Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, sentenza 15 dicembre 2020 n. 35924. Sequestro preventivo di immobile e nesso di pertinenzialità

M.Palaia

Nel sequestro preventivo di un immobile disposto in sede penale, l’ampiezza della nozione di cosa pertinente al reato rende necessario un esame particolarmente rigoroso sul rapporto che lega la cosa al reato, essendo richiesto un collegamento concreto tra res ed illecito penale, sia pur indiretto, ma funzionale, ma non soltanto occasionale, poiché la nozione di pertinenza non si estende sino al punto di attribuire rilevanza a rapporti meramente occasionali tra la “res” e l’illecito penale. Ciò vale a maggior ragione quando il legame prospettato sia di natura funzionale, sicchè esso non può essere meramente occasionale. Non si va al di là di una motivazione meramente apparente, qualora gli elementi posti a fondamento della pertinenzialità si fermino ad una soglia di interdipendenza fattuale ancor meno che occasionale e rasentino la categoria del collegamento semplicemente possibile, ed in quanto tali inidonei a configurare il necessario nesso pertinenziale presupposto del sequestro.

massima e commento di Luca Sdanganelli©

La sentenza annotata ribadisce, arricchendone il quadro giurisprudenziale, la necessità del nesso di pertinenzialità tra il bene sequestrato e il reato ipotizzato, nei casi di sequestro preventivo di un immobile.

L’art.321 del Codice Penale dispone che ove vi sia pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, il giudice competente a pronunciarsi nel merito, su richiesta del pubblico ministero, può disporre il sequestro con decreto motivato.

La vicenda concreta era relativa al sequestro della quota pari alla metà della proprietà di un appartamento, ritenuta profitto del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di un milione di euro ipotizzato a carico dell’indagato, in relazione al fallimento della società della quale il proprietario era amministratore di fatto.

In genere la condotta distrattiva consiste nel distacco di beni o altre utilità dal patrimonio dell’impresa con conseguente impoverimento dell’asse concorsuale o in qualsiasi azione diretta ad impedire che un bene della società fallita sia utilizzato per il soddisfacimento della massa dei creditori. Per la configurazione del delitto non è necessaria l’estromissione fisica del bene: l’insorgere di obbligazioni che comportino una perdita di ricchezza come un preliminare di vendita o l’emissione di cambiali a favore di società collegate può essere sufficiente. Il Tribunale di Roma, Sezione per il Riesame , confermava il sequestro preventivo disposto dal GIP, poiché, a suo avviso, la somma sarebbe stata oggetto di un bonifico privo di giustificazione dalla società fallita al proprietario dell’immobile (l’acquisto dell’immobile era stimato del valore complessivo di oltre due milioni e duecentomila euro) Sostenevano i giudici che l’acquisto dell’immobile in sequestro sarebbe avvenuto proprio con il denaro oggetto della contestazione provvisoria di bancarotta distrattiva.

La difesa eccepiva violazione degli artt. 240 cod. pen. e 321 cod. proc. pen. stigmatizzando la mancanza del necessario collegamento pertinenziale fra il reato ipotizzato e l’immobile sottoposto a parziale sequestro, evidenziando l’assenza di contestualità tra le due operazioni (il bonifico e l’acquisto dell’immobile) , avvenute a distanza di un anno e mezzo l’una dall’altra.

La Corte di cassazione ha condiviso tale primo argomento di censura, poiché secondo essa, il provvedimento del Riesame non ha sciolto il dubbio relativo al requisito della pertinenzialità del bene, dando vita ad una motivazione solo apparente al riguardo.

La Corte rammenta che l’espressione “cose pertinenti al reato”, cui fa riferimento il primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen., se è più ampia di quella di corpo di reato, così come definita dall’art. 253 cod. proc. pen., e comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, non si estende sino al punto di attribuire rilevanza a rapporti meramente occasionali tra la “res” e l’illecito penale. (Sez. 2, n. 28306 del 16/4/2019, Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 9149 del 17/11/2015, dep. 2016, Plaka, Rv. 266454; Sez. 5, n. 52251 del 30/10/2014, Bianchi, Rv. 262164 in cui si analizza una fattispecie in tema proprio di reato di bancarotta; Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014, Denaro, Rv. 259850; Sez. 4, n. 1598 del 21/06/1996, Ricci, Rv. 206546)

La valutazione della connessione tra bene che si intende vincolare e reato si declina in concreto e costituisce una valutazione di merito che, se effettuata con motivazione non manifestamente illogica ed aderente ai principi dettati in tema dalla Corte di legittimità, non può essere dedotta con ricorso per cassazione, data la limitazione del sindacato della Suprema Corte alla rilevazione dei soli vizi di legge. Il sindacato di legittimità si riespande solo laddove la motivazione sia assolutamente carente o meramente.

Nel caso di specie, quanto al presupposto della pertinenzialità, la Corte ha ritenuto come la motivazione del Tribunale del Riesame si presenti come meramente apparente, essendo limitata a prendere atto della corrispondenza in astratto tra il valore della quota, pari alla metà della proprietà dell’immobile oggetto di sequestro, e la somma di denaro percepita circa un anno e mezzo prima dalla società fallita.

Da tale corrispondenza il Riesame fa derivare la conseguenza che l’acquisto dell’immobile suddetto da parte del ricorrente sia stato effettuato proprio con il denaro proveniente da tale elargizione, ipotesi che integrerebbe, pertanto, un collegamento mediato e indiretto tra reato e bene, senza null’altro aggiungere sulla possibilità economica del ricorrente di acquistare il bene a prescindere dalla somma che si assume illecitamente distratta (circostanza che doveva essere provata dalla pubblica accusa e la cui prova non può essere richiesta al titolare del bene oggetto di sequestro).

Secondo la Corte è evidente come le argomentazioni del Riesame costituiscano una motivazione meramente apparente, inidonea a configurare il necessario nesso pertinenziale presupposto dei sequestro impeditivo, poiché gli elementi addotti a fondamento della pertinenzialità da parte dei giudici cautelari si fermano ad una soglia di interdipendenza fattuale ancor meno che “occasionale” e rasentano la categoria del collegamento semplicemente “possibile”.

Un ambito logico di espansione che integra il vizio di violazione di legge dal momento che abbandona i parametri interpretativi affermati dalla Corte, che richiedono il contatto concreto tra “res” ed illecito penale, sia pur quale collegamento indiretto funzionale purchè non soltanto occasionale. L’ampiezza della nozione di cosa pertinente al reato infatti, elaborata dalla giurisprudenza, potendo prestarsi ad interpretazioni eccessivamente estensive, rende necessario un esame particolarmente rigoroso sul rapporto che lega la cosa al reato (cfr. Sez. 5, n. 26444 del 2014 cit., che sottolinea come ciò valga a maggior ragione quando il legame prospettato sia di natura funzionale, sicchè esso non può essere meramente occasionale)

In ogni caso,precisa la Corte, quand’anche volesse ritenersi che il Riesame abbia confuso il concetto di pertinenzialità, che è funzionale alla finalità “impeditiva” di evitare il pericolo dell’aggravarsi o del protrarsi delle conseguenze del reato, con il collegamento tra il reato ed il suo profitto, tipico del sequestro finalizzato alla confisca diretta del bene-investimento acquistato, sarebbe stato necessario dare dimostrazione che l’immobile sia stato acquisito con l’immediato e diretto reimpiego delle somme profitto del reato di bancarotta fraudolenta.

testo integrale della sentenza

Cassazione Penale Sezione V. Sentenza n 35924-2020

 

 

 

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