Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 luglio 2015, n. 14635. Il Comune risponde dei danni arrecati ad un’attività commerciale trasferitasi in seguito alla chiusura di una strada.

L’estensione della strada e l’uso generale di essa da parte della collettività rilevano nell’indagine che il giudice è tenuto a compiere caso per caso per verificare se l’esercizio del potere di controllo e di vigilanza della strada da parte dell’ente che ne è proprietario sia risultato in concreto possibile, dovendo altrimenti escludersi il rapporto di custodia e ritenersi inconfigurabile la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.. voragineOve sia stato dimostrato che la custodia non è stata esercitata dall’ente custode delle strade e del sottosuolo, e che una voragine verificatasi non è stata determinata da eventi fortuiti non prevedibili ne prevenibili, chiara è la responsabilità oggettiva dell’ente (Comune) da sempre al corrente della situazione del sottosuolo e dei rischi collegati e non ha mai posto in essere le cautele necessarie finalizzate a rafforzare il manto stradale. Sussiste la responsabilità risarcitoria del comune proprietario della strada per i danni patiti dal titolare di un esercizio commerciale, costretto a trasferire in altro luogo la propria sede, a causa della chiusura prolungata della strada, per la notevole contrazione della propria attività commerciale e per le notevoli spese sopportate.

testo integrale

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 febbraio – 14 luglio 2015, n. 14635
Presidente Petti – Relatore Pellecchia

Svolgimento del processo

1. Nel gennaio 2002, L.C. convenne in giudizio il Comune di Lusciano al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti dalla apertura di una profonda voragine sul manto stradale, antistante la sua attività commerciale e che aveva portato alla chiusura del traffico della strada, per eseguire i necessari lavori di manutenzione. Tale chiusura aveva determinato una notevole contrazione della propria attività commerciale al punto di essere costretto a trasferire in altro luogo la propria sede, sopportando così notevoli spese.
Si costituì il Comune di Lusciano che contestava an e quantum della pretesa attrice.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Aversa, rigettò la domanda.
2. La decisione è stata riformata, con sentenza n. 3753 del 15 novembre 2010 della Corte d’Appello di Napoli. La Corte ha ritenuto, a differenza del giudice di prime cure, che la chiusura della strada fu determinata dal collasso del manto stradale e dalla conseguente voragine. Eventi manifestamente e causalmente collegati. E la responsabilità del Comune è tanto più grave perché lo stesso era a conoscenza della situazione. Aggiungono, inoltre, i giudice del merito che si è alla presenza di una ipotesi tipica di responsabilità oggettiva ai sensi dell’articolo 2051 c.c., e il Comune perciò doveva dimostrare eventi fortuiti eccezionali, non prevedibili. Per quanto riguarda poi, il profilo risarcitorio i giudici della Corte territoriale, hanno ritenuto dalle testimonianze che ci sia effettivamente stato uno sviamento di clientela a causa della difficoltà di raggiungere la rivendita dopo lo smottamento. Non potendo verificare con precisione il danno perché a distanza di tanto tempo sarebbe stata necessaria una consulenza contabile, i giudici fanno riferimento ad un criterio equitativa o di liquidazione del danno stimandolo in circa € 75.000.
3. Avverso tale decisione, il Comune di Lusciano propone ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria
3.1 Resiste con controricorso C.L.

Motivi della decisione

4.1. Con il primo motivo, il Comune deduce la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c., nonché dell’art. 1223 c.c. e dei principi che disciplinano il nesso di causalità tra il danno e/o l’evento lesivo e la cosa in custodia, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2051 c.c. e delle norme che disciplinano l’onere della prova, a carico del danneggiato, sulla sussistenza del nesso di causalità tra il danno e/o l’evento lesivo e la cosa in custodia in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”.
Lamenta il Comune che le motivazioni addotte dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata sono illegittime illogiche e contraddittorie. Che per l’applicazione dell’articolo 2051 c.c. è necessario che il danno sia stato arrecato non già con la cosa ma dalla cosa; quanto all’onere probatorio spetta al danneggiato allegare e provare l’esistenza di un efficace rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta “omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio individuato nella esistenza del nesso causale tra i danni lamentati e la chiusura al traffico della via Manzoni in relazione all’art. 360 c.p.c., n.5”.
La motivazione della sentenza dei giudici del merito è insufficiente a reggere la motivazione in punto di accertamento dell’eziologia dell’evento dannoso.
I motivi possono essere trattati congiuntamente perché trattano la stessa questione sotto profili diversi, e sono entrambi infondati.
1 giudici dell’Appello con motivazione logica, congrua e scevra da vizi logico giuridici hanno fatto buon governo delle norme richiamate dal ricorrente, non incorrendo in nessuna delle violazioni attribuitegli.
Ciò posto, va rilevato che la Corte di merito ha fatto discendere l’applicabilità dell’ars 2051 c.c. a seguito di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso concreto, in conformità ai principi di questa Corte (Cass. n. 19653/2004; Cass. n. 298/2003). In definitiva, l’estensione della strada e l’uso generale di essa da parte della collettività rilevano nell’indagine che il giudice è tenuto a compiere caso per caso per verificare se l’esercizio del potere di controllo e di vigilanza della strada da parte dell’ente che ne è proprietario sia risultato in concreto possibile, dovendo altrimenti escludersi il rapporto di custodia e ritenersi inconfigurabile la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.
Nel caso di specie si tratta di strada comunale all’interno della perimetrazione del centro abitato. La localizzazione della strada è indice della possibilità di vigilanza e controllo costante da parte dei Comune. Agli indicati principi è conforme la sentenza impugnata­
La sentenza, infatti, innanzitutto motiva le ragioni per cui alla fattispecie in esame andava applicato l’art. 2051, in conformità ai principi enunciati, perché il Comune è custode delle strade e del sottosuolo e successivamente elenca i motivi che giustificano che tale custodia non è stata esercitata in modo diluente oltre che la voragine che si è verificata non è stata da eventi fortuiti non prevedibili ne prevenibili. Chiara è la responsabilità oggettiva del Comune perché dalla relazione della consulenza tecnica emerge con evidenza che l’evento era prevedibile e prevenibile e che il Comune era da sempre al corrente della situazione del sottosuolo e dei rischi collegati e non ha mai posto in essere le cautele necessarie finalizzate a rafforzare il manto stradale.
I giudici del merito correttamente motivano, applicando le regole del nesso causale, che la chiusura della strada fu determinata direttamente dal collasso del manto stradale e dalla voragine che si era verificata e che, pertanto, non si può parlare di mera occasione di danni lamentati ma di danni diretti dovuti alla difficoltà della clientela di raggiungere il negozio del C. dopo lo smottamento.
4.3. Con il terzo motivo il Comune denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056, nonché insufficiente contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per avere il giudice di merito sopperito con la liquidazione equitativa alle deficienze probatorie dell’attore in punto di entità dei danni subiti e per essere la stessa del tutto arbitraria e sproporzionata nella misura di un utile di attività del 20%”.
Sostiene che la domanda risarcitoria non poteva essere accolta per difetto di prova sull’effettiva sussistenza, sulla natura e sull’entità dei danni asseritamente subiti.
Anche questo motivo è infondato. I giudici del merito motivano in modo congruo.
li ricorrente nella specie, per contro, all’iniziale enunciazione della violazione di norme, non fa, poi, seguito una trattazione puntuale nella quale, per ciascuna di esse, vengano sviluppati argomenti in diritto. Si limita infatti a rimettere in discussione le valutazioni delle prove effettuate dalla Corte d’Appello.
E’ principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011).
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in complessivi 3.600 Euro, di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

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