Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale della Calabria, sentenza 20 aprile 2016, n.93. L’assenteista risponde del danno materiale ed all’immagine procurato all’amministrazione. Il suo controllore che ha tentato di coprirlo con un la falsa concessione di un periodo di ferie, concorre nel danno in via sussidiaria.

Nel caso di dipendente assenteista, oltre al danno rappresentato dall’importo degli assegni indebitamente percepiti, può venire in evidenza anche il danno non patrimoniale, arrecato al prestigio ed all’immagine della pubblica amministrazione dal suo comportamento doloso. Per la valutazione di detta ultima voce di danno da immagine, da effettuarsi equitativamente ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., devono essere congiuntamente seguiti, secondo la giurisprudenza prevalente, tre criteri: oggettivo (che considera la gravità dell’illecito in riferimento agli effetti sull’azione amministrativa), soggettivo (che tiene conto della posizione  rivestita all’interno dell’ente) e sociale (relativo al clamore suscitato nell’opinione pubblica locale dai fatti in questione ed all’impressione che esso ha suscitato nell’opinione pubblica). assenteismoSe al danno erariale vi abbia concorso il soggetto che abbia controfirmato la domanda di ferie, rivelatasi falsa, al solo scopo di assicurare copertura all’assenteista, la responsabilità del concorrente ha natura sussidiaria da perseguire secondo un ordine di escussione, per cui la sentenza di condanna deve essere eseguita prima nei confronti del debitore principale e, poi, solo in caso di mancata realizzazione del credito erariale, nei confronti del debitore sussidiario nei limiti della somma al pagamento della quale questi è stato condannato.

testo integrale

F A T T O   

Con atto di citazione depositato il 21/1/2015, la Procura Regionale della Corte dei conti conveniva in giudizio i sigg.ri ******* e *******, per sentirli condannare al pagamento, in favore del Comune di *******, della somma di € 17.496,92, quanto alla ******* e di € 4.037,75, in via sussidiaria, quanto al *******, oltre a rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio.

Precisa la Procura che la vicenda sorge a seguito di una comunicazione dell’11/10/2013, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di *******, in ordine all’esercizio dell’azione penale ai danni della sig.ra ******* per il reato di cui all’art. 640, comma 2 cod. pen., in quanto la stessa, dipendente del comune di *******, aveva posto in essere artifizi e raggiri volti ad occultare numerose assenze dal posto di lavoro, procurandosi così un ingiusto profitto pari alla retribuzione pagatale, a fronte di prestazioni mai rese. Precisa l’attore che dall’esame delle attività di indagine della Guardia di Finanza, relative ai fatti segnalati dal P.M. penale, risulterebbe confermato che la *******, assegnata all’Ufficio marketing presso la Casa della Cultura di *******, in diverse occasioni, non sarebbe stata presente sul posto di lavoro, nonostante risultassero contrarie attestazioni scritte e false richieste di ferie per i periodi di assenza; inoltre le condotte foriere di danno erariale, quantificato nella somma delle retribuzioni illegittimamente percepite e di un danno all’immagine, pari al 30% del “danno economico emergente”, risulterebbero acclarate nella sentenza del Tribunale di ******* n.36/2014 del 21/3/2014, con la quale la convenuta aveva patteggiato una pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato contestatogli.

Secondo l’attore una responsabilità sussidiaria andrebbe rivenuta anche in capo al convenuto *******, che, quale superiore gerarchico della *******, non avrebbe mai operato appositi controlli al fine di verificare l’esatto adempimento degli obblighi lavorativi, lasciandola nella piena libertà di disporre del proprio tempo lavorativo, concretando in tal modo una fattispecie di colpa grave per violazione dei propri doveri di servizio di vigilanza e controllo.

In punto di diritto l’attore fonda la domanda risarcitoria sull’art.55-quinquies del D. Lgs. n.165/2001 e sul relativo meccanismo di quantificazione dell’importo da rifondersi all’erario. Nessuno si è costituito per i convenuti.

