Tribunale di Genova, I sezione civile, giudice dott. Braccialini, ordinanza 10 aprile 2017. Caso Cassimatis, Grillo e Cinquestelle.

GLORIA SDANGANELLI

Brevi note a Ordinanza Tribunale Genova, 10 aprile 2017

1. Con ordinanza cautelare del 10 aprile 2017, in accoglimento del ricorso presentato dai candidati della lista Cassimatis, il Tribunale di Genova deliberava la sospensione (i) della determinazione assunta il 14 marzo 2017 dal cd. “Garante” e capo politico del Movimento 5 Stelle, avente ad oggetto l’esclusione della lista Cassimatis – già risultata vincitrice in base ad una precedente consultazione locale – dal procedimento elettorale relativo al rinnovo del Consiglio Comunale ed all’elezione del Sindaco del Comune di Genova e (ii) della successiva deliberazione del 17 marzo 2017 con cui l’assemblea in rete degli iscritti certificati ha deciso la presentazione del sig. Luca Pirondini e dei nominativi ad esso collegati rispettivamente per la carica di candidato sindaco e di candidati consiglieri comunali.grillo cassimatis

La sospensione veniva disposta dal Tribunale, sussistendone i presupposti ai sensi degli art. 2378 e 23 c.c., a seguito dell’accertamento della violazione da parte degli organi amministrativo e assembleare dei doveri statutari posti a garanzia della democrazia interna e trasparenza del Movimento. Ne era derivata, quale conseguenza immediata e diretta, la lesione per i ricorrenti del diritto costituzionale di elettorato passivo sancito dall’art. 48 della Costituzione, con necessità di ripristinare la preesistente situazione giuridica al fine di consentire lo svolgersi delle operazioni elettorali.

In primo luogo, si rileva il contrasto tra la decisione di Grillo di escludere la lista Cassimatis dalla tornata elettorale con il dovere statutario del capo politico del Movimento di conformarsi alle statuizioni dell’organismo assembleare preposto a tale funzione. Se dall’esame delle regole organizzative del Movimento, le quali risultano suddivise tra tre distinte fonti (“Non Statuto”; “Regolamento”; “Codice Etico”) emerge l’attribuzione al capo politico di un ruolo di indirizzo e impulso particolarmente penetrante, tuttavia, nella specifica materia della selezione delle candidature, esso risulta privo della natura decisionale necessaria per inibire una precedente deliberazione dell’Assemblea. Solo quest’ultima, infatti, è investita statutariamente del potere di produrre deliberazioni vincolanti sullo specifico oggetto delle candidature da sottoporre all’elettorato.

Con riguardo alla seconda delle decisioni impugnate, si rinviene la violazione delle regole procedurali di selezione delle candidature, nella parte in cui è stato irrimediabilmente eluso il termine minimo statutario per consentire agli iscritti un esercizio informato e consapevole del voto attraverso la partecipazione al forum di dibattito con i mezzi tecnici impiegati. La necessità di questo adempimento, secondo il Tribunale ligure, emerge in maggior misura in quei contesti che impiegano la tecnologia digitale quale luogo privilegiato per l’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero e di decisione politica, in modo tale da consentire “la materiale realizzazione di un reale spazio partecipativo che sfrutta la velocità di comunicazione della Rete”.

Il rispetto delle regole di funzionamento del Movimento andava, perciò, assunta quale obbligato ed accorto punto di riferimento per la soluzione del nodo decisionale e politico del comune genovese, non essendo tollerabile alcuna deviazione dall’originario modello ed un sbilanciamento dell’assetto di poteri così delineati.

Al contrario, gli atti associativi impugnati, deviando da siffatta architettura statutaria hanno determinato la compressione del diritto dei candidati della lista Cassimatis di vedere riconosciuta la loro rappresentatività ed alterato il rapporto delle competenze decisionali tra gli organi statutari, giustificando la decisione del Tribunale di sospenderne l’efficacia ai sensi degli artt. 2378 e 23 del codice civile.

2. L’ordinanza annotata affronta e ripropone, nello specifico contesto dell’organizzazione delle consultazioni comunali (“comunarie”), la tematica dell’opportunità di tutelare e garantire le esigenze di trasparenza e di democrazia interna di un movimento politico, specie ove tale organizzazione si regga, assumendola come guida e principio cardine, sulla rete e sulle tecnologie dell’era digitale.

