche l’ipotesi di difetto di imputabilità per incapacità di intendere e di volere, a condizione che non debba essere applicata una misura di sicurezza personale, in considerazione dell’assenza di pericolosità sociale dell’imputato»: Cass. 21826/2014 Rv. 259577.
Il che deve ritenersi avvenuto nel caso di specie in quanto non risulta che il ricorrente, benché incapace d’intendere e volere, fosse anche pericoloso: infatti, il giudice – nonostante fosse stata disposta una perizia ad hoc – nulla dice in motivazione sulla pericolosità e nulla dispone in dispositivo essendosi solo limitato a dichiarare il non luogo a procedere per difetto di imputabilità.
E, d’altra parte, è lo stesso ricorrente che, pur insistendo nel concordare con la diagnosi del perito nominato d’ufficio (e, quindi, di trovarsi in uno stato di non imputabilità), tuttavia non ha mai sostenuto di essere pericoloso socialmente.
Il ricorrente in questa sede, si è limitato a produrre ulteriore certificazione medica confermativa della perizia ed attestante il suo precario stato di salute mentale a causa del quale egli si era assentato dal lavoro: ma non spiega per quali ragioni la suddetta documentazione dovrebbe provare l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria.
In altri termini, è lo stesso ricorrente che non contesta di essersi assentato dopo avere timbrato i cartellini segnatempo: ciò implica l’astratta configurabilità del contestato reato, reato per il quale, però, non si poteva procedere in considerazione del fatto che quel comportamento – integrante gli estremi del contestato reato di truffa aggravata – fu tenuto dall’imputato quando si trovava in stato di non imputabilità.
Di conseguenza, la correttezza della decisione impugnata resta ancor di più confermata proprio perché lo stato precario di salute mentale, se costituisce una causa di non imputabilità, non può certo determinare il non luogo a procedere per motivi di merito.
In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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