All’udienza del 12/4/2016 il P.M. ha richiesto l’accoglimento della domanda

D I R I T T O

  1. La domanda è fondata e merita accoglimento nei termini di cui appresso.

E’ stato accertato, con pronuncia passata in cosa giudicata, che la ******* si sia assentata dal servizio per i periodi analiticamente contestati da parte del requirente contabile ed in relazione ai quali è intervenuta sentenza penale di condanna applicata su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.. La giurisprudenza costante della Corte dei conti riconosce a tali pronunce effetti in senso lato equiparabili a quelli di una pronuncia di condanna resa in esito a giudizio ordinario in omaggio all’art.445, 1° comma c.p.p., secondo cui “Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”. Anche la giurisprudenza della Corte regolatrice (Corte di Cassazione, SS.UU. n. 21591 del 20 settembre 2013 ma anche, ex multis, Cass. Civ., Sez. lav., 22 febbraio 2011, n.4258; Cass. Civ., Sez. V, 3 dicembre 2010, n. 24587; Cass. Civ., Sez. lav., 9 marzo 2009, n.5637; Cass. Civ., Sez. lav., 8 gennaio 2008, n.132; Cass. Civ., Sez. Un., 31 luglio 2006, n.17289) è pacifica nel sostenere “che la sentenza penale emessa a seguito di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p., costituisce un importante elemento di prova nel processo civile (la richiesta di patteggiamento dell’imputato implica pur sempre il riconoscimento del fatto-reato); il Giudice, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua responsabilità non sussistente e il Giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione.

Infatti, la sentenza di applicazione di pena patteggiata “pur non potendosi tecnicamente configurare come sentenza di condanna, anche se è a questa equiparabile a determinati fini”, presuppone “pur sempre un’ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova” (Cass. 5 maggio 2005, n. 9358)”. Nella stessa direzione si è orientata la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. I, 12 luglio 2011, n. 316; Sez. III, 12 novembre 2011 n. 850).

Pertanto, tale pronuncia assume rilievo, così come rilievo assume l’intero materiale probatorio acquisito in sede penale, ai fini della formazione del libero convincimento del giudice e costituisce oggetto del suo prudente apprezzamento (art.116 c.p.c.). Essa quindi è fonte di prova liberamente apprezzabile e verificabile in sede di giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, unitamente alle altre risultanze istruttorie ed anche eventualmente alle fonti di prova contraria, e tutte concorrono alla formazione della decisione, nel rispetto del principio di acquisizione vigente nel nostro ordinamento processuale.

Il Collegio rileva che il reato di truffa, contestato alla convenuta *******, trova documentato riscontro nelle prove raccolte dall’attore pubblico e non contrastate con convincenti elementi di contrario segno. Pertanto, l’implicita ammissione di colpevolezza derivante dalla sentenza di patteggiamento e gli atti raccolti nel processo penale depongono nel senso della piena responsabilità della predetta dipendente comunale in ordine alla effettiva commissione delle condotte penalmente illecite ascrittegli.

La norma, che esplicitamente sanziona nel settore del pubblico impiego il fenomeno dell’assenteismo, è recata dall’art. 55-quinquies del d.lgs. n. 165/2001, introdotto a mezzo dell’art. 69 del d.lgs. n. 150/2009 – c.d. “decreto Brunetta” – proprio allo scopo di più intensamente ed efficacemente tutelare le ragioni dell’erario dal tanto odioso abuso. Tale norma, recependo l’indirizzo della giurisprudenza uniforme del giudice contabile, obbliga il responsabile dell’allontanamento fraudolento al risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali è stata accertata la mancata prestazione.

L’attore ha fornito prova sufficiente delle condotte tenute dalla ******* e del numero di ore nelle quali ella si è ingiustificatamente sottratta ai propri doveri lavorativi, giungendo a simulare una inesistente domanda di ferie controfirmata dal suo coordinatore *******, parimenti convenuto nel presente giudizio.

Il disvalore di tali condotte in termini di antigiuridicità discende dal mancato adempimento dei doveri di ufficio incombenti sui convenuti: sulla ******* il dovere di rendere le proprie prestazioni lavorative a fronte della corresponsione di una retribuzione e sul ******* quello di coordinare e supervisionare le attività lavorative dei dipendenti ed addetti al proprio servizio, tra cui quelle della *******.