L’attenzione posta dal giudice ligure alle tematiche sopra menzionate, complice anche l’urgenza decisionale connessa alla stretta tempistica del percorso elettorale per il rinnovo delle cariche cittadine genovesi, allinea tale decisione alle recenti aperture parlamentari in tema di partecipazione democratica e riorganizzazione dei partiti politici[1].

La Costituzione riconosce il ruolo fondamentale dei partiti politici nell’assicurare la partecipazione dei cittadini alla vita politica: l’articolo 49 della Costituzione stabilisce, infatti, che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. A tale premessa ideologica, come è noto, non ha fatto seguito l’introduzione di una regolamentazione sul funzionamento interno dei movimenti politici. Sebbene, infatti, la Costituzione sembrerebbe prefigurare una titolarità di attribuzioni costituzionali dei partiti politici[2], la cui rilevanza pubblicistica è indiscussa, consentendo ai cittadini l’esercizio del diritto costituzionale di associarsi di cui all’art. 18, la giurisprudenza costituzionale ne ha negato una loro qualificazione come poteri dello Stato (Corte cost. ord. 79/2006).

In assenza di una disciplina specifica, e salvi taluni interventi normativi più recenti[3], l’ordinamento giuridico assimila i partiti politici alle associazioni non riconosciute, le quali trovano la propria fonte primaria negli artt. 39 ss. del codice civile, impedendo qualsiasi tipo di indagine sul grado di democraticità e di trasparenza interne.

Particolarmente lungimiranti appaiono, in tal senso, le previsioni dell’art. 5 del disegno di legge sopra menzionato, le quali prescrivono, sia per i partiti iscritti che non iscritti nell’apposito registro, la pubblicazione sul sito internet del singolo partito di una serie di informazioni sui profili organizzativi interni entro un’apposita sezione denominata “Trasparenza”. Si specifica inoltre che tale sezione deve rispettare i principi di elevata accessibilità, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità di consultazione.

Una puntuale applicazione del principio di democrazia interna è avvenuto, del resto, in relazione al fenomeno sportivo e alla regolamentazione del relativo ordinamento[4]. È agevole cogliere, in tal senso, come da un’impostazione ottocentesca di tipo liberale, che ignorava il fenomeno dei corpi intermedi attribuendo assoluta preminenza al soggetto pubblico, il pluralismo sociale sia giunto a rappresentare, oggi, uno dei caratteri qualificanti dell’organizzazione statale, alla luce dell’art. 2 della Costituzione, norma “ricognitiva” di un carattere necessario di ogni ordinamento democratico, che sancisce, all’interno della fonte suprema dell’ordinamento, l’esistenza di una pluralità di poteri sociali da valorizzare e promuovere.

La salvaguardia della trasparenza del potere, costituisce, pertanto, condizione primaria del corretto funzionamento della democrazia. Tale valore non può subire alcuna compressione qualora il l’esercizio di funzioni di rilevanza pubblicistica sia mediato dall’intervento dei partiti politici, formazioni private alle quali tuttavia, nelle moderne democrazie costituzionali, sono assegnati compiti di carattere generale e di rilievo costituzionale.

3. Di fronte a tali premesse d’ordine sistematico e metodologico, appare degno di nota il tentativo del Tribunale ligure di salvaguardare l’operatività del principio democratico all’interno del Movimento 5 Stelle a fronte dell’operato abusivo dei suoi stessi organi statutari.

In particolare, si osserva come la cifra democratica del Movimento sia costituita dal fatto che le sue regole organizzative si preoccupano di raggiungere un punto di equilibrio tra due esigenze opposte, quali “il momento assemblear/movimentista” e “l’istanza dirigista” che viene riconosciuta ed associata a figura di particolare carisma e peso politico per il Movimento, come Beppe Grillo, il quale in seno a tale organizzazione politica cumula la qualità di “capo politico”, come da Regolamento, e di “Garante del Movimento”, come da Codice Etico.

Sulla necessità che tali esigenze trovino adeguato bilanciamento depone, del resto, la lettera dell’art. 4 del Non Statuto, nella parte in cui dichiara che il medesimo Movimento “vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partiti senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo e indirizzo normalmente attribuito a pochi.”