  1. In punto di sussistenza del danno all’immagine, contestato alla sola convenuta *******, secondo quanto ricordato da questa Corte (Sez. I, 11 settembre 2015, n.476), è fondamentale la norma di cui all’art. 55-quinquies del D. Lgs. 30 marzo 2001, n.165, che prevede, al comma 2, che il dipendente di una pubblica amministrazione che attesti falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifichi l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia, “(…) ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione”.

La suddetta disposizione normativa, inserita nel corpus delle norme generali sul pubblico impiego dall’art. 69 del D. Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, si inscrive tra le disposizioni della predetta riforma che mirano ad una maggiore efficacia del sistema sanzionatorio con l’individuazione, direttamente ad opera del legislatore, di alcune tipologie di infrazioni che, per la loro gravità, comportano l’irrogazione di specifiche sanzioni, anche di carattere non disciplinare; tra di esse, il comma 2 prevede la responsabilità patrimoniale amministrativa, sotto il duplice profilo del risarcimento sia del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, sia del danno all’immagine subito dall’amministrazione.

In tal senso, la previsione del secondo comma dell’art. 55-quinquies segue una tendenza recente, ma sempre più diffusa, del nostro legislatore, il quale provvede sempre più spesso ad individuare direttamente e concretamente le ipotesi di danno erariale, in settori ritenuti di particolare importanza per l’andamento dell’attività degli uffici pubblici. Sul punto già da tempo le pronunzie della Corte dei conti hanno affermato che, nel caso di dipendente assenteista, oltre al danno rappresentato dall’importo degli assegni indebitamente percepiti, può venire in evidenza anche il danno non patrimoniale, arrecato al prestigio ed all’immagine della pubblica amministrazione dal comportamento doloso del convenuto. Per la valutazione di detta ultima voce di danno, da effettuarsi equitativamente ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., devono essere congiuntamente seguiti, secondo la giurisprudenza prevalente, tre criteri: oggettivo (che considera la gravità dell’illecito in riferimento agli effetti sull’azione amministrativa), soggettivo (che tiene conto della posizione che il convenuto rivestiva all’interno dell’ente) e sociale (relativo al clamore suscitato nell’opinione pubblica locale dai fatti in questione ed all’impressione che esso ha suscitato nell’opinione pubblica): vedasi, in tal senso, Corte dei conti, Sez. I, 9 giugno 2014, n.825; Sez. giurisd. Liguria, 19 maggio 2005, n.704; Sez. giurisd. Calabria, 31 agosto 2006, n.686; Sez. giurisd. Umbria, 5 luglio 2005, n.346).

Orbene, nel caso presente non sembra possano esservi dubbi sulla piena applicabilità e operatività dell’art. 55-quinquies cit., in quanto norma successiva ma, soprattutto, con carattere di specialità rispetto alla normativa generale di cui all’art.17, comma 30-ter del D.L. n. 78/2009 e succ. mod.: quella introdotta dalla riforma Brunetta rappresenta, a tutta evidenza, una specifica (e innovativa) previsione ex lege di responsabilità patrimoniale amministrativa, che opera al di fuori degli angusti limiti della generale normativa precedente. Per quel che riguarda poi la quantificazione del danno all’immagine, i criteri di determinazione di tale voce dannosa, introdotti con la Legge n.190/2012 – quindi, va evidenziato, successivamente ai fatti in esame – prevedono (art. 1, comma 1-sexies della L. n. 20/1994) che “Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.

Dunque, il nuovo criterio introdotto nel 2012, anche a voler prescindere dall’esame circa la sua applicabilità all’odierna fattispecie, ben può costituire il criterio ispiratore della quantificazione equitativa del danno che il Giudice deve, comunque, effettuare secondo i criteri generali prima indicati, con prova contraria da proporsi da parte del convenuto (cfr. Corte dei conti, Sezione appello Sicilia, n. 566/2014).

Nella fattispecie odierna la quantificazione attorea, rimanendo al di sotto della suddetta soglia massima, appare congrua ed equa rispetto alla gravità dei fatti occorsi ed alla avvenuta ammissione di responsabilità in sede penale.

  1. Venendo alla posizione del convenuto *******, l’attore lo chiama a rispondere di una somma pari al 30% del danno patrimoniale diretto discendente dalla condotta della *******, ma in via sussidiaria.

La responsabilità sussidiaria “resta indissolubilmente legata alla responsabilità principale” e richiede pertanto, “per la sua affermazione, la pregiudiziale e preliminare verifica della effettiva responsabilità” del “soggetto che è l’autore diretto del danno” (Corte dei conti, Sez. III, n. 222/2003). Occorre precisare che le Sezioni Riunite di questa Corte dei conti, con sentenza n.4 del 19 gennaio 1999, effettuando una accurata ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, hanno enucleato principi che hanno determinato l’individuazione della responsabilità amministrativa c.d. “sussidiaria” nell’ipotesi di concorso nella produzione dell’evento dannoso di condotte dolose e condotte colpose.

In particolare, essa corrisponde all’esigenza di “una graduazione progressiva della azione satisfattiva dell’erario, anche per meglio raggiungere quelle finalità superiori, connesse con il perseguimento delle responsabilità (art. 97 Cost.)”.

In tale circostanza le Sezioni Riunite hanno indicato che, fermo rimanendo il principio che ciascuno dei corresponsabili debba essere condannato per la parte che ha preso nella causazione del danno, quello che sancisce la solidarietà nell’obbligazione risarcitoria è la circostanza che i convenuti abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo.

Diversamente, secondo i principi da ultimo codificati nell’art.1, commi 1 quater e 1 quinquies della legge n. 20/94, come modificata dalla legge n.639/96, nell’ipotesi di concorso nella produzione dell’evento dannoso di condotte dolose e condotte colpose, è necessario tenere distinta la responsabilità di chi abbia agito con dolo o abbia conseguito un illecito arricchimento da quella di chi abbia invece tenuto un comportamento caratterizzato da colpa grave, il che “comporta la necessità di assegnare al primo soggetto un ruolo ed una posizione prioritari nella individuazione delle obbligazioni, da porre a carico di ciascuno, e della loro misura”.

Pertanto, le Sezioni Riunite hanno risolto la questione di massima enunciando il principio che “nel caso di danno erariale prodotto da più soggetti in concorso tra di loro, la responsabilità di chi ha agito con dolo o ha conseguito un illecito arricchimento è principale, mentre la responsabilità di coloro che hanno agito con colpa grave è sussidiaria: tali responsabilità vanno perseguite secondo un ordine di escussione per cui la sentenza di condanna deve essere eseguita prima nei confronti del debitore principale e, poi, solo in caso di mancata realizzazione del credito erariale, nei confronti del debitore sussidiario nei limiti della somma al pagamento della quale questi è stato condannato”.

Il ******* è sicuramente il soggetto che avrebbe dovuto vigilare sulla resa delle attività lavorative della sig.ra ******* e non lo ha fatto; inoltre è quasi certo che abbia controfirmato la domanda di ferie, rivelatasi falsa, con il fine di coprire la suddetta allorché veniva accertata la sua assenza dal posto di lavoro. Tali due circostanze sono provate e giustificano dunque una affermazione di responsabilità sussidiaria del ******* nei termini di cui alla suddetta pronuncia delle SS.RR. di questa Corte ed in quelli della domanda attorea.

In conclusione, la domanda va integralmente accolta. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q. M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, accoglie la domanda e condanna:

  1. a) ******* *****, nata a ******* il 29 marzo 1970, al pagamento, in favore del comune di *******, della somma di € 13.459,17 a titolo di danno diretto, maggiorato di rivalutazione monetaria dalla data di ogni pagamento sino alla pubblicazione della presente sentenza, nonchè interessi legali, calcolati dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo, e di una ulteriore somma di € 4.037,75, a titolo di danno all’immagine, maggiorato di rivalutazione monetaria, ed interessi legali calcolati dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo;
  2. b) ******* *****, nato a *******, il 7 dicembre 1948 al pagamento, in via sussidiaria, in favore del comune di *******, della somma di € 4.037,75, maggiorato di rivalutazione monetaria, nonché interessi legali, calcolati dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo.

Alla soccombenza segue la condanna alle spese di giudizio che sino alla pubblicazione della presente sentenza si liquidano in €*656,02**seicentocinquantasei/02*.

 

Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del 12 aprile 2016.

 

 L’ESTENSORE                                                                  IL PRESIDENTE

f.to Quirino Lorelli                                                            f.to Mario Condemi

 

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