Esaminata la vicenda alla luce di questa ricostruzione delle regole statutarie del Movimento 5 Stelle, la conclusione nel senso della invalidità e della conseguente sospensione dei provvedimenti impugnati appare esito condivisibile, essendosi realizzata indebitamente, da parte degli organi assembleare e amministrativo, la spendita di funzioni statutarie che hanno alterato la normale scansione procedimentale per la selezione delle candidature.

Di ulteriore interesse appare, sotto altro angolo visuale, il giudizio espresso dal Tribunale in relazione all’autoannullamento del voto assembleare del 14 marzo 2017, intervenuto con comunicazione del Grillo del 6 aprile sulla piattaforma telematica del Movimento, circostanza che si situa, in ogni caso, al di fuori del perimetro del presente giudizio per assenza di specifica contestazione dei ricorrenti. L’organo giudicante manifesta, in particolare, dei seri dubbi di legittimità in relazione alla provenienza del contro atto. Si suggerisce, infatti, che l’autoannullamento di delibere provenienti da organismi associativi o societari può essere assunto solo dallo stesso organo che ha emesso l’atto da rimuovere, non potendosi applicare al caso di specie la regola dell’autoannullamento disposto da organo gerarchicamente sovraordinato nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione. La critica del Tribunale in punto di legittimazione soggettiva ad impugnare una precedente deliberazione appare legittima, essendosi realizzato uno scollamento tra il soggetto che si era determinato originariamente (l’Assemblea) e l’organo che ne disposto l’annullamento (il capo politico del Movimento).

Tuttavia, potrebbe suscitare, tutt’al più, dei dubbi il mancato rilievo da parte del giudicante, sui rapporti fra autoannullamento e la natura gestoria della deliberazione censurata, e dunque della sua idoneità ad incidere sui diritti acquistati, medio tempore, dai terzi di buona fede (art.2377, ultimo comma, c.c.), specie in relazione a vicende di rilevanza pubblicistica quali le consultazioni elettorali.

Alla luce di tali conclusioni, ben si lascia apprezzare lo sforzo innovativo e ricostruttivo dell’ordinanza annotata, specie nella parte in cui esprime il monito del giudice sulla necessità che, anche all’interno di un soggetto giuridico di diritto comune, quale un partito politico, si verifichi il puntuale rispetto di quelle regole organizzative funzionali a tradurre, nella sua dimensione “interna”, il “metodo democratico” quale configurato dall’articolo 49 della Costituzione. Ossia, in altri termini, il modo di porsi dei partiti nella competizione politica, secondo il principio del pluralismo politico che il Costituente intese quale valore primario da tutelare.

[1]           Il riferimento è al disegno di legge A.S. n. 2439 intitolato “Disposizioni in materia di partiti politici. Norme per favorire la trasparenza e la partecipazione democratica” giunto all’esame del Senato dopo l’approvazione da parte della Camera dei deputati l’8 giugno 2016, testo disponibile al link:http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/978674/index.html#

[2]           I riferimenti che la Costituzione fa ai partiti politici si individuano, oltre nell’art. 49, nell’art. 98, terzo comma, ove si prevede la possibilità di stabilire con legge limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per alcune determinate categorie di pubblici funzionari (magistrati, militari, funzionari ed agenti di polizia, diplomatici), e nella XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione dove è posto il divieto della riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista.

[3]           Tra i provvedimenti che anticipano il disegno di legge A.S. n. 2439 si citano: la legge n. 96 del 2012 sul tema della riduzione del finanziamento statale dei partiti nonché sulla trasparenza e i controlli dei loro rendiconti; il decreto-legge n. 149 del 2013 (convertito dalla legge n. 13 del 2014) che ha sancito la progressiva abolizione, anziché solo riduzione, del finanziamento statale diretto ai partiti rispetto a tali atti legislativi. Si veda: CASAVOLA, La disciplina della politica. Il finanziamento della politica, in Riv. Trim. Dir. Pub, fasc.2, 2015, 293.

[4]           Il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, ha attribuito natura privatistica alle “Federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate (che) hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione”. Le medesime “federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna, del principio di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale”

 

This Post Has Been Viewed 289 